In tutte le librerie l'ultimo testo di Don Stanzione sulle apparizioni delle anime del Purgatorio |
Non ci sono traduzioni - There are no translations - Nein Übersetzungen - No traducciones - Aucun traductions L’editrice Segno di Udine presenta in tutte le librerie cattoliche d’Italia il libro scritto da don Marcello Stanzione dal titolo “ Apparizioni straordinarie delle anime del purgatorio” , pp.205 al prezzo di euro 15. Tutti i cristiani sono chiamati alla perfezione. Gesù nel Vangelo, espressamente dice: “Siate perfetti, come è perfetto il Padre Vostro celeste”. Pochi, però, sono tanto generosi da servire fedelmente Dio e vivere sempre nella sua grazia. Molti, pur professandosi cristiani, non si liberano completamente dalle affezioni, dalle inclinazioni e passioni peccaminose. Per soddisfare la giustizia di Dio, i peccati commessi devono necessariamente essere espiati o in questa vita o nell’altra. La Confessione ci assolve dalla colpa ma non dalla pena. Perciò chi muore nella grazia, ma non ha soddisfatto pienamente la giustizia divina con la penitenza o con atti di carità, va in Purgatorio, dove si purifica fino a quando non diventa degno di essere ammesso alla visione beatifica di Dio. Per le anime ... ... che sono nel Purgatorio non è più possibile un accrescimento di grazia, rispetto a quella raggiunta al momento della morte; esse, però, pur tra indicibili sofferenze, vivono in un progresso continuo dalle tenebre della fede alla luce della visione. Nella sessione venticinquesima del 3 e 4 dicembre 1563 del Concilio di Trento, i Padri Conciliari parlano espressamente del purgatorio: “Illuminati dallo Spirito Santo, attingendo dalla Sacra Scrittura e dall’antica tradizione dei padri, la Chiesa cattolica nei sacri concili e ultimamente in questo Sinodo universale, ha insegnato: “C’è uno stato di purificazione (Purgatorio) e le anime in esse trattenute trovano nei suffragi dei credenti, specialmente nel sacrificio dell’altare a Dio accetto”. Per ciò il santo Sinodo prescrive ai vescovi: “Essi devono adoperarsi diligentemente affinché la sacra dottrina nel purgatorio così come è tramandata dai santi Padri e dai Concili della Chiesa, venga dai fedeli di Cristo creduta , tenuta ferma, insegnata e predicata dappertutto”. Da questo testo risultano chiari e incontrovertibili due punti: la purificazione delle anime dopo la morte e la possibilità dei vivi di aiutare le anime purganti con atti di carità , preghiere e soprattutto offrendo per loro il sacrificio della Santa messa, per sollevarle e abbreviarne ardentemente la completa purificazione, per essere ammesse alla visione di Dio, ma non possono ridurre le proprie sofferenze da sole né abbreviarne la durata, se noi non le aiutiamo con preghiere, penitenze e atti di carità. Gli Ebrei, stando alla Bibbia, offrivano, nel Tempio, sacrifici per i defunti. Difatti la Sacra Scrittura riferisce che Giuda Maccabeo raccoglieva offerte in danaro che inviava a Gerusalemme per suffragare le anime dei soldati caduti in guerra: “E’ cosa santa e salutare pregare per i defunti, affinché siano sciolti dai loro peccati”. Giuda Maccabeo, discendente di Mattatia, era membro dell’illustre famiglia degli Asmonei, vissuti in Palestina fra il secondo ed il primo secolo avanti Cristo. Giuda divenne il paladino della lotta ebraica contro l’oppressore siriano il re Antioco IV Epifane, assumendo il nome di “ Maccabeo”, nome che accenna ad un versetto dell’Esodo che dice: “ Chi è come te tra i potenti, o Eterno?”, le cui parole ebraiche formano con le loro iniziali il termine “ Maccabei” soprannome che venne esteso a tutti i combattenti per la causa di Israele. Le vicende di questo periodo sono narrate nel primo e secondo libro dei Maccabei che rientrano tra i testi dell’Antico Testamento.La Bibbia approva la pia pratica di offrire sacrifici per i defunti e non condanna altre pie pratiche fatte con l’intenzione di beneficiare l’anima di chi è passato all’altra vita. Esamineremo un testo biblico, che appartiene all’Antico testamento. Un sacrificio per i morti. Assai noto è un testo del “Secondo Libro dei Maccabei”, che dice:”Il giorno seguente gli uomini di Giuda andarono, quando già tale azione si imponeva con urgenza, a raccogliere i corpi dei caduti per inumarli presso i loro parenti nei sepolcri dei loro padri. Essi trovarono sotto la tunica di ogni morto oggetti sacri agli idoli di Jamnia, che la legge interdice ai Giudei. Così fu palese a tutti il motivo per cui erano morti. Tutti, allora, benedicendo le opere del Signore giusto che rende manifeste le cose occulte, accorsero a pregare, supplicando che il delitto commesso venisse completamente perdonato. Allora il forte Giuda esortò la moltitudine a conservarsi senza colpe, vedendo coi propri occhi ciò che era successo per il peccato di coloro che erano caduti. Dopo aver raccolto quasi duemila dracme d’argento secondo la possibilità di ognuno, le inviò a Gerusalemme perché fosse offerto un sacrificio per il peccato. Questa fu una buona e nobile azione, perché ispirata dal pensiero della risurrezione. Infatti, se non avesse sperato che coloro che erano morti sarebbero risorti, sarebbe stato superfluo e vano pregare per i morti. Inoltre egli pensava alla magnifica ricompensa riservata a coloro che si addormentavano nella pietà. Santo e pio pensiero! Perciò egli fece compiere un sacrificio espiatorio per i morti affinché fossero assolti dal peccato” (2 Maccabei 12, 39-46). L’episodio qui narrato si colloca nella guerra d’indipendenza degli Ebrei contro i popoli vicini e l’ellenismo (i Greci), sotto la guida di Giuda Maccabeo durante la prima metà del II sec. A. C.. In una battaglia Giuda sconfigge Gorgia, governatore dell’Idumea, la regione situata a sud della Palestina; ma perde sul campo di battaglia un certo numero di soldati. A battaglia finita, nel compiere il pio ufficio della sepoltura, gli uomini di Giuda trovano sotto la tunica dei soldati uccisi alcuni oggetti sacri e divinità pagane, di cui i morti si erano impossessati, violando la legge giudaica che proibiva una tale cosa (cf. Deuteronomio 7, 25-26). Giuda considera la morte di quei soldati come un castigo di Dio per tale loro colpa; ma era convinto che quei combattenti si erano addormentati nella pietà (verso 45). Erano infatti caduti combattendo per una nobile causa. Pensò tuttavia che avessero bisogno di essere purificati. Compresi da tale sentimento, Giuda e i suoi soldati accorsero a pregare e anche a far pregare per i compagni caduti. Fece una colletta di quasi duemila dracme d’argento e la inviò a Gerusalemme perché fosse offerto un sacrificio espiatorio affinché i soldati caduti in battaglia fossero purificati dal peccato. Dal racconto risulta abbastanza chiaro che tra gli Ebrei al tempo dei Maccabei (II sec. A. C.) vi era la convinzione sulla possibilità di essere purificati dal peccato anche dopo la morte e così fatti degni della risurrezione tra i giusti. Questo è uno degli elementi costitutivi della dottrina cattolica sul Purgatorio. Ma è soprattutto chiaro che i vivi possono contribuire alla purificazione dei defunti. Ne è indicato anche il modo, cioè preghiere e sacrifici. Giuda e i suoi uomini sono convinti che il sacrificio era offerto perché fosse eliminato ciò che separava l’uomo da Dio. L’autore sacro loda il gesto di Giuda e dei suoi compagni con la semplice esclamazione: “Santo e pio pensiero!”. Questo basta per dire che siamo qui in presenza d’una dottrina ispirata da Dio e non già frutto di speculazioni più o meno emotive o, peggio, di superstizione. Qui abbiamo in sostanza la dottrina del Purgatorio come insegnata dalla Chiesa Cattolica e non si può negare che abbia una solida base nella Parola di Dio. Anche il profeta Malachia ci parla del Signore che “purificherà i figli di Levi”. Nella Bibbia si dice pure che gli Ebrei piansero per trenta giorni continui la morte di Aronne come pure quella di Mosè, non soltanto per l’affetto che nutrivano nei loro riguardi, ma anche perché, nel loro intimo, credevano in una vita dopo la morte. Unendo le sue sofferenze a quelle di Cristo, Veronica si sostituisce ad espiare le pene temporali anche per le anime del Purgatorio, pene che la santa non potendo spiegare in una terminologia umana sufficientemente chiara, preferisce definire con immagini quali: fuoco, ghiaccio, ruote, rasoi, spade, in stato di profondo abbandono, senza refrigerio, morendo nel morire. Alfonso Maraffa |
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