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Giordano Bruno fu davvero un martire della libertà di pensiero? PDF Stampa E-mail

Giordano Bruno fu davvero un martire della libertà di pensiero?Il processo di Giordano Bruno è diventato, insieme a quello di Galileo, il caso simbolo utilizzato regolarmente per criticare la Chiesa cattolica da parte dei suoi nemici, che in realtà o sono degli emeriti ignoranti circa la vera storia di Bruno, o sono  persone in perfetta malafede che fanno un uso strumentale del caso della condanna a morte di Giordano Bruno per alimentare il loro odio diabolico contro il Cristianesimo.  Alimentare l’odio contro la Chiesa è in realtà  il vero e unico obiettivo di questi pseudo intellettualoidi. Bruno muore all’inizio del 1600 e il suo caso non suscita un particolare scalpore ai suoi tempi. Se si escludono i circoli èlitari di alcune corti europee non si può dire che le sue opere avessero mai avuto una fortuna critica particolarmente marcata; infatti sono piene di contraddizioni e per lo più poco o niente chiare. La “fortuna” di Bruno inizia con l’avvento della cultura romantica; in particolare il filosofo idealista Schelling (non casualmente appassionato studioso di ...

...  Marcione e della gnosi cristiana antica) gli dedica nel 1802 un dialogo intitolato appunto “Bruno o del principio divino e naturale delle cose”. Per due secoli e mezzo, comunque, nessuno si era immaginato di utilizzare il suo nome per farne bandiera di battaglie ideologiche contro il Cattolicesimo. E’ a partire dai decenni successivi all’unificazione d’Italia (1861) che si ha un crescente interesse da parte di alcuni circoli anticlericali verso la figura di Bruno, che inizia a essere presentato come un “martire del libero pensiero”.

I circoli in questione sono le logge massoniche e i gruppi di matrice carbonara e giacobina che hanno guidata (con l’appoggio dell’Inghilterra e di altre potenze protestanti) il processo di creazione della nazione italiana in senso antipopolare e anticlericale. E per tutto l’Ottocento la massoneria (larga parte dei governanti italiani post-unitari e quasi tutti i protagonisti risorgimentali erano massoni di primo livello) enfatizza il ruolo di Bruno per incrinare il credito della Chiesa cattolica presso gli studenti e i ceti popolari che le sono ancora largamente fedeli. Il culmine è costituito dall’edificazione di un monumento nel giorno di Pentecoste (si noti la provocazione) del 1899, sotto il governo del massone Crispi. Il monumento è opera dello scultore Ettore Ferrari, deputato massone e violento anticlericale, e reca la significativa epigrafe: “A Bruno, il secolo da lui divinato qui dove il rogo arse”, dove si stabilisce senza infingimenti il nesso organico fra il pensiero del nolano e la rivoluzione anticristiana moderna. Il massone Crispi impone alla stampa cattolica della capitale il silenzio per i tre giorni a ridosso dell’inaugurazione. Crispi stesso in persona del resto nel 1888 aveva deposto il sindaco cattolico di Roma, Leopoldo Torlonia, per aver inviato a Leone XIII gli auguri per il nuovo anno che iniziava.

E’ più o meno a partire da questo momento che inizia da parte dei massoni ad essere costruito il falso mito di Bruno come simbolo dell’oppressione inquisitoriale e come martire della libertà di ricerca, anticipatore dell’epoca moderna. In realtà Bruno – come è stato ampiamente dimostrato- era un genio soprattutto nel copiare i libri altrui, ma talvolta copiava male, segno che non capiva bene neanche quello che copiava… E’ sempre a partire dalla fine dell’Ottocento che numerose logge massoniche in tutto il mondo vengono intitolate proprio a Giordano Bruno. Nel Novecento, oltre a liberali e massoni si sono aggiunti anche i comunisti e la sinistra di ispirazione marxista che hanno ricalcato il cliché stantio e menzognero di un Bruno vittima della violenza inquisitoriale e dell’oscurantismo clericale. Insomma nessuno come questo uomo è stato utilizzato a torto e  più intensamente per cercare di distorcere l’immagine della Chiesa cattolica e del suo passato. Ciò ha confuso gli animi anche di alcuni membri di Chiesa perché non molti conoscono nel dettaglio le intricate vicende della vita di Bruno e del suo ancor più intricato processo, e si è fatta passare un’immagine del tutto slegata dalla storia del filosofo di Nola. Ciò che del suo pensiero è parso moderno e anticipatorio è il suo radicale antropocentrismo, la lotta serrata contro l’idea di trascendenza di Dio e contro il cristianesimo, la sua visione panteistica della natura.

Non dimentichiamo inoltre che Bruno, come del resto quasi tutti i  dotti dell’età rinascimentale, era imbevuto di saperi iniziatici e si dedicava attivamente a pratiche definibili come “magiche”. Molti (se non la maggior parte) dei suoi scritti sono fra l’altro proprio dedicati alla magia e al suo utilizzo a scopi conoscitivi e operativi. L’aspetto essenziale della sua magia sta da un lato nello sviluppo di una particolare “ars memoriae”, o memoria artificiale, che era il fondamento della capacità del mago, e dall’altro nella tendenza, soprattutto nella parte finale della sua attività, a ricorrere a pratiche che potremmo definire di “magia nera”, miranti a influenzare e controllare la psiche delle altre persone. E queste pratiche erano un vero e proprio atto di violenza psichica e quindi morale… In altre parole Bruno era uno stregone della peggiore razza. La più grande studiosa dell’esoterismo rinascimentale, Francis Yates, è giunta a dire che il Bruno prossimo al rientro in Italia non era totalmente in possesso delle sue facoltà intellettuali, era vicino a qualcosa di molto simile alla follia, proprio in virtù delle pratiche inique a cui si dedicava.  La magia di Bruno non è più in sostanza la “magia cristiana” di un Pico della Mirandola o di un Marsilio Ficino, almeno in parte conciliabile con la fede e la morale tradizionali, ma la magia che si ispira alle più oscure pratiche egizie e al Corpus Hermeticum, una magia del tutto inconciliabile con il cristianesimo (oggi la definiremmo come prossima a una vera e propria forma di satanismo).

Riguardo al processo Romano contro Bruno, lo stesso Luigi Firpo, uno dei massimi storici italiani,non certamente di area cattolica, onorevole del partito repubblicano e studioso serio del caso Bruno, ha sempre dichiarato e scritto che il processo a Giordano Bruno fu un processo esemplare per la correttezza sia procedurale che sostanziale che quei giudici ecclesiastici tennero. Ma questo i nemici della Chiesa non lo dicono mai… Bruno (ma questa è la norma nei processi inquisitoriali) ha ampie possibilità di difesa, riceve sempre puntuali copie degli atti d’accusa e dei suoi costituti, ottiene libri per preparare memorie che vengono vagliate e prese attentamente in considerazione.

Di tutto il procedimento vengono tenuti accuratissimi verbali (che non a caso si sono conservati fino a noi). I giudici sono rappresentati da alcuni fra i più colti e preparati cardinali romani e il Pontefice stesso prende parte alle sedute e interviene nelle decisioni più importanti e delicate. Non è secondario il fatto che è stato un santo, il cardinal Roberto Bellarmino, forse l’uomo più colto e preparato della Riforma cattolica, a gestire la delicatissima fase finale del procedimento. Proprio il Pontefice, fra l’altro, a un certo punto fa riaprire tutto il procedimento, ormai praticamente chiuso, perché esige che siano recuperate tutte le opere del filosofo stampate nei diversi paesi europei e che una commissione di teologi ne valuti il contenuto e l’ortodossia. Leggendo i verbali sembra di trovarsi di fronte a un caso di “garantismo” “ante litteram” (nelle liberale e protestante Inghilterra il diritto all’avvocato difensore e a ricevere il testo scritto dell’accusa sarà introdotto solo a Ottocento inoltrato). La cella di Bruno è una spaziosa camera dove la biancheria viene cambiata due volte alla settimana e si può ricorrere al barbiere, alla lavanderia, a servizi di rammendo. I cardinali inquisitori ascoltano a intervalli regolari le eventuali lamentele dei detenuti.  Alla fine Bruno fu condannato specialmente grazie alla testimonianza di fra Celestino da Verona.

Ora ci chiediamo: quali terribili accuse vengono lanciate da fra Celestino da Verona a Bruno?

Accuse particolarmente gravi e dettagliate che verranno confermate quasi integralmente dai testimoni chiamati dal tribunale inquisitoriale a certificare le affermazioni del nuovo accusatore. Sia  Fra Celestino che gli altri sono stati compagni di cella di Bruno a Venezia per lungo tempo e non hanno alcun particolare motivo per mentire (rischierebbero infatti, se smentiti o trovati in contraddizione fra di loro, di veder aggravata la loro posizione processuale). Bruno avrebbe affermato che Gesù Cristo peccò mortalmente, che l’Inferno non esiste, che Caino fu migliore di Abele, che Mosè era un mago e si inventò la Legge. Ma soprattutto i diversi testimoni sottolineo la tendenza di Bruno a bestemmiare nel modo più turpe e continuo in cella, accompagnando le bestemmie con osceni e sconci gesti di maledizione rivolti al cielo. Va notato che questo comportamento Bruno lo avrebbe tenuto proprio mentre stava cercando di convincere i giudici veneziani della sua “sincera” volontà di ravvedimento. Tutto questo conferma la teoria della Yates, una delle più grandi storiche di quell’epoca, che Bruno era semplicemente un provocatore miscredente e un bestemmiatore incallito, le cui pratiche di magia nera lo avrebbero portato alla follia … Il più grande errore della sua vita fu quello di essere diventato prete in gioventù perché non aveva alcuna seria vocazione e l’errore ancora più grande fatto dai frati Domenicani fu quello di averlo fatto diventare prete nonostante le tantissime controindicazioni a questo ideale di vita che Bruno aveva fornito fin dagli anni del suo noviziato…

Don Marcello Stanzione

 
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