Il poeta Paul Claudel e gli angeli |
Non ci sono traduzioni - There are no translations - Nein Übersetzungen - No traducciones - Aucun traductions Paul Claudel (Villeneuve-sur.Fère-en-Tardenoise, Aisne, 1868- Parigi 1955) poeta e drammaturgo francese. Figlio di un alto funzionario dell’amministrazione statale, si stabilì a Parigi nel 1881 con la famiglia. Educato alla fede cattolica, ma diventato nell’adolescenza indifferente e scettico, visse una tormentosa crisi spirituale, che lo condusse con il fervore del neofita e la violenza sanguigna del suo carattere a un ritorno integrale e definitivo al cattolicesimo. Nel 1890 abbracciò la carriera diplomatica. Da allora al 1935 fu console e poi ambasciatore negli Stati Uniti, in Cina, in Cecoslovacchia, Germania, Giappone e Belgio. Rientrato a Parigi, nel 1946 fu eletto accademico di Francia. Di grande interesse storico e psicologico è la corrispondenza che intrattenne con A. Gide. Claudel lasciò una notevole produzione in prosa e una vasta opera poetica (Conoscenza dell’Est, Connaissance del’Est, 1900; Cinque grandi odi, Cinq Grand odes, 1910; Cantata a tre voci, Cantate à trois voix, 1913). ... ... Ma la sua personalità trovò più compiuta espressione nelle opere destinate al teatro, fra cui vanno ricordate Testa d’oro (1891), Lo scambio (1894), Il riposo del settimo giorno (1896), La crisi meridiana (1906), L’ostaggio (1911), Giovanna al rogo (1939), musicata da A. Honneger, oltre ai suoi La crisi capo valori: L’annuncio a Maria (1912) sulla necessità del sacrificio consacrata nel dogma della comunione dei santi e Lo scarpino di raso (1929), poema drammatico della vita e della morte intensa come segreti di Dio Egli, è uno dei più significativi esponenti del rinnovamento cattolico della Francia della prima metà del secolo, e uno fra i maggiori poeti del tuo tempo. Attuò una sapiente riconciliazione di poesia e teatro; respinse le forme tradizionali, sostituendo alle rime e ai metri fissi un versetto cadenzato alla maniera delle versioni bibliche, ma liriche. Le vicende dei suoi drammi si svolgono in modo lineare intorno a nuclei estremamente ridotti e significanti dai quali emerge un messaggio di fede concepito come possibilità di soluzione dei contrasti tra l’umano e soprannaturale, il mondo e Dio. Gli interlocutori, che pure si affrontano in contrasti irriducibili, rimangono come isolati, estranei; non restano all’autore in quanto autorizzano effusioni liriche, in forma di canti e di inni, sempre traboccanti di immagini e di colori, e tese a superare il contingente dell’azione teatrale per divenire espressione e di valori cosmici attraverso un uso violento e amplificato del simbolo che egli derivò soprattutto da Rimbaud, il poeta da lui più amato sin dall’adolescenza. L’evento che ha dominato la sua vita, personalità di primo piano nella letteratura francese del Novecento, è la sua conversione al cattolicesimo. Il racconto di tale evento è tra le pagine più sconvolgenti e commoventi della sua opera. “Ecco come era il giovane infelice che il 25 dicembre 1886 si recò a Notre-Dame di Parigi per assistere all’ufficio di natale. Cominciavo allora a scrivere e mi sembrava che nelle cerimonie cattoliche, considerate con superiore dilettantismo, avrei trovato uno stimolo opportuno e la materia per qualche esercizio decadente. In queste condizioni, urtando a gomitate la folla, assistetti alla messa solenne con poco piacere. Poi, non avendo nient’altro da fare , tornai al pomeriggio per i vespri. I bambini del coro […] stavano cantando ciò che più tardi ho saputo essere il Magnificat. Io ero in piedi tra la folla […]. In quel momento capitò l’evento che domina tutta la mia vita. In un istante il mio cuore fu toccato e io credetti. Credetti con una forza di adesione così grande, cin un tale innalzamento di tutto il mio essere, con una convinzione così potente, con una certezza che non lasciava posto a nessuna specie di dubbio che, dopo di allora, nessun ragionamento, nessuna circostanza della mia vita agiata hanno potuto scuotere la mia fede ne toccarla. […] Ma era vero? Era proprio vero! Dio esiste, è qui. E’ qualcuno, un essere personale come me! Mi ama, mi chiama. Le lacrime e i singulti erano spuntati […] . E’ vero – lo confesso con il centurione – si. Gesù è il Figlio di Dio. Era a me, Paul, che egli si rivolgeva e mi prometteva il suo amore […]” Prima di giungere alla pienezza della fede trascorreranno quattro anni: “Fu la più grande crisi della mia vita”. La superò e, a 22 anni, nel giorno di Natale, ricevette l’Eucarestia. La sua fede avrà un timbro nettamente cristologico ed esistenziale che gli deriverà dall’attaccamento, concreto e sensibile, all’umanità del Figlio di Dio. Cristo ricaccerà nelle ombre il Dio dei filosofi e dei naturalisti, dell’etica Kantiana e della poesia di Victor Hugo. E’ un fanciullo, “un essere senza peccato”, che lo attira con la sua “adorabile innocenza divina”; è il Dio della tenerezza e della misericordia che si abbassa fino al nostro nulla per rivelarci la sua essenza, che è l’amore. “In un istante avevo compreso chi è Dio: non il Dio dei filosofi, ma il Dio reale e vivo” che “ci conosce e ci ama di un amore personale”. L’opera di Claudel è una parafrasi del Vangelo, redatta alla ,luce dell’Antico Testamento. Il suo Cristo non un capitolo di storia, sia pur fascinosa e benefica, né un manuale etico di malto livello, alla Tolstoj, neanche il fondatore di una religione. E’ la “crisi” dell’uomo, cioè colui nel quale l’uomo è giudicato , misurato, capito; è la convergenza dei desideri della storia e delle aspirazioni del nostro animo: è il senso, il principio e la fine della creazione. La contemplazione di Claudel oscilla tra due abissi: la divinità del vergo e la sua umanità, cioè la sua umiltà. Colui sul quale Mosè non avrebbe potuto levare lo sguardo senza morirne, per venire in mezzo a noi ha scelto uno stato di annientamento. “E si mette a nudo tra le nostre braccia, questo fragile bambino dal quale san Paolo dice derivare ogni paternità. Non comanda più. Chiede. Ci fa sapere che ha bisogno di noi, che la sua debole mano cerca come può il nostro cuore. Cerca di risvegliare in noi una parentela indispensabile, irresistibile. Si direbbe che abbia dimenticato di essere Dio, e che solo sulle nostre labbra voglia farselo dire. Si dà a pensare. C’è un Dio tra le braccia della sua creatura che si rende conto di quel che Egli pesi. E io,uomo, io sostengo Dio”. Egli considera l’Incarnazione come l’epifania dell’amore di Dio che ha “pietà della sua creatura peccatrice” e vuole distruggere , assumendola, la sua miseria fondamentale. Nel Journal (luglio-agosto 1917) trascrive la famosa frase di Sant’Agostino: “Dio si è fatto uomo perché l’uomo sia fatto Dio”. L’amore è il movente dei credenti divini, e dinanzi alle esigenze dell’amore, Cristo si sente impotente: “Non ha saputo difendersi dagli strali dell’amore”. Ogni creatura, per quanto sporca e indegna, suscita l’amore del suo Signore; “Impara da me che tu non sei altro che il vaso nel quale voglio gustare e aspirare l’umanità”. Nella Bibbia egli cerca le immagini di Cristo: l’umile medico “che raccoglie i feriti”; il padre “che abbraccia il figlio smarrito”; il “servo dei servi”; lo “sposo” delle anime; il maestro “nel quale tutto possiamo e possediamo, e nulla abbiamo più a temere”. Agli occhi del Poeta- esegeta questi tratti convengono e formano il Volto che li riflette tutti. Cristo? C’est un petit enfant. Un petit enfant che è il Mediatore tra cielo e terra, che attira a sé l’universo intero e tutto unifica in modo ineffabile, tutto contempla e trasforma. Umiltà e sublimità del Verbo incarnato. “Gesù Cristo ci dice che la sua umiliazione è misura della sua esaltazione. Non c’è nulla di così basso con cui non abbia voluto fare conoscenza. E’ ai nostri piedi che il Cristo ha assunto posizione di supplice; sono i nostri piedi che ha inumidito di baci e di lacrime. (E chissà? Forse è ancora ai nostri piedi. Bisogna fare attenzione a non camminare su di lui)”. L’opera di Claudel – lirica, drammatica, saggistica, esegetica- si snoda attorno a un’idea centrale: l’Incarnazione. Su tale dogma fiorisce l’ecclesiologia, dal Poeta fortemente sentita e presentata in pagine di un lirismo abbagliante, dense di teologia. Si pensi a drammi quali L’annonce faite à Marie, L’Otage, Le soglie de satin. Egli conosce, si, il dogma cattolico, ma soprattutto lo abita, cioè lo sente e lo vive come parte integrante del proprio essere. Da ciò deriva anche il sentimento che fermenta la sua opera. Nel poemetto La Vierge à midi ci sono questi versi memorabili: “E’ mezzogiorni. Vedo la chiesa aperta. Bisogna entrare. Madre di Gesù Cristo, non vengo per pregare. Non ho nulla da offrire e nulla da chiedere. Vengo solamente per guardarti , o madre. Guardarti, piangere di felicità, sapere questo: sono tuo figlio e tu sei qui. Non dire nulla, guardare il tuo volto, lasciare che il cuore canti nella sua propria lingua”. Nel suo testo “ presenza e profezia e dichiarò: “Liberiamoci una volta per sempre dell’ignominia materialistica e smettiamo di vedere negli apparati sensitivi, di cui la natura ci ha provvisti, la causa della nostra conoscenza, mentre ne sono soltanto il mezzo e lo strumento. Chi non vede come il corpo, imponendoci le sue condizioni, è per noi un limite? Fra ogni essere e noi, ci sono sempre due pareti da traversare, al sua e poi la nostra. Noi non perveniamo alla realtà intima che dubbiosamente, per via d’inizio, di congettura e d’inferenza. I nostri sensi si arrestano alla superficie e lasciano allo spirito il compito di continuare come può. Ma un essere che non fosse che spirito, il raggio del sole non traversa più prontamente il vetro, l’acqua non riempie un bicchiere più esattamente ch’esso non impegni o, per dir meglio, che non possieda, non sposi non solo la forma ma pienamente e intelligentemente quell’insieme di forze e di energie per cui la forma si mantiene presso il suo soggetto. L’essere più amato non è che uno specchio che ci attira, ci arresta e ci respinge a un tempo. Ma l’Angelo , se a lui apriamo il cuore, non c’è niente in noi ch’egli non tocchi e che non sia capace d’associare a quella libertà in lui ch’è privilegio dei figli di Dio. Egli è il contemporaneo della nostra origine e il contemporaneo della nostra ragion d’esser. Ci conosce, non per contatto parziale e per elaborazione di un segno convenzionale che il nostro giudizio interpeti, ma per un’applicazione totale del suo essere sul nostro, così come la nota è qualificata fino in fondo nella sua sostanza a mezzo del diesis. L’uomo esiste per conoscere e l’Angelo conosce per esistere. L’uomo è stato fatto per recare a Dio il consenso, l’omaggio libero e intelligente dei diversi piani della Creazione materiale che si giustappongono e si allineano sotto di lui e intorno a lui fino all’incontro del nulla. L’Angelo attinge direttamente in Dio la sua ragione d’essere e la traduce, se così si può dire, a libro aperto, per solo fatto di esistere, realizzando il suo essere secondo quel modo particolare per cui differisce dagli altri esseri. L’Angelo non ha nulla da imparare: sa ed esiste guardando…Non c’è velo. Niente nell’Angelo s’oppone alla realizzazione della persona, di quella cosa per cui è fatto; né ignoranza, né debolezza, né ostacolo. La coscienza occupa tutto e si trasforma immediatamente in volontà come il cerchio in circuito. Egli respira inesauribilmente l’Ispiratore. La visione in lui provoca un tale tiraggio sulla volontà, lo Spirito tira lo Spirito con un tale rigore che nella coerenza di tutti i suoi elementi ritmici infinitamente complessi si sprigiona direttamente dal nulla la pronunzia del Nome mirabile, dell’Essere inestinguibile”. (Paul Claudel, Note sugli Angeli, in Presenza, Milano 1959,pp. 169-172). Don Marcello Stanzione |
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