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Klopstock e gli Angeli PDF Print E-mail
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Klopstock e gli AngeliIl poeta tedesco Friedrich Gottlieb Klopstock nacque a Quedlinburg in Sassonia nel 1724 e morì ad Amburgo nel 1803.Dopo studi teologici a Jena e a Lipsia, nel 1751 si trasferì a Copenaghen su invito del re di Danimarca; nel 1770 rientrò ad Amburgo, dove  morì. La fama gli venne dalla Messiade (Der Messias), poema epico in 20 canti, in esametri, scritto dal 1748 al 1773. Il tono religiosamente ispirato del poema, che narra, sulla base delle fonti bibliche, la passione di Cristo e la vicenda della redenzione, deriva dal ,pietismo, del quale il capolavoro si esprime, in ritmi solenni, l’inesausta tensione morale. Molto ammirata dai comportamenti fu anche la produzione lirica: odi e inni presentano novità di contenuti (esprime a Dio la sua gratitudine per il dono dell’immortalità dell’anima e della capacità di percepire l’armonia dell’universo) e varietà di soluzioni metriche. I drammi della trilogia di  Arminio (1769-87), influenzati dal gusto dell’ossianesimo. Rappresentano il tentativo ... 

...  di creare un teatro nazionale tedesco. Il suo stile, caratterizzato da una ricerca di movimento di ritmo, di chiaroscuro, si pose subito in contrasto con l’artificioso roccocò e con le poetiche classicistiche.

Nei confronti dello – Sturm und Drang, ebbe una funzione di stimolo; la sua fortuna decadde invece più tardi, con l’avvento del classicismo weimeriano, frutto del sodalizio tra Goethe e Schiller.

Nel poema tedesco “Il Messia”, gli Angeli non sono, come nel  “Paradiso Perduto”, gli attori principali; ciò nonostante vi sono introdotti a schiere, buoni e cattivi, con missione simile a quelle loro assegnate dal Milton.

Sono i custodi dei mortali che appaiono nel dramma, o i perfidi istigatori di questi al male che deve dannarli. E’ l’eterna lotta fra i principali del bene e del male. Però gli Angeli buoni parlano poco agli uomini, piuttosto muovono il loro cuore, illuminano la loro mente, li determinano interiormente al bene; ciò sembra più consono al carattere degli Angeli.

Ma parlano invece molto fra loro, con Dio, con gli spiriti dei mortali sciolti dal corpo; e in queste conversazioni sono eloquenti, talvolta loquaci. I sentimenti ch’esprimono, i moti d’animo rivelati dalle loro parole, sono in tutto simili a quelli che uomini buoni, perfetti rivelerebbero, posti nelle medesime circostanze. Sono spiriti con psicologia umana, come nel Milton, in tutto accessibili all’uomo. Vibrano al tocco dell’amore, ma anche a quello dell’ira, dello sdegno, e perfino della vendetta. Ecco il serafino Ituiele, custode di Giuda, a colloquio col Messia, nella notte del tradimento.

I suoi accenti rivelano assai più di sdegno e d’ira per il traditore, che d’amore per il suo Dio. Con quel sangue che fui versato Iscariota il suggello fatal segnossi in fronte. Il santo aspetto del Figliol dell’uomo gli sia tolto per sempre. Erri nel cupo dei regni eterni della morte.

Il serafino Eloa parla ora dell’eterno Padre che si appresta a discendere sul Tabor per giudicare il Messia morituro. Dopo una descrizione lunghissima della commozione della natura in cospetto del corruccio del Creatore, ecco come Egli inveisce contro Satana: “O vindice Signor, fa ch’io l,o veda sotto il peso del tuo braccio percosso levar si forte il disperato grido che terra e ciel ne suoni e roteando negli usati loro giri, all’altra luci narrino gli astri: il gran ribelle è spento!”.

Giusta ira, contro il nemico di Dio. Ma non sembra rivelare una  qualche intima commozione nello spirito che così se ne investe? E più lontano lo stesso Serafino manifesta così il suo terrore dell’ira divina: “O Padre, quella luce feral me non percuota come or la terra, al novero dei vivi tolto io stesso sarei, ne più s’udria nella reggia del ciel d’Eola la voce”.

Ecco nei commossi accenti dell’Angelo, il timore prima, un accorato rimpianto poi, al solo pensiero di dover perire. “Nella reggia del ciel… “ l’amore alla patria beata; “D’Eola la voce…” l’amore di se stesso, il dolore della fine soltanto prevista come remota possibilità. Sentimenti non indegni certo della natura angelica, ma piuttosto poco rispondenti alla realtà di essa quale la conosciamo per fede.

Don Marcello Stanzione

 
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