San Martino di Tours e il demonio |
Non ci sono traduzioni - There are no translations - Nein Übersetzungen - No traducciones - Aucun traductions Venanzio Fortunato, definito “agiografo professionale del suo tempo” (sec. VI), ci offre, nel suo poema in esametri “Vita di San Martino di Tours”, un racconto delle vicissitudini del Santo non propriamente biografiche,ma certo retto da un substrato storico, che ci garantisce l’autenticità della figura spirituale di questo celebre “atleta della fede”. San martino (317-397) vescovo di Tours, fondatore dei primi monasteri in Occidente, evangelizzatore della Gallia, godette grande fama non solo in Francia, ma anche in Italia dove gli furono dedicate chiese e vari paesi ebbero il suo nome. Soldato per forza, Vescovo per dovere, monaco per scelta: questa in sintesi la storia di martino di Tours, il Santo della solidarietà e della condivisione, al quale sono dedicate ben quattromila chiese solo in Francia, e che ha dato il nome a migliaia di paesi e villaggi in Italia, in Europa e nelle Americhe. In tutti i luoghi nel quale è venerato viene raffigurato mentre dona il suo mantello al mendicante. Ancora oggi ... ... quando si parla dell’estate di San Martino, viene sempre in mente l’immagine del cavaliere alto sul cavallo, che si chinò caritatevolmente su un mendicante seminudo: con un colpo di spada divise il suo mantello in sue e ne diede metà al povero. Martino, allora soldato, di fronte alla miseria del fratello che incontrò ai bordi della strada si commosse e con il suo gesto spontaneo gli diede la possibilità di ripararsi dal freddo. Per premio divino, il tempo, abbastanza rigido, divenne più mite e per tre giorni la temperatura aumentò, permettendo al povero ed al cavaliere di trovare adeguato riparo. Per questo il proverbio ricorda che l’estate di San martino dure tre giorni e un pochino. Si narra come Martino, figlio di un ufficiale romano, nato in Ungheria ed educato a Pavia, sia fuggito a dieci anni da casa per opporsi al volere del padre, un ufficiale romano di stanza prima in Ungheria e poi a Pavia, il quale voleva indirizzare il figlio alla carriera militare. Nel corso della fuga aveva incontrato una famiglia di cristiani che, dopo averlo rifocillato, lo convinsero a tornare a casa. Martino però rimase colpito da quell’esperienza e dopo quell’incontro decise di abbracciare la via del Vangelo. A quindici anni venne chiamato alle armi. Non volendo rispondere tentò la fuga, ma inutilmente. Divenuto legionario nella cavalleria imperiale, partì per le Gallie; è qui che, mentre si trovava ad Amiens, in Francia, con l’esercito dell’Imperatore, s’imbatté nel povero infreddolito. Si racconta che in quella stessa notte Gesù gli apparve rivestito del mantello donato e così Martino comprese che quel povero era Cristo. All’età di ventidue anni, pur rimanendo ancora nell’esercito, ricevette il battesimo. In seguito si trasferì a Poitiers per completare la sua formazione cristiana guidato dal Vescovo Ilario divenuto poi santo, una persona ricca di sapienza e virtù che influì moltissimo nelle scelte e nella vita di Martino. La Chiesa del IV secolo infatti viveva u periodo di forti difficoltà, continuamente attaccata dal paganesimo e dal moltiplicarsi delle eresie. Martino si fece prima eremita nell’isola di Gallinara e in seguito fondò una comunità semi eremitica a Ligugé; fu il primo monastero della Gallia tanto che San Martino è considerato il padre del monachesimo e l’apostolo delle Gallie. Divenuto sacerdote si distinse per la sua attenzione e amore alla gente della campagna prendendo a cuore la vita e i problemi di tutti. Egli seppe coniugare la spiritualità monastica con la realtà del popolo agli albori del cristianesimo, un sintesi vitale che faceva di lui una guida sicura e molto amata al punto da attirare il risentimento dei nobili e del clero del suo tempo. Quando venne eletto Vescovo di Tours, a furor di popolo, ebbe inizio per la cittadina francese uno straordinario periodo di evangelizzazione e di fermento religioso destinato a dilatarsi in tutta la Francia. Si deve a Martino di Tours l’inizio della prassi consolidata nei secoli e ancora oggi praticata da tutti i vescovi del mondo, delle “visite pastorali” ossia gli incontri amichevoli del Vescovo con le comunità parrocchiali e i loro sacerdoti, segno di vicinanza e offerta concreta di aiuto e di servizio all’evangelizzazione. Il Santo Vescovo si adoperò per la promozione delle arti e della cultura per aiutare la povera gente lottò contro ogni tipo di ingiustizia ed impressione. E proprio mentre si recava in visita pastorale a Candes San Martino morì ottantenne mentre svolgeva il suo compito episcopale. E’ il primo non martire ad essere elevato agli onori degli altari. Il Cristo Signore è il personaggio centrale nella vita di Martino. Egli è “tutto” per lui: è “amore, onore, riposo, cibo, luce, via…” . E’ Colui che egli “adora giorno e notte” e al quale raccomanda, con assoluta fiducia di essere esaudito, gli interessi di tutti gli uomini, di cui si fa “insonne intercessore”. Il Cristo viene in aiuto a Martino a questo debellatore del’eresia ariana e del paganesimo, non solo direttamente, ma anche tramite i suoi Angeli. La mediazione angelica e la lotta diuturna contro il Maligno sono due temi ricorrenti nella vita del Santo di Tours: affiancati a quello dominante dell’unione col Cristo, caratterizzato tutta l’esistenza del vescovo francese. La distruzione dei templi pagani, tenacemente difesi dai contadino nelle campagne, è parte integrante dell’azione apostolica di martino. Quando l’impresa è difficile, egli ricorre alla preghiera e al digiuno per implorare l’aiuto divino. Subito si presentano i “principi della milizia angelica” ed esortano il Santo a spezzare ogni indugio: “Irrompi , non trepidare, per far crollare i templi col nostro aiuto. Non è lecito titubare allorquando c’è il favore del Dio supremo”. Umiltà nella consapevolezza della propria insufficienza e fiducia coraggiosa nella certezza dell’aiuto dall’Alto, sono le virtù tipiche di San martino nelle sue stupefacenti imprese, e causa delle sue vittorie. Nell’azione protettiva degli Angeli, inviati dal cristo in aiuto al Santo, rientra anche la salvaguardia della salute fisica. Una volta che Martino era “ruzzolato per i gradini di una scala”, riportando numerose ferite, venne a lui di notte un Angelo che “palpando ogni ferita, con il tocco della mano”, nel sonno, lo risanò. Gli Angeli erano gli amici intimi del nostro Santo. “Fu visto spesso- narra il biografo – a conversare con loro, salutandoli con cenni della testa [mentre] venivano giù attraverso i cieli limpidi…”. Essi lo invitavano a salire lassù con loro, “come un parente o un consanguineo”. “Che ci stava a fare sulla terra quest’anima tanto libera da colpe? Che salga nei cieli!” dicevano gli Angeli. L’intimità con gli Spiriti celesti presuppone sempre l’inimicizia con lo spirito dei mali, l’angelo ribelle che odia Dio e gli uomini. Egli incontrò presto, fino dalla sua giovinezza, “l’antico nemico, ingannevole nell’aspetto sotto l’apparenza umana, bugiardo per la fede perduta, dotto nell’astuzia malvagia”. Il diavolo minacciò il Santo con queste parole: “In qualunque posto tu vuoi andare, io continuo ad andare con te nocendoti, associandomi a te contro i tuoi progetti”. E mantenne la sua perfida promessa, moltiplicando le sue apparizioni ora sotto un aspetto, ora sotto un altro; ma fu sempre sconfitto dal Santo con la croce e con la Parola di Dio, i due mezzi più efficaci alla portata di ogni cristiano. Alla maligna promessa del demonio, Opporrà un giorno una sua promessa, che potremmo definire “caritatevole”, ma irrealizzabile: “O essere perfido, e insensato, - disse al diavolo che, pieno d’ira, lo tormentava con le sue false insinuazioni – se ora tu volessi ravvederti, se tu rinunziassi a spingere alla rovina le anime, come appunto fai per mezzo dei peccati…e giudicando te stesso, tu condannassi infine i tuoi errori, io potrei promettere, fidando nella pietà divina, che Cristo avrebbe pietà di te tanto miserabile e celermente perdonerebbe la tu colpa”. Ma il demonio – sappiamo bene – non può pentirsi: in quanto puro spirito , conosce la verità per intuizione immediata senza bisogno di ragionamenti come noi uomini. In lui non è possibile alcuna esitazione. La scelta di Lucifero e dei suoi seguaci, che per superbia si ribellarono a Dio, è stata dunque definitiva, irrevocabile. Nei riguardi di S. Martino, Satana non si dette per vinto malgrado le tante sconfitte subite e sferrò un supremo attacco contro di lui. Mentre il santo vescovo pregava il Signore per i fedeli, il nemico gli apparve “brillante di una luce sulfurea, ombra irraggiante, tenebroso sotto mentito splendore”. Notiamo che il biografo moltiplica qui le immagini assai pregnanti per rendere al vivo questa falsa parusia di satana: “… sgherro in veste di re, con l’ostentazione di un superbo trionfatore (rivolto a Martino insolente infine proclama”: io sono Cristo, la tua gloria, venuto per ricompensarti delle tue fatiche”. Ma Martino non si lasciò ingannare e diede al nemico questa suprema risposta, degna di un autentico discepolo del Signore: “Se non vedrò le palme delle mani trapassate dai chiodi e i segni beati della croce che (Cristo) porta nella carne , negherò che Cristo sia venuto (a me). A queste parole , il nemico fuggì da lui “con il fetore che lo accompagna come una guardia del corpo”. Così’ commenta il biografo a conclusione di questa “parusia” di satana, che rivelò, in questo modo, la sua vera identità. Venanzio Fortunato termina la Vita di san Martino di Tours, facendo l’elogio del Santo, delle sue eccelse virtù e conclude il suo poema rivolgendosi una fervorosa preghiera personale. La descrizione della morte di Martino possiamo leggerla nelle “Lettere” di Sulpicio Severo, autore francese vissuto due secoli prima di Venanzio Fortunato, che può considerarsi l’iniziatore di una letteratura su san Martino e a cui il nostro biografo attinge abbondantemente. “Martino- narra Sulpicio Severo – previde molto tempo prima il giorni della sua morte e ne avvertì i discepoli, che a questa ferale notizia si mostrano costernati”. Commosso, Martino si rivolse allora al Signore con queste celebri parole, che riecheggiano un’espressione simile di San Paolo e che furono poi mutate da altri Santo: “Signore, se sono ancora necessario al tuo popolo, non ricuso la fatica: sia fatta la tua volontà”. Con tale atto di amore puro, mostrò all’evidenza che la sua unione trasformante nel Cristo Signore era ormai una realtà certa. Poté perciò, con tutta sicurezza apostrofare il demonio , apparsogli in quel momento: “Che fai qui bestia sanguinaria? Non troverai nulla in me, sciagurato! Il seno di Abramo mia coglie”. E nel dire questo Martino, povero e umile, spirò. La sua lotta con satana si era compiuta con la più brillante vittoria. Don Marcello Stanzione |
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