San Michele: L'Angelo dell’incenso |
Non ci sono traduzioni - There are no translations - Nein Übersetzungen - No traducciones - Aucun traductions Chi sia stato una volta a Gerusalemme ricorderà certamente le botteghe lungo la strada che porta alla basilica del Santo Sepolcro fuori delle quali si vedono sacchi di grandi incenso. I grani sono colorati a seconda del particolare aroma dell’incenso e il venditore invita ad “assaggiarli”, in senso letterale, ossia morderli leggermente per avvertire questo aroma al gusto prima che all’olfatto. Si resta un po’ stupiti da questo invito, perché non conosciamo tanti tipi di incenso. Nel rito latino, a differenza dei riti orientali dove compare sempre e con grande abbondanza, esso non trova un impiego diffuso e, in genere, anche quando lo si usa, ci si limita a pochi grani, tanto che spesso e purtroppo si “vede” salire il fumo, ma non sempre se ne avverte il profumo. Come tutti gli altri elementi simbolici legati al culto, anche l’incenso è legato a qualcosa di percepibile per rimandare ad altro; ma mentre per l’acqua o il pane o il vino questo significato “altro” è abbastanza immediato, per l’incenso, ... ... come avviene per l’olio, è necessario un piccolo lavoro interpretativo. L’incenso non è un elemento che entri normalmente nella nostra vita quotidiana e ha il carattere del superfluo. Si potrebbe vivere anche senza di esso, mentre non si può vivere senza pane o comunque senza cibo. Dice perciò, oggi e prima di tutto, il carattere del tutto gratuito dei nostri atti di culto. E’ un “di più” che significa il nostro modo di celebrare e di stare gratuitamente di fronte a Dio. Nel mondo antico invece l’incenso aveva un grande uso quotidiano. Si pensava che avesse potere terapeutico e purificasse l’arie, oltre a renderla gradevole all’olfatto e quindi, nei riti, predisponesse all’incontro con la divinità. La terra d’Israele, poi, era attraversata da quella che potemmo chiamare una “via dell’incenso”, ossia da piste carovaniere che collegando l’Arabia alla Siria ne consentivano il commercio. L’incenso infatti è una miscela di resine gommose che stillano sotto forma di gocce dalle incisioni che vengono praticate sulle piante che le producono e che crescono in Asia e in Africa. Esse solidificano al contatto con l’aria e vengono in seguito lavorate. Nelle Scritture ebraiche il suo uso è ampiamente attestato da parte dell’antico Israele. Anzitutto compare quello quotidiano in testi in cui si riconosce un influsso egiziano (Pr 7,17 e 27,9; Ct 3,6) o comunque provenienti dalla corte e dalla società alta (Sal 45,9). Nel giudaismo più tardo se ne conosce l’uso alla fine del pranzo, insieme a quello dell’olio profumato per gli ospiti (cf. Lc 7,46). Per quanto riguarda il culto, mentre è molto utilizzato in Egitto e nell’area mesopotamica, nelle Scritture compare solo tardivamente, anche se nel santuario è previsto un altare apposito per la sua offerta (Es 30,34-38) a sottolinearne l’importanza. La Misna (II sec. D.C.) in cui troviamo le testimonianze della vita ebraica al tempo di Gesù, ci dà la complicata ricetta in cui entrano molti ingredienti, così come ci riferisce l’enorme quantità di incenso adoperato nel tempio di Gerusalemme in apposite padelle con riti molto complessi. In particolare l’offerta dell’incenso accompagnava il tamid, ossia l’olocausto “perpetuo”, offerto ogni giorno, mattina e sera, dal sacerdote di turno della sua classe (cf. LC 1,8ss.) effettuata la quale egli impartiva al popolo la benedizione (Nm 6,24-26) che, come sappiamo, Zaccaria non riuscì a pronunciare. Forse perché sacrificio “perpetuo”, l’incenso diventa la metafora della preghiera (Sal 141,2) che sale a Dio come nostro sacrificio quotidiano e costante, e che ognuno di noi realizza particolarmente con la recita dei salmi nella Liturgia delle Ore. Veniamo ora all’incensazione fatta per l’intercessione di S. Michele. Il sacerdote, all’inizio della Liturgia Eucarestia, messo l’incenso nel turibolo, lo benedice e poi incensa tutto l’altare, in onore del Signore. L’incenso viene benedetto, nella Messa in forma extraordinaria o Messa di san Pio V, con la preghiera: “Per intercessionem beati Michaelis Archangeli, stantis a destri altaris incensi, et omniu electorum suorum, incensum istud dignetur Dominud benedicere, et in oderem suavitatis accipere “ (Per intercessione di S. Michele arcangelo, che sta alla destra dell’altare dell’incenso, e di tutti i suoi santi, il Signore voglia benedire questo incenso e accoglierlo come profumo a Lui gradito). Questa benedizione è più solenne della prima, nella quale si dice “Ab illo benedicaris, in cuius cremaberis” (Ti benedica Colui in onore del quale sarai bruciato). Qui sono invocati gli angeli perché il mistero dell’incenso non rappresenta altro che la preghiera dei santi presentata a Dio dagli angeli, come dice San Giovanni nell’Apocalisse (8,4): “Est ascendit fumus incenso rum de orationibus sanctorum de manu angeli coram Deo” (E dalla mano dell’Angelo il fumo degli aromi ascende con la preghiera dei santi davanti a Dio). Ancor prima, cime spiega Prosper Guéranger, “siccome il pane e il vino che ha offerti hanno cessato dì’appartenere all’ordine delle cose comuni e usuali , [il sacerdote] li profuma con l’incenso, come fa per Cristo stesso, rappresentato dall’altare”. Belle le parole che accompagnano l’incensazione prima in forma di triplice croce e poi di triplice cerchio sul pane e del calice: “Incensum istud a Te benedictum ascendat ad Te Domine et discenda super nod misericordia tua” (Ascenda a te, Signore, questo incenso da Te benedetto e discenda su di noi la tua misericordia). E’ tutto il senso della, liturgia, che ascende a gloria della presenza divina e discende per la nostra salvezza- in latino, salvare vuol dire conservare – affinché siamo completamente noi stessi e possiamo vivere in eterno con Dio. Il sacerdote si inchina “in spirito di umiltà e con animo contrito” affinché il sacrificio si compia alla presenza di Dio in modo da essere gradito; poi invoca lo Spirito sulle offerte. Il sacerdote, rendendo il turibolo al diacono, gli rivolge un augurio che fa ugualmente a sé medesimo, dicendo: “ Accendat in nobis Dominus ignem sui amoris, et fiammam aeternae caritatis” (Il Signore accenda in noi il fuoco del suo amore e la fiamma dell’eterna carità). Il diacono, ricevendo il turibolo, bacia la mano del sacerdote e poi la parte superiore delle catene, invertendo l’ordine delle azioni che aveva compiuto presentandoglielo. Tutti questi usi sono orientali e la liturgia cattolica li conserva perché sono dimostrazioni di rispetto e riverenza. Dunque, la Chiesa non ha escluso gli aromi dai suoi riti, anzi usa il balsamo per preparare il Crisma. L’incensazione simboleggia il sacrificio perfetto dei santi doni del pane e del vino, cioè Gesù Cristo, a cui sono unite le nostre persone in sacrificio spirituale, emananti profumo soave che sale al cielo (cf. Gen 8,21; Ef 5,2); così sono le preghiere dei santi (Ap 5,8) e le virtù dei cristiani (2 Cor 2,15). Sarebbe molto opportuno che nelle nostre liturgie cattoliche si riprendesse non solo l’uso dell’incenso che in tantissime parrocchie è stato completamente abolito, addirittura non si usa neppure più alla fine del funerale per incensare la salma… ma anche al termine della Messa riprendere di nuovo la preghiera finale a san Michele Arcangelo che il papa Giovanni Paolo II ha invitato a fare pur non essendo purtroppo più obbligatoria come una volta. Don Marcello Stanzione |
< Prev | Next > |
---|