Santa Ildegarda e la caduta dei demoni |
Il 7 ottobre 2012 Papa Benedetto XVI ha proclamato la monaca benedettina tedesca santa Ildegarda di Bingen dottore della Chiesa universale. Per l’occasione l’editrice Gribaudi di Milano ha stampato un mio semplice libretto sulla abbadessa medioevale. E’ interessante la visione di Ildegarda riguardo alla caduta degli angeli cattivi. Scrive Ildegarda: “ Vidi poi un’enorme moltitudine di lampade viventi, molto luminose che, ricevendo un fulgore di fuoco, raggiunsero uno splendore purissimo. Ed ecco apparire un lago molto lago e profondo, che aveva un’apertura come di un pozzo, da cui esalava un fumo di fuoco con molto fetore. Da essa usciva una terribile nebbia oscura, allargandosi fino a toccare qualcosa simile a una vena che sembrava essere piena d’inganno e attraverso cui penetrò un luminoso paese (il paradiso), soffiandole contro una nube candida (simbolo di Eva), la quale era uscita da una bella forma di un uomo, che portava moltissime stelle (simbolo dell’umanità). ... ... E la nebbia cacciò da quella ragione la nube, assieme con la forma di un uomo. Dopo questo, uno splendore luminosissimo avvolse quel paese e fece sì che tutti gli elementi del mondo, che prima stavano in una grande quiete, dessero segno di grandissima inquietudine rivelando orribili terrori. E di nuovo udii colui che prima mi aveva parlato. Mi diceva: 1. Gli angeli benedetti, che seguono Dio con fedeltà e devozione, ardendo nella sua predilezione con il loro degno amore, non sono atterriti da alcuna gloria della beatitudine celeste. Ma coloro che adorano Dio con finzione, non solo sono esclusi dal salire verso le cose superiori, sono cacciati anche da quelle cose che, con menzogna, ritengono di possedere e ciò per giusti motivi. Questo intende dimostrare la grandissima moltitudine delle lampade viventi che hanno molta luminosità. Sono il grandissimo esercito degli spiriti celesti. Essi splendono nella vita beata e vivono con grande onore ed ornamento, perché quando furono creati da Dio, non si insuperbirono, ma tenacemente perseverarono nel divino amore. Infatti, accogliendo il fulgore di fuoco, conseguirono un purissimo splendore. Ciò spiega il perché, quando Lucifero con i suoi tentò di ribellarsi al Creatore supremo, negli angeli si risvegliò, alla caduta sua e dei suoi fautori, lo zelo di Dio. Indossarono la vigilanza della divina predilezione, mentre quelli abbracciarono il torpore dell’ignoranza, con la quale non vollero riconoscere Dio. In che modo? Alla caduta del diavolo, una grande lode nacque in quegli spiriti angelici, che con Dio perseverarono nella rettitudine. Infatti, conobbero con una vista chiara e profonda quanto Dio è immobile, senza alcun mutamento nella sua potenza, tanto da non poter essere superato da nessun avversario. E così, ardendo nell’amore suo e preservando nella via retta, disprezzarono ogni sorta di polvere d’ingiustizia. 2. Lucifero, che per la sua superbia venne cacciato dalla gloria del cielo, all’inizio della sua esistenza fu talmente perfetto e grande che non ebbe alcun difetto, né nella sua bellezza, né nella sua potenza. Eppure, guardando la sua bellezza e considerando la forza della sua potenza, montò in superbia e promise a se stesso di intraprendere tutto quello che voleva. Avrebbe potuto portare a termine ogni cose che aveva cominciato. Allora, vedendo un luogo in cui ritenne di poter appoggiarsi e volendo ivi mostrare la sua potenza, così tra sé diceva di Dio: “Voglio risplendere là come lui qua!”. E tutta la schiera dei suoi compagni gli diede l’assenso, dicendo: “La tua volontà è anche la nostra”. Appena pensato, gonfio di fare quello che si era prefisso, lo zelo del Signore lo cacciò coi suoi seguaci, stendendoli nel negrume del fuoco, mutandoli da lucenti in roventi, da bianchi in neri, contrariamente a quello che erano prima. Che significa? 3. Se Dio non avesse rintuzzato la loro persuasione, egli sarebbe stato ingiusto, perché avrebbe favorito quelli che volevano dividere l’integrità della divinità. Ma li cacciò, e annientò la loro empietà, allontanando dal cospetto della sua luce tutti quelli che tentarono di opporsi a lui. Lo dimostra il mio servo (Giobbe): 4. “Quante volte si spegne la lucerna degli empi, e la sventura piomba su di loro, e infliggendo loro castighi con ira? Diventano essi come paglia di fronte o come pula in preda all’uragano?”. In altre parole: La flagrante sporcizia della petulante cattiveria della falsa prosperità, come un lume di onore procede dalla volontà della carne di coloro che non temono Dio, ma che disprezzano nella loro perversa rabbia la divinità. Disprezzano il pensiero che qualcuno potrebbe avere la forza di intervenire violentemente, quando vogliono bruciare qualcosa nel fuoco della propria ferocia. Bruciano ciò che li disturba. Nell’ora della punizione di Dio, tutto ciò viene conculato come terra, cioè nel tempo del Giudizio finale, cadrà sugli empi l’abiezione di tutte le cose infedeli che sono sotto il cielo, perché saranno molesti a Dio e agli uomini. Ciò spiega il fatto che essi, poiché Dio non permette loro di avere quello che vogliono, appaiono dappertutto tra gli uomini macerati dal dolore e con la rabbia della propria stoltezza. Avviene così quando bruciano, volendo prima aver ciò che Dio non permette loro di possedere. E mentre in questo modo si allontanano da Dio, vengono assimilati a una grande inutilità, sicché né in Dio né negli uomini riescono a fare qualcosa di buono. Sono tagliati fuori dal grano della vita nel previdente occhio dello scrutinio di Dio. Pertanto, vengono dati a siffatta distruzione, perché sono dissipati nel tiepido sapore dell’iniquo rumore. E non ricevono la pioggia dello Spirito che viene. 5. Quel lago molto largo e profondo che ti appare, è l’inferno, che contiene in sé, come vedi, la larghezza dei vizi e la profondità delle perdizioni. Si apre come un pozzo che esala un fumo igneo con molto fetore. Ciò significa che l’inferno, nella sua voracità, tiene sommerse le anime e, mentre mostra loro la soavità e la dolcezza, le porta alla perdizione di tormenti con perverso inganno, là dove l’ardore del fuoco esala con i suffumigi terribili e il bollente fetore mortifero. Questo tremendo tormento fu preparato per il diavolo e i suoi seguaci, nel momento in cui si allontanarono dal sommo bene e non lo vollero conoscere. Di conseguenza, sono tenuti lontani da ogni bene, non perché non lo conobbero, ma perché nella loro timida superbia lo disprezzano. [...] 9. La nebbia terribilmente oscura che s’innalza dal lago, estendendosi verso lontananze infinite, fino a toccare una vena, indica che l’astuzia del diavolo era salita dall’abisso delle più profonde rovine ed entrata nel serpente velenoso, che aveva in sé la peccaminosa intenzione d’ingannare gli uomini. Come avvenne questo terribile inganno? Quando il diavolo vide l’umanità in paradiso, egli gridò spaventato: “Chi prenderà il posto mio nella dimora della vera beatitudine?”. La sua malizia non era ancora entrata in altre creature, perciò vedendo Adamo ed Eva innocenti nel giardino delle delizie, si alzò per ingannarli con grande astuzia per mezzo del serpente. Perché scelse il serpente? Perché comprese che il serpente gli somigliava più di ogni altro animale. Attraverso la sua astuzia egli avrebbe compiuto di nascosto ciò che apertamente, nella propria figura, non avrebbe potuto fare. 10. Il diavolo non conosceva la proibizione divina data ad Adamo ed Eva. La capì soltanto in seguito alla loro risposta alla sua maliziosa domanda. Allora la nebbia toccò nel paese luminoso (il paradiso) la nube candida (simbolo di Eva) la quale aveva molte stelle, cioè portava nel suo grembo l’umanità, come Dio aveva predestinato. Allora il diavolo aggredì l’innocente Eva, derivata dall’innocente Adamo, per gettarla fuori dal giardino, per mezzo dell’inganno del serpente. Perché lo fece? Perché sapeva che è più facile vincere la tenerezza della donna che la forza dell’uomo… E la nebbia cacciò la nube dal paese luminoso, assieme con la figura dell’uomo. Il tentatore con la sua astuzia fece uscire Eva e Adamo dalla loro dimora di beatitudine e li gettò nell’oscurità del caos. [...] 26. Dopo l’espulsione di Adamo e Eva dal paradiso, uno splendore luminoso avvolse di nuovo il paese. Per il loro peccato essi erano stati obbligati a lasciare la dolcezza del luogo. Il potere della maestà divina aveva separato il paradiso perché non venisse più toccato da nessuna opposizione. Ciò nonostante, il peccato commesso nel giardino verrà annichilito con mitezza e misericordia, come viene espresso dallo splendore. 27. Anche gli elementi della terra, che prima si erano trovati in grande quiete, caddero in una grandissima inquietudine. Ciò significa che l’opera della creazione avvenne a servizio dell’uomo, senza alcuna ribellione, ma quando l’uomo disobbedì e si oppose al suo Creatore, la creazione perse la pace e fu immersa nell’inquietudine. Il paradiso, invece, continua ad essere il giardino della dolcezza”. Don Marcello Stanzione (Ha scritto e pubblicato clicca qui) |
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