L'abito angelico |
L’abito religioso è il «segno» esteriore della vita angelica che il religioso e la religiosa vivono sulla terra; è il «segno» visibile e tangibile che essi vogliono vivere non più secondo la carne, ma secondo lo spirito. «La tonaca... — diceva S. Francesco d’Assisi — porta in sé il sigillo della santità». I Santi e i maestri della vita monastica «sono unanimi nell’interpretare il loro abito come simbolo della vita angelica da essi condotta», dice il Leclerq. L’abito lungo, ampio, semplice, che avvolge tutta la persona, dalla testa (con il velo o il cappuccio) ai piedi, da l’idea e l’impressione di un abito degli abitanti del cielo, e sembra trasmettere quella leggerezza del corpo spiritualizzato, quasi quell’essere «spirito» degli Angeli. La grande mistica tedesca, Santa Ildegarda, scriveva che l’abito monastico conferisce ai monaci e alle monache «qualcosa della luce angelica e, come ali, serve ad elevarli». La vestizione dell’abito religioso, quindi, fa apparire il consacrato simile agli Angeli e richiama fortemente alla vita angelica del Paradiso. E non è forse questa l’impressione viva che si prova di solito al vedere un gruppo di suore o di frati rivestiti dell’abito angelico? Paiono davvero esseri dell’aldilà. «Coloro che sono sposati — dice il Papa Pio XII — e perfino quelli che stanno immersi nel fango dei vizi, quando vedono le vergini, ammirano spesso lo splendore della loro bianca purezza e si sentono spinti verso un ideale che supera i piaceri del senso». È tradizione costante, del resto, che durante la vestizione religiosa c’è una presenza speciale degli Angeli che rivestono la persona della «veste angelica». E anzi, «il rituale della chiesa greca — afferma il Leclerq — sottolinea la presenza degli Angeli alla vestizione monastica». E gli Angeli, rivestendo la persona della «veste angelica», la rivestono e l’arricchiscono interiormente della «virtù angelica», che è particolarmente la verginità liliale della mente, del cuore, della volontà e dei sensi, che è chiamata anche «purezza angelica», come dicevano già gli antichi. E ogni giorno, si può ben credere, l’Angelo custode è veramente felice di rivestire della «veste angelica» chi indossa con fede e porta con amore l’abito religioso, segno e sigillo della consacrazione totale a Dio, dell’appartenenza esclusiva a Lui. L’abito completo monastico è quello che più di ogni altro viene definito «angelico». Esso è composto da «un cappuccio che ricopre il capo, uno scapolare che scende fino ai piedi, un mantello — pallio o cocolla — che si stende sulle braccia; questi tre vestiti, ciascuno dei quali è doppio perché ha due facce o lati, simboleggiano le sei ali che velano completamente i cherubini e i serafini» Asceticamente, la consapevolezza della presenza e dell’aiuto dell’Angelo custode serve molto efficacemente al raccoglimento, alla modestia e soprattutto alla soprannaturalizzazione dell’atto per sé materiale di indossare l’abito. E chi è fedele in questo non può non provare, di solito, la gioia dell’essere rivestito di angelicità: «Sento tanta fede nell’abito religioso — diceva e scriveva Santa Veronica Giuliani — che il solo baciarlo apporta contentezza». Così come è salutare ricordare gli esempi edificanti di tanti frati, i quali, fin dai primi tempi del francescanesimo, portavano sempre l’abito indosso, con amore e decoro. «Chi portava l’abito religioso — poteva scrivere il B. Tommaso da Celano — rifulgeva per esempi di santità». Tratto dal testo "Vita religiosa Vita angelica" Ed. Casa Mariana Regina della Pace Benevento |
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