Impronte di fuoco delle anime del Purgatorio o purganti |
Nel suo libretto devoto “Sofferenza, consolazione ed aiuto delle anime del Purgatorio”, il Preposto al monastero di Innichen (Tirolo) Dr. J. Walter, scriveva: “Ad Hall, in Tirolo, un cappellano che era stato anche predicatore in città, apparve diversi anni dopo la morte al suo successore e gli chiese aiuto, dovendo soffrire nel predicare. Come prova del fuoco da cui era tormentato ed a dimostrazione che la sua apparizione non era un’illusione, impresse il pollice sulla copertina di un libro, fatta di legno e ricoperta di cuoio. Osservandola da vicino, si vede che l’impronta può essere stata lasciata soltanto da un dito bruciante, che ha corroso a fondo, e di un solo attimo, altrimenti ci sarebbero tracce di bruciature attorno. L’impronta invece attraversa la spessa copertina e altre 40 pagine del libro, e la macchia di bruciato, sempre più debole, si vede per altre 30 pagine. Si provi ad ottenere lo stesso risultato con un proiettile pur infuocato, e non si riuscirà. Il caso fu studiato con ogni cura anche a suo tempo; ... ... gli atti ed il libro suddetto si trovano ancora ad Hall. Il libro è e resta a testimonianza dell’immenso bruciore del fuoco del Purgatorio, come pure della terribile pena che deve causare investendo tutta l’anima”. Secondo i documenti consultati, lo spirito del cappellano morto, interrogato, ha risposto: “Sono Christoph Walpach e soffro già da 65 anni”. Quanto alla causa disse: “In primo luogo perché a volte aveva accettato e celebrato delle Messe votive, dimenticando e non completando il numero di quelle obbligatorie, e poi perché era stato impaziente ed irritabile, quando aveva avuto un piccolo auditorio alle sue prediche. Aspettava la Signora Walpach (era la moglie di un altro Christoph Walpach, ancora vivo, che era morta di parto la domenica Laetare –IV di Quaresima). Per sollecitare la propria liberazione poteva disporre soltanto di 6 mesi; se nel frattempo la sua liberazione non fosse avvenuta, avrebbe dovuto soffrire altri 50 anni. La governante di casa del Cappellano Eberle, Elisabetta Tannhoferin, che era entrata al suo servizio il 26 luglio 1669, giurò, come molti altri testimoni, di aver visto spesso lo spirito e di avergli spesso parlato, di averlo visto anche in chiesa, come se fosse un sacerdote estraneo, ma che, standogli vicino, aveva sentito un calore enorme. Una volta anzi lo spirito l’aveva urtata, e a dir il vero tre volte di seguito, perché essa non aveva fatto quel ch’egli desiderava. Più tardi lo spirito era apparso con una pianeta bianca e con una corona del rosario pure bianca e le aveva detto: “Ora sono qui, ti comunico così la mia liberazione e ringrazio mille volte te e tutti quelli che mi hanno aiutato”. Dietro proposta del Cappellano Eberle, Vicario generale, il principe Vescovo di Bressanone formò una commissione che studiasse il caso ed interrogasse i testimoni. Già alla prima impressione è difficile dubitare dell’autenticità dell’impronta, quando si sia visto il libro con il segno del pollice a fuoco. Innanzi tutto dall’uniformità dell’impronta che ha trapassato la copertina si può dedurre che la bruciatura è avvenuta d’un sol colpo. E’ caratteristica anche la diminuzione della pressione nelle pagine del libro, che corrisponde pienamente a quella di un pollice reale. Seguono alcuni fogli in cui si può vedere scemare la macchia di bruciato, mentre nelle precedenti vi era il buco che si restringeva sempre più. Una bruciatura che si potesse imitare perfettamente, sarebbe un capolavoro nel senso più completo della parola. Alla luce dei fatti scrupolosamente constatati, anche questo caso può essere definito corrispondente alla verità. Già Daumer che esaminò un’impronta per bruciatura simile a questa – si tratta del caso di una ragazza di Orlach (Wurttemberg) alla quale era apparso uno spirito che aveva impresso la propria mano nel fazzoletto di cotone azzurro di lei – nota :”Se i segni della bruciatura sulla stoffa fossero un inganno, si vedrebbe semplicemente l’immagine di una mano, e si sarebbe evitato di farvi più buchi e strisce di quanto fosse necessario per ottenere tale immagine. La nostra relazione tratta di un fatto vero, avvenuto realmente nella storia, messo in contrapposizione a qualcosa di artefatto, perché l’inganno in genere è grossolano e balordo, va direttamente allo scopo, cerca di fare sulla persona da ingannare una impressione facile e rapida, che non sia ostacolata e disturbata da altre circostanze, e non tien conto delle lente deduzioni di uomini che pensano ed esaminano a fondo”. L’abate benedettino Calmet narra un caso, secondo il quale il 17 settembre 1625 ad Altheim, nel vescovado di Costanza, uno spirito apparve al sarto Simon Bau, e lasciò l’impronta a fuoco della propria mano su una sedia che il sarto gli aveva teso. Il Maggiore Generale D. Peter, nel suo libro “Il fenomeno della mano impressa a fuoco” riferisce anche alcuni altri casi, tra i quali due di Justinus Kerner ed uno di Gerber. Secondo costui, ad Elisabetta Seiler, donna di servizio di Oberrufhausen, presso Fulda, nel 1837 era apparso lo spirito della zia, morta 13 anni prima, e le aveva lasciato in fondo alla gonna un gran buco, oltre a tanti altri piccoli; tutti per bruciatura. Il Dr. Bormann, in “Mondo sovrasensibile”, narra un caso che si verificò nel 1848. Caterina, donna di servizio, mentre si trovava in chiesa durante una Messa celebrata su richiesta di uno spirito che le era apparso varie volte, vide con spavento che una mano rovente passava sul suo libro di preghiere, e per la paura svenne. Sulle pagine di quel libro, in 5 punti neri isolati si poterono riconoscere le punte delle dita impresse a fuoco, e si vide che il polpastrello del pollice aveva bruciato i fogli da parte a parte. L’avvocato Zingaropoli pubblicò nel periodico italiano “Luce e ombra” (1910) parecchi casi del genere. Degno di nota è il seguente: suor Isabella Fornari del convento delle Clarisse di Todi si era offerta di soffrire per l’anima del defunto Rev. Abate Panzini, Olivetano, perché potesse esser liberato dal Purgatorio prima del tempo. Un giorno, durante la Messa , la suora ebbe l’apparizione del morto che la ringraziò e le disse che ora era libero. Poi appoggiò una mano su una lavagnetta ch’essa aveva in mano e quindi fece un segno di croce. Mano e segno della croce vi rimasero impresse; poi lo spirito appoggiò la lavagnetta contro il braccio della suora, che dalla semplice pressione ebbe una ferita che portò fino alla morte. La suora, in seguito divenuta Badessa, morì nel 1744, in odore di santità. In un Miscellanea della biblioteca Vittorio Emanuele di Roma, che proviene dal soppresso convento di San Pantaleo e che porta la segnatura 59 rosso, 84, si trova la testimonianza fatta sotto vincolo di giuramento del nobiluomo Domenico Denza, quarantenne, Cavaliere del S. Sepolcro, di costumi ineccepibili e molto stimato in tutta Roma. Quella Miscellanea è certamente del XVII sec. E la relazione che contiene riguarda un’indagine fatta dal Card. Carpegna per ordine di Innocenzo XI; si riferisce ad un’apparizione di spiriti avuta dal cavalier Denza. Costui aveva visto diverse volte in sogno una donna biancovestita. Nella notte del 19 aprile 1683 fu destato da una voce che lo chiamava per nome, e quando aprì gli occhi si trovò davanti la stessa figura che aveva visto varie volte in sogno. Le chiese chi fosse ed essa rispose che era la Marchesa laura Poppoli Astalli, morta da poco, che era venuta per pregarlo di dire a suo marito che aveva bisogno di 200 Messe. Quando Denza le fece notare che non gli avrebbero creduto e l’avrebbero preso per pazzo, essa pose la mano sulla coperta del letto e disse: “Fai vedere il punto ch’io tocco” e scomparve. Denza seguì il consiglio dell’apparizione e mostrò al fratello, giunto al suo grido, la coperta, facendogli constatare che vi era bruciata la forma di una mano. Il cronista, riportando la narrazione fatta da Denza sotto vincolo di giuramento, aggiunse che l’impronta della mano era così chiara che le dita, ben distinte l’una dall’altra, avevano lasciato dei segni rosso – scuro, mentre le superfici della mano, nelle parti non sporgenti, erano rimaste in bianco. Inoltre si notava lo storcimento del mignolo, un difetto che la Marchesa aveva fin dalla fanciullezza, in seguito ad una caduta. Durante tutta la vita aveva portato dei guanti per questa ragione, e pare che Dio abbia in tal modo reso riconoscibile la mano dell’Astalli, affinché non si potesse dubitare che l’impronta straordinaria era sua. E’ certo che al vederla i suoi più intimi esclamarono: “E’ la mano della Marchesa Astalli!” Pareva troppo grande per essere una mano femminile, ma quando la si misurò coi guanti della defunta, coincideva esattamente. In questo stato l’impronta fu vista e riconosciuta da molti, uomini e donne, da Prelati, cardinali e dal Principe Livio Odescalchi, ma da nessuno con maggior reverenza che dalla Regina Cristina di Svezia, allora a Roma, e da S. Santità il Papa stesso. Don Marcello Stanzione |
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