Un miracolo di San Filippo Neri a Roma |
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… vedute e avvicinarsi così a una più completa conoscenza della vita, attraverso nuove esperienze. Seguì con vivace interesse gli studi di filosofia e teologia, appassionandosi ogni giorno di più alla vita quotidiana della gente. Si mantenne esercitando più lavori, ma sempre in un ambito finemente intellettuale; fu precettore, dilettandosi anche nella scrittura di poesie. Pur essendo un laico, sentendo crescere in sé l’esigenza di avvicinarsi al Signore, egli organizzò con alcuni dei giovani che frequentava una sorta di congrega, per costruire insieme un cammino di Fede e, soprattutto, di supporto per i meno fortunati. Oltre alle preghiere e alle riflessioni filosofiche sulla teologia cristiana, questa sorta di confraternita spese molte energie, per garantire aiuto e conforto agli altri. Tanto che, in breve tempo, la sede dei loro incontri si trasformò in un ostello, poi intitolato alla Trinità. Una così forte condotta cristiana spinse egli a un’inarrestabile crescita interiore. Con il passar del tempo, il desiderio di comunicare con Dio attraverso la preghiera divenne addirittura un bisogno. In particola modo, la notte, libero dai servizi, usava isolarsi nella Catacomba di S. Sebastiano, in meditazione. Più tardi, ripercorrendo la sua straordinaria storia, raccontò di quella notte del 1544 quando il suo generoso cuore sperimentò gli effetti dell’estasi dell’amore divino. Una straordinaria serenità d’animo rispetto alla figura di Dio, che di li in poi guidò ogni suo passo e gesto nella divulgazione della Parola del Signore. Sette anni dopo, abbandonò la laicità e venne ordinato sacerdote. La sua prima destinazione fu il Convitto Ecclesiastico di S. Girolamo, dove, grazie alla sua capacità di saper dialogare attraverso il cuore, divenne un eccellente confessore. Adiacente alla Chiesa venne costruito un luogo d’incontro riservato ai fedeli, per confrontarsi e per prestare aiuto psicologico e materiale ai più disagiati. Qui, si divulgò la musica d’insieme, cantata ed eseguita da laici e cristiani: narrazioni religiose e preghiere venivano cantate all’unisono dai solisti o dal coro. Uno spazio nuovo, concepito al di fuori della sacralità della chiesa, dove lo spirito ricreativo, fondendosi con la realtà cattolica, dava ai fedeli l’opportunità di confrontarsi quotidianamente in un cammino di Fede. Questo luogo venne definito “oratorio”: parlare e pregare stando insieme. Aiutato in questa sua opera di aggregazione laico - ecclesiastica dai numerosi giovani che frequentavano l’innovativo spazio, intorno al 1575 Filippo Neri diede vita alla Congregazione dell’Oratorio. Una “famiglia allargata”, per la quale il prete rivoluzionario costruì addirittura una chiesa nella zona di Santa Maria in Vallicella, alle spalle di Piazza Navona. Una novità eclatante questa “Chiesa Nuova” dove, senza il vincolo del voto, l’attività dei chierici contribuì notevolmente a catalizzare la curiosità dei romani. In breve tempo, la Chiesa Nuova divenne irrinunciabile meta di migliaia di fedeli: senza vincoli sociali, nobili e contadini, ricchi e poveri, si trovavano fianco a fianco in preghiera, o uniti nel coro di una canzone. L’aspetto anticonvenzionale che caratterizza il senso di aggregazione ideato e realizzato da egli, suscitò numerose reazioni di sdegno. Accuse a volte dure, spesso accompagnate da maldicenze tese a screditare le opere della Congrega. Ma fu lo stesso Filippo Neri, con i suoi modi, con la straordinaria capacità di comunicazione, a stemperare di volta in volta gli animi. In fondo, la sua, era comunque una missione. E dunque, seppure discutibile il metodo, la resa, in termini di partecipazione e di fede, premiava senza ombra di dubbio la sua discussa intuizione. Con il tempo, l’oratorio divenne un elemento primario dell’attività ecclesiastica. Aveva capito che una pianta va coltivata prendendosi cura delle sue radici, ed i giovani, rappresentavano il futuro ed il proseguimento del cammino divino. Visse e lavorò per i giovani, insieme a loro. Anche le persone più mature si resero conto di come il contributo di questi ultimi, con i loro entusiasmi, contribuisse a costruire una cristianità allegra e vivace. Alla riesumazione del cadavere di san Filippo, il corpo, sebbene non fosse imbalsamato, fu trovato intatto e senza il minimo odore di decomposizione. Nel suo entusiasmo, il barone decise di far costruire al Santo una Cappella preziosissima, e precisamente quella in cui ancor oggi è sepolto, a Roma. La costruzione era quasi alla fine, quando il figlioletto del barone, a cui era stato imposto il nome di Filippo, si ammalò di vaiuolo in modo così grave che i medici lo dichiarano spacciato: si aspettava la sua morte da un momento all’altro. Fuori di sé per l’affanno ed il dolore, il padre andò in un’altra stanza ed esclamò piangendo: “O mio Padre, è proprio vero che nella cappella che ho fatto costruire in tuo onore debba seppellire per primo l’unico figlio maschio che ho avuto per tua intercessione?”. Il lamento era appena uscito dalle sue labbra, che il bimbo si destò come da un sonno profondo e chiamò più volte: “Papà!”. Il padre fu richiamato in gran fretta dalla figlia maggiore, ch’era rimasta nella camera del malato, e con sua indicibile gioia sentì che il bimbo, che prima balbettava qualcosa soltanto a fatica, diceva gioiosamente , in modo così chiaro che tutti poterono udirlo: “Papà, sto bene, il nonno mi ha guarito”. Intendeva dire S. Filippo, che gli avevano insegnato a chiamare così, dato che era stato battezzato col suo nome, ed il cui ritratto gli veniva mostrato spesso, mentre gli veniva detto che era il nonno. Però per essere sicuri il padre e gli altri chiesero al bimbo se non era invece stata la nonna. “No, no” esclamò egli a voce ancor più alta “no, era il nonno”. Infine gli fu mostrato il ritratto del Santo, alla cui vista egli disse: “Si, è lui che mi ha guarito”. Don Marcello Stanzione |
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