La beata Matilde di Magdeburgo e il Purgatorio |
Non ci sono traduzioni - There are no translations - Nein Übersetzungen - No traducciones - Aucun traductions Tra l’XI e il XIV secolo sorse in Europa, nelle Fiandre, un grande movimento di rinnovamento spirituale, con le donne come protagoniste. Questo movimento spirituale di donne di ogni estrazione sociale, fu ispirato dal desiderio di condurre una vita di intensa spiritualità fuori dai monasteri, vivendo nella propria casa e nella propria città. Queste autentiche “donne di preghiera e carità”, anche per aiutarsi l’un l’altra, si stabilirono in case vicine formando piccole comunità in piccoli quartieri chiamati “beghinaggi” ai margini delle città e dei villaggi. Il primo di questi “beghinaggi” comparve a Liegi su iniziativa del presbitero Lambert la Bègue, che cerò di organizzarle in comunità, da cui il nome di “beghine”. L’appellativo “beghina”, assunse un connotato negativo Le beghine hanno incarnato una delle esperienze di vita femminile più libere della storia. Laiche e religiose al tempo stesso, esse cercarono forme di vita che permettesse loro di conciliare una doppia esigenza: quella di una vita monastica ... ... e quella di cristiane che vivono nel mondo, ai margini della struttura ecclesiastica. Tra esse emerge Matilde di Magdeburgo (1208?), nata da una famiglia nobile nella diocesi di Magdeburgo. Essa, attratta dalla spiritualità delle beghine entrò da giovanissima in una loro comunità, ma per l’incomprensioni, come molte altre beghine, trovò rifugio presso il monastero di Helfta, dove visse nella compagnia di donne straordinarie come santa Gertrude di Hefta e santa Matilde di Hackeborn e nella pace del cenobio scrisse opera tra le più belle della letteratura medioevale come: “Le Rivelazioni”, o”2 Luce fluente della Divinità”il cui settimo libro fu dettato da Matilde alle monache di Helfta, poco prima della sua morte donandoci preziosi saggi sulla spiritualità monastica beghina. Essa, grande mistica e beghina, non viene venerata dalla Chiesa Cattolica ma viene ricordata dalla Chiesa anglicana d’Inghilterra il 19 novembre; morì nella pace monastica nel 1283 circa. La beata Matilde di Magdeburgo “Una donna soletta che si gia/cantando e iscigliendo fior da fiore/ond’era pinta tutta la sua via”. E’ la stessa Matilde che Dante ricorda nel XXVIII canto del Purgatorio? I Critici , in verità non sono concordi. E’ certo invece che Matilde , una tra le più grandi mistiche del medioevo tedesco, cominciò ad avere le sue imbarazzanti visioni sin dalla più tenera età, la prima a sette anni e che dalla sua opera più rappresentativa “La Luce fluente della Divinità”, considerata il primo testo in prosa della letteratura tedesca – traspare un Dio nient’affatto scolastico, benché naturalmente per essenza ineffabile ed inesprimibile. Il purgatorio di Matilde è molto cupo: “Vi era una pozza fetida e sporca di fuoco, pece e fumo, sovrastata da una densa nube nera che l’avvolgeva come fosse stata una pelle scurissima. Là dentro stavano le anime, come rospi nella melma”. Pur conservando sembianze umane, le anime hanno assunto le fattezze del diavolo; la sofferenza cui sono sottoposte deriva dal fatto che “la loro carne ha ottenebrato lo spirito”; contrariamente a quanto suggerito da essa, nel corso della vita i sensi di quelle anime non furono tenuti nella posizione subordinata che spettava loro. E così adesso esse “cuocevano e arrostivano insieme…[e] una moltitudine di diavoli stava tutt’intorno alle anime nella pozza maledetta e le tormentava”. Anche in questa visione spaventosa, tuttavia, si fa sentire la forza della misericordia divina: Matilde, l’anima che visita il purgatorio, prega il suo Signore di aver pietà di quelle creature sofferenti, ed egli acconsente, dopo che esse hanno riconosciuto in Lui la verità: “Allora, grazie al Suo cuore Divino nostro Signore esaudì il desiderio delle povere anime ed esse riemersero piene d’amore e di gioia”, le condurrà , promette, “su una collina coperta di fiore, dove troveranno una felicità maggiore di quel che le mie parole sanno esprimere”. La visione ha lo scopo di dimostrare che la misericordia divina è grandissima e che l’uomo può intercedere efficacemente presso di Dio: dopo un certo tempo tutte le anime del purgatorio avranno espiato gli errori commessi sulla terra, ma Dio è contento se le loro sofferenze vengono diminuite e alleviate dal pio intervento di altri. In tal modo essa è quasi riuscita a conciliare l’insostenibile paradosso costituito dalla presenza simultanea della misericordia e della giustizia divina, rispetto al quale, in seguito, chiede chiarimenti direttamente a Dio: “Se la Tua giustizia opera insieme alla Tua clemenza/ Come può la Tua misericordia essere così grande?”. Egli risponde affermando che nella Santa Chiesa “sono più coloro i quali vanno dritti in Cielo/ Di quelli che vanno all’Inferno…La Misericordia mi condiziona più/ Di quanto la cattiveria dei malvagi costringa loro;/E la Mia giustizia è più grande/ di tutta la perfidia del diavolo”. A Matilde sono forniti altri esempi di misericordia; i bambini non battezzati non finiscono al limbo, come avviene nell’Inferno dantesco, ma sono ammessi tra le schiere più basse del paradiso; e “sebbene la dimora dei peccatori sia ovviamente nell’Inferno”, essa suggerisce che per alcuni di loro la redenzione sia possibile”: “La pietà di Dio li segue fin laggiù, sicché oggi vi si trovano, ma forse domani faranno parte della compagnia degli angeli”. Don Marcello Stanzione (Ha scritto e pubblicato clicca qui) |
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