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Apparizione dell’Arcangelo San Raffaele in Africa PDF Print E-mail
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Apparizione dell’Arcangelo San Raffaele in AfricaDal numero 5  della rivista missionaria  “Eco” del 1966 riporto una bella testimonianza su un intervento di san Raffaele in Africa. L’articolo è a firma di suor Francesca Zaveria Maggiora appartenente alle suore missionarie della Consolata e riporta il racconto di una anziana suora missionaria, ormai cieca, suor Teresa su un intervento angelico in Kenia. Infatti nel cinquantesimo anniversario dei primi battesimi solenni amministrati nel Kenia il 2 ottobre 1915, suor Teresa ha dettato – con vivezza di particolari e intensità di emozione – la cronaca di uno di quei non rari interventi soprannaturali che, specie all’inizio, rendevano sensibile l’assistenza paterna di Dio sui suoi missionari. Traspare dal racconto l’autenticità dell’avvenimento ( il timore sacro che fa scappare avanti nella fila); le immagini sono ancora ben vive negli occhi, purtroppo ormai spenti di suor Teresa, e il suo dire è deciso e sicuro. Il seme gettato in semplicità di vita e di mezzi si è trasformato nella Chiesa del Kenia d’oggi ... 

...  che è molto più fiorente delle nostre antiche Chiese europee. Ecco il racconto:   “Era la prima volta che nella stazione di Tetu – che allora costituiva il centro della missione di Nyeri – si amministrava il Battesimo solenne. Una ventina di catecumeni di ogni età : ecco i primi laboriosi frutti del duro lavoro di dissodamento dei pionieri. Da tempo il vescovo (Mons. Filippo Perlo, Vicario Apostolico del Kenya) aveva mobilitato tutti i suoi missionari:

- per il 2 ottobre, mi raccomando! Tutti quanti invitati alla stazione di Tetu. I Padri aiuteranno nelle funzioni; Coadiutori e Suore faranno da padrini e madrine ai nostri primi battezzandi. E fare venire la gente, eh! Non solo gli altri catecumeni ma anche i pagani. Quanti più vengono alla festa, tanti più simpatizzanti avremo oggi e Cristiani domani.

La festa riuscì veramente come Monsignore e i suoi missionari l’avevano sognata. La povera chiesetta (un capannone in terra battuta e bambù) si ergeva sulla ridente collina di Tetu, che coi suoi 1800 metri domina tutto il paesaggio. Era dedicata agli Angeli Custodi, e per l’occasione le suore si erano industriate ad addobbarla in modo mai visto da quelle parti. Così drappeggiata, prendeva nuovo gradito risalto anche la pala dell’altare maggiore, dove l’artista missionario P. Pietro Benedetto aveva riprodotto in paesaggio tipicamente locale, l’Angelo Custode che scortava due bimbi neri nel guado del pericoloso fiume di fondovalle, il Chanya, uno dei più grandi della regione.. Per più ore, non soltanto la chiesetta ma l’intera collina era risuonata di canti e di preghiere. Dopo l’amministrazione dei Battesimi vi era stata la S. Messa solenne con discorso del Vescovo, le Prime Comunioni, poi l’amministrazione della Cresima e la benedizione dei Matrimoni…Tutte primizie di grazia e di redenzione per la vasta regione del Kenya, destinate a scavare un solco profondo e ricco delle più belle speranze nella storia del paese, fino allora dominio incontrastato del paganesimo. Ora però bisognava pensare per tempo al ritorno. Le cose erano andate un po’ per le lunghe…C’era anche stato, naturalmente, per i Battezzati il “pranzo di gala” e si sa che in questa cose, con tanti commenti da fare, non è possibile cavarsela così in fretta. Non mancava poi neppure chi si era alquanto esilarato da fare per rimettere in moto tutta quella “brava gente” (ripiena si di gaudio spirituale, ma non soltanto di quello), preoccupati com’erano del lungo cammino che ancora li attendeva: si trattava di scendere da quell’altezza alla pianura, attraverso l’insidiosa foresta che ancor oggi è una fra le più fitte di secolare vegetazione: guai se la notte avesse sorpreso i viaggiatori ritardatari! Difficilmente avrebbero avuto salva la vita dalle numerose fiere, padrone assolute della boscaglia nella terribile – per quanto incantevole – notte africana. E poi c’era il fiume da attraversare: e in quei giorni l’operazione era resa ancor più malagevole e pericolosa a causa del cedimento di un grosso tronco d’albero che serviva da ponte. Infine rimaneva ancora da risalire la collina di Nyeri. Ecco perché Monsignore aveva dato ordini precisi e continuava a sollecitare con la sua voce tonante. Come Dio volle, alla fine (ma assai più tardi del previsto) la lunga fila dei catecumeni , dei simpatizzanti e dei curiosi di ogni età fu pronta, inframischiata non  a caso da missionari, suore e catechisti, e capeggiata da quell’abile organizzatore. Egli brandiva l’unica lampada (a petrolio) della carovana, e impartiva ordini precisi e scanditi, come un generale sul campo di battaglia. Non poteva però del tutto nascondere a chi ben lo conosceva una certa inquietudine per l’ora piuttosto avanzata ed il pericolo che la notte cogliesse i viaggiatori prima che avessero attraversato il fiume. Prima di dare il “via” e mettersi in testa alla carovana, volle rispettivamente a P. Prina per gli uomini e a sr. Teresa per le donne.

- Camminare, camminare svelti, senza mai rompere le file. E soprattutto cantare in continuazione. Fuori tutto il repertorio a tutto fiato. Andiamo!

E lanciata nell’aria una larga benedizione, s’incammina deciso seguito da tutti gli altri disposti in fila indiana. Molto sapienti invero e frutto di buona esperienza erano quei brevi ordini: il non frapporre distanza fra una persona e l’altra era condizione indispensabile e il canto aveva appunto lo scopo (oltre che di animare i marciatori e scandire il ritmo dei passi) di mantenere compatta la fila; non meno che tenere lontani gli animali feroci che al cadere della notte sarebbero usciti dalle loro tane per recarsi al fiume. Tutto il gruppo procedeva di buon passo e quasi di corsa, quando il terreno lo permetteva. C’era però sr. Candida che non ce la faceva a tener dietro agli altri…arrivata da poco tempo non era ancora allenata  a quelle marce forzate.

- Mware Candida, tu vai troppo adagio, lasciaci passare…

- Mware Candida, lascia che andiamo avanti noi…

- Suor Candida, coraggio cerchi di affrettarsi un po’ più, altrimenti resteremo proprio le ultime…

Il sentieruncolo correva sul ciglio della collina e l’affaticato incedere di sr. Candida provocava continui distacchi, cosicché in breve tutti la sorpassarono ed essa rimase in coda con sr. Teresa, mentre P. Prina era obbligato – con molto disappunto – a seguire il grosso della comitiva, secondo l’incarico ricevuto. Suor Teresa non sa più a quale santo raccomandarsi per ottenere che la consorella non cede alla stanchezza. La notte ormai non è più lontana: che faranno loro due da sole completamente al buio? Per un po’ si sentono ancora unite agli altri dal canto… poi mani mano questo si fa lontano, sempre più lontano…Anche i richiami di P. Prina ormai non si odono più. Ad ogni momento la situazione si fa più difficile e pericolosa, fra poco d’improvviso sarà la notte e per di più una notte senza luna. Quanti “Angele Dei” avrà recitato quella sera sr. Teresa, che ben si rendeva conto di ciò che poteva succedere! A un certo momento, dopo aver dato segni di incertezza sul sentiero intrapreso, si ferma di botto trattenendo per un braccio la compagna, facendosi padiglione con la mano all’orecchio. Più nulla!  Proprio soltanto il grande l’immenso silenzio della notte africana.

- Come mai non si sente più niente? Eppure dal fondo valle (dove ormai il gruppo dovrebbe quasi essere giunto) il canto dovrebbe arrivare quassù, per quanto affievolito dalla distanza…

Affonda gli occhi (che allora vedevano bene) nei cespugli che fiancheggiano il sentiero e li tasta con il suo bastone da missionaria, quasi a interrogarli ansiosa. Il dubbio purtroppo si fa sempre più forte, sebbene non osi manifestarlo: siamo ancora sulla buona strada? O forse all’incrocio abbiamo deviato?... Improvvisamente, un cespuglio si agita come per lasciar passare qualcuno…Che sarà mai? Con rapida mossa ne sbuca un giovane avvolto in candido “kanjo” (tunica usata anche dai battezzandi). Il nitore della tunica e quello dei denti sono tutto quanto distacca la snella figura dalle tenebre circostanti. Senza attendere di essere interrogato dalle suore interdette, il nuovo venuto si fa loro incontro premuroso:

- Cosa fate qui da sole a quest’ora?

- Vogliamo raggiungere la file dei missionari e dei cristiani che ritornano dalla festa di Tetu…

- Ma allora, avete sbagliato strada! Seguitemi, io vi accompagno.

L’aspetto ed il tono di voce sono così rassicuranti, che le due suore non si fanno ripetere una seconda volta l’invito e con animo improvvisamente sollevato si mettono alla sua sequela, tornando senza discussione sui propri passi. Il giovane africano apre il breve corteo, indicando i punti pericolosi, trattenendo i rami che impediscono il passaggio e facilitando in ogni modo il cammino alle due missionarie. Segue suor Candida: strano a dirsi! Anziché sentire maggior stanchezza o tedio per dover rifare il percorso in senso opposto non la si direbbe più lei per la leggerezza e speditezza del passo. Sr. Teresa che, fedele alla consegna ricevuta è sempre l’ultima, quasi non crede ai propri occhi, e mano mano che procedono sente ritornare il consueto ottimismo. Solita poi com’à a intavolare subito il discorso con qualsiasi nativo che incontra, tanto meno intende ora lasciarsi sfuggire l’occasione di sapere qualche cosa (di certo molto interessante) della provvidenziale guida che il Signore ha loro mandato.

- Sei uno dei cristiani che hanno ricevuto il Battesimo questa mattina?

- No, non sono cristiano io. Però sono “wa ngai” (di Dio) e vengo di lontano.

- Certo, tutti siamo “wa Ngai”, ma quale è il tuo nome?

- Te l’ho già detto, mware, io sono “wa Ngai”.

- Ma questo non è il tuo vero nome. Non mi dici come ti chiami (Silenzio) Hai detto che sei venuto di lontano?

- Si, di molto lontano. Siamo venuti in un bel gruppo per assistere alla funzione.

- Ah si eh?! Da Karema forse?

- Mai più, di molto più lontano!... Però conosco Karema e conosco anche il Padre di quella missione (P. Rolfo): è molto buono e lavora molto…

- Oh! Ma non mi hai detto di dove vieni: addirittura da Guturi…o magari da Fort Hall?

- No, di più lontano ancora.

- Di più lontano ancora? Ma da Fort Hall a Tetu sono già 8 o 10 ore di buona marcia: a che ora siete dunque partiti di casa?

- Era già spuntato il sole.

- Ah questa è grossa! Adesso mi accorgo proprio che tu non mi dici il vero e questo mi dispiace molto. Vuoi farmi credere che vieni più di lontano che Fort Hall e intanto quando sei partito era già levato il sole!... Non mi convinci. Ormai conosco troppo bene questo paese.

- Eppure, è proprio come ti ho detto.

- Non scherzare, dimmi le cose come sono…Ma eccoci al bivio: vede, sr. Candida? È proprio qui che abbiamo sbagliato sentiero! Meno male che questo ragazzo ci ha fatte tornare indietro! …Ora, però, siamo a posto e possiamo andare sicure anche sole. Per te c’è il pericolo delle belve.

Ma la strana guida non pare abbia intenzione di lasciarle e ribatte proseguendo senza sosta il cammino: No sta tranquilla per me, mware, le belve non mi sbraneranno.

- Ah si? Ma se non hai né fuoco, né lancia, né “panga” (coltellaccio)…

- Te l’ho già detto, mware, non aver paura per me: è meglio che vi accompagni

Sempre più meravigliata e incuriosita, la suora insiste:

- Ma dov’è la tua casa? Non hai detto che è tanto lontana da qui?

- Si, è molto lontana, però abito anche qui.

- Insomma, ci capisco sempre meno. Vuoi dirmi per favore chi sei e di dove vieni?

- Oh, il mio nome è molto bello! E anche il mio paese è molto bello”

- Vero che sei cristiano?...,dimmi la verità.

- Te lo già detto, mware, è la verità: io sono “wa Ngai”.

- E di nuovo! Ma cosa vuoi dire con questo? … non siamo forse tutte creature di Dio, noi?

La suora comincia a sentirsi venir meno la pazienza. O che questo “mwanake” (giovanotto) abbia proprio intenzione di burlarsi di lei? E gli par questo il momento di scherzare?...Ma tant’è quando questi cari Africani vogliono mantenere un segreto…Meglio dunque non pensarci più e camminare sempre di buon passo; questo si, questo è l’essenziale, altrimenti le cose andranno male. Grazie a Dio sr. Candida (che non ha potuto seguire la conversazione non conoscendo ancora abbastanza il dialetto locale) prosegue nel suo cammino tutt’altro che facile, specialmente per una novellina d’Africa. Continuano così per un bel po’ in silenzio, poi è ancora sr. Teresa che lo interrompe, rivelando il filo dei suoi pensieri.

- Hai detto che sei stato alla funzione dei Battesimi, non è vero?

- Si, mware, ci sono stato.

- Cosa ne dici? Ti è piaciuta?

- Oh, si, mi è piaciuta molto!...E anche al buon Dio è piaciuta.

Questa volta la suora sbotta in una fresca risata, che risuona inattesa nel silenzio della notte africana e fa volgere meravigliata sr.  Candida.

- Lo credo bene che gli sia piaciuta! E’ proprio per farvi diventare cristiani che Egli ci ha mandato in mezzo a voi e … non faccio per dire, ma si è lavorato tanto per arrivare a questi primi Battesimi solenni!...

- Si lo so, e il Buon Dio è molto soddisfatto del lavoro che è stato fatto e che si fa. Ma vedrai, vedrai come i cristiani aumenteranno ancora in questo paese! Fra non molto, tutta la gente qui del Kikuyu verrà a scuola da voi e si farà battezzare.

Suor Teresa ormai non pensa più a meravigliarsi di questa specie di profezia, ma presa dall’entusiasmo dei ricordi prosegue in tono più confidenziale:

- Pensa che anche l’altro giorno sono riuscita a battezzare due bambini…

- Lo so, anche questo ha fatto molto piacere al Buon Dio! E ne darai ancora tanti e tanti di Battesimi tu.

- Oh!...ma come fai a sapere tutte queste cose?!

Come mai quel giovane parla con tanta sicurezza? Come si può credergli, però, se neppure si riesce a sapere chi egli sia? Sr. Teresa è abituata a vederci chiaro nelle cose. Decide perciò di prendere di punta il misterioso compagno di viaggio. Parla lentamente, scandendo bene ogni parola.

- Ma senti, tu che sembri sapere tante cose: come  vuoi che io possa crederti, se non mi hai neppur voluto dire il tuo nome?

E attende ansiosa: ma l’interlocutore tace. Si direbbe quasi che si diverta a mettere la suora sul gusto di sapere e poi a non soddisfare la sua curiosità. Ah se camminassero di fianco, essa lo prenderebbe per un braccio e lo guarderebbe ben bene negli occhi: come potrebbe sfuggire ancora alle sue domande?...Ma egli precede sempre il piccolo drappello, distanziato per di più da suor Candida che (ma quale fortuna!) continua a marciare di buon passo, come non ha fatto  mai. Ecco finalmente la discesa è terminata: il paesaggio si allarga e qual è la gioia delle due suore udendo dapprima in distanza, poi sempre più vicine, le voci di richiamo e di incitamento di P. Prina che probabilmente (ancor nulla si vede) sta ancora sorvegliando il passaggio del fiume. Ogni stanchezza e ogni pena è scomparsa…ma non il desiderio di sapere qualcosa sulla misteriosa guida, il cui prezioso servizio è ora ancora più manifesto. Suor Teresa deve trattenere la consorella nell’ultimo spontaneo slancio verso la meta ormai quasi raggiunta, per obbligare il giovane africano a una risposta precisa:

- Dunque, almeno adesso che siamo arrivate, ci vorrai dire come ti chiami?

Quasi trattiene il fiato per non lasciarsi sfuggire sillaba di una informazione tanto attesa e desiderata. E la risposta

- dopo un ultimo istante di sospensione – viene chiara e distinta , ma (riferisce ancor oggi  commossa, sr. Teresa) con voce “non di questa terra”: Sono Raphael, sono di Dio!

Uno strano brivido serpeggia nelle ossa delle due suore. Ma ormai sono al fiume: sr. Teresa spinge lo sguardo innanzi per cercare di vedere P. Prina e nel fare quel movimento si accorge che il giovane accompagnatore, che sempre aveva preceduto la consorella davanti a sé, ora non c’è più.

- Suor Candida…,dove è andato il ragazzo?

- Non lo so, è scomparso!

- Come scomparso, ma che scomparso! E…l’ha almeno ringraziato lei?

- Io no di certo: ha sempre parlato lei, credevo l’avesse anche ringraziato!

Le raggiunse intanto la voce tonante ed eccitata di P. Prina che bruscamente le strappa a qualsiasi considerazione. Tutta la lunga teoria dei viaggiatori è riuscita a guardare il fiume senza incidenti, e non è poco. Ma la difficile operazione ha richiesto una provvidenza per le ritardatarie. L’ultimo (proprio l’ultimo!) degli itineranti notturni si è ormai inoltrato nell’ampio letto del fiume.

- Oh finalmente sono arrivate anche loro! Era ora per davvero! Appena, appena in tempo per passare il fiume: là!... Si può sapere cosa diamine hanno fatto finora?! Dice, burbero, per nascondere la sua ansia.

- Lo sanno?! Se avessero tardato un solo momento in più, chi mai le avrebbe aiutate ad attraversare il guado? Ah, possono proprio ringraziare…

Ringraziare! Non c’era davvero bisogno di dirlo alle poverette, che ben si rendevano conto del pericolo corso e sapevano come soltanto un intervento superiore (d’altronde non così raro laggiù nei continui rischi cui per necessità doveva o abbandonarsi i primi missionari) le aveva potute salvare. E però adesso bisognava badar bene a tenersi in equilibrio sulle pietre a fior d’acque, saldamente appoggiate alla mano della propria guida. Non è però soltanto il senso di freddo causato dall’improvviso contatto con l’acqua, né l’indimenticabile notte illune che fa penetrare nell’intimo delle due trafelate missionarie quell’inspiegabile senso di timore misterioso e commosso che ora le pervade. Ma… un passo dopo l’altro, ecco infine la sponda: un salto ancora e quale profondo sospiro di sollievo! Esse vengono ora a trovarsi in mezzo a tutta la comitiva, ben radunata in gruppo ed in procinto di ricomporsi ordinatamente  per percorrere l’ultimo tratto di cammino, ormai privo di particolari difficoltà. Suor Teresa però sente il bisogno di isolarsi per riflettere sui fatti accaduti. E bada ad esimersi dalla responsabilità della retroguardia, che tanto le ha pesato finora. Si presenta alla sua Superiore, e:

- Madre Margherita – le dice in tono deciso per nascondere l’emozione, vorrebbe restare Lei in fondo, per favore? Io prenderò il suo posto!

E senza attendere conferma, s’inoltra a passi rapidi nella fila che sta per rimettersi in moto, per raggiungere l’avanguardia. Tutto andò bene, e il ricordo dei primi Battesimi solenni nella regione del Kenya rimase senz’ombra. Fu anzi realmente la prima grandiosa manifestazione della vera religione finalmente annunciata, e il primo solido anello di una lunga catena di grazie che doveva riversarsi sulla fervente comunità di neofiti.

- Da quel giorno in poi (così sr. Teresa conchiude in tutta semplicità il suo meraviglioso racconto), nelle migliaia di Battesimi che ebbi ancora la fortuna di amministrare , non ho mai dimenticato di recitare due “Angele Dei”: uno al mio Angelo custode, l’altro a quello del battezzando. Proprio  come ci  aveva suggerito quella famosa mattina il predicatore, nella chiesetta di Tetu. E quale aiuto insperato non ne ebbi mai!”.

Don Marcello Stanzione (Ha scritto e pubblicato clicca qui)

 
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