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Santa Ildegarda di Bingen e gli Angeli PDF Stampa E-mail

Santa Ildegarda di Bingen e gli AngeliIldegarda nasce in Germania nel 1098, ultima di dieci figli e entra a otto anni nel monastero di Disinbodenberg come scolara, ma vi rimane fino all’adolescenza avanzata pretendendo i voti e divenendo in seguito Badessa. La sua sete di conoscenza sembra non volersi mai arrestare: legge in continuazione, si informa, è aggiornata sulle questioni religiose del suo tempo, comincia ad attirare l’attenzione generale. Ma è pur sempre una donna, una religiosa, forse la sua curiosità si sta spingendo troppo oltre. Ildegarda non si ferma. Fonda il monastero di Rupertsberg nel 1147 che dirigerà fino alla morte e, come filiale, quello di Eibingen nel 1165. Comincia un’intensa attività in favore del clero e della chiesa nella Germania meridionale: la sua fama di dotta e di santa la rende la principale consigliera di principi e prelati. Ma molti vescovi tedeschi torcono il naso. Ildegarda è un’instancabile organizzatrice, ma buona parte delle sue giornate è caratterizzata da ... 

... un’intensa attività mistica. Le sue visioni sono sempre più frequenti e lei non le nasconde: i messaggi che sostiene di ricevere trovano posto nelle numerose lettere, scritte sia in tedesco che in latino e nelle poesie di argomento religioso. La sua opera mistica più importante è il “Liber sciovia” (“scivia lucis”, conosci le vie della luce), articolato in descrizioni di visioni, in colloqui con Cristo, in canti di lode a Dio e in annunci profetici. Anche questo contribuisce a non farla apprezzare da molti. L’unico ad prendere una posizione diversa è Bernardo di Chiaravalle, grande predicatore e trascinatore di anime. Per questo la esorta a continuare e a farsi coraggio, come il nome che le è stato imposto le ricorda costantemente.
 
Ildegarda è pervasa dall’amore per la natura  che rappresenta il riflesso del suo amore per Dio; osserva le piante, gli alberi da frutto, le erbe, che comincia a ordinare e classificare in base alle caratteristiche, al pari dei migliori ricercatori. Il suo studio e l’attenta osservazione la portano alla creazione di un trattato di botanica e documentazione ancora preziosissima sulle cognizioni e sulle tecniche della medicina popolare del tempo. Ma la sua vera forza è la musica. Ildegarda di Bigen è la prima donna musicista della storia. Ha lasciato 155 monodie, cioè canti per voce sola, privi di qualsiasi accompagnamento musicale che si contrapponevano alla polifonia, strutturata su più voci e un basso continuo di fondo. Le musiche di Ildegarda non sono semplici canti. “La sinfonia delle vedove” e “l’Ordo virtutum”, contengono addirittura, in nuce, gli elementi dei Misteri, cioè gli spettacoli drammatici di carattere agiografico che di lì a poco avrebbero costituito il fulcro delle Sacre  Rappresentazioni medioevali. La Natività, la Passione, la Resurrezione, questi erano i soggetti prediletti, da allestire dapprima all’interno delle chiese, poi all’aperto sui sagrati delle chiese, soprattutto quando gli spettacoli accoglieranno elementi sempre più profani.
 
Ildegarda scrive le sue melodie e insegna alle monache benedettine di Bigen. Poi passa a quelle degli altri monasteri, sempre soggetti alla sua direzione. Cantare è pregare con l’anima, è la più alta forma di giubilio ed accessibile a tutti. La sua voce è rimbalzata da un secolo all’altro e ancora oggi l’industria discografica riscopre quelle melodie per ereditarle. Ildegarda occupa un posto di primo piano tra i grandi artefici del processo di purificazione cristiana. Ognuno può scegliere la propria strada, perché nessuna è migliore di un’altra, ma tutte sono importanti, tutte hanno valore anche quando al posto delle parole sono le note musicali a parlare. Ildegarda scrive che “tutta la creazione è una sinfonia di gioia e di giubilio”. Ildegarda per esprimere ciò  sceglie di disegnare una miniatura di nove cerchi e li fa corrispondere con i nove cori angelici: Angeli, Arcangeli, Virtù, Potestà, Principati, Dominazioni, Troni, Cherubini e Serafini. Colpisce il fatto che solo i due cerchi esterni portino figure di angeli alati, mentre gli altri sette cerchi raffigurano fattezze umane.
 
In verità anche i due cerchi esterni sono meno angelici di quello che ci aspetteremmo alla prima occhiata. Essa descrive il cerchio più esterno composto di “volti di uomini” ed il secondo di “facce di uomini in cui l’immagine del Figlio dell’Uomo risplende come riflessa in uno specchio”. Descrive poi questi due cerchi esterni come “due schiere di spiriti celestiali brillanti di grande splendore”. Questi circondano altre cinque “schiere poste a mo’ di quella successiva raffigura volti così splendenti che Ildegarda non li può guardare; la successiva ancora appare “come marmo bianco con torce accese sopra le loro teste”; quelli della schiera seguente portano elmetti sul capo; e gli appartenenti alla quinta cerchia seguente portano elmetti sul capo; e gli appartenenti alla quinta cerchia non sono affatto umani ma “rossi come il sorgere del sole”. Ildegarda chiama “corona” ognuna di queste “schiere”. Nel contesto della tradizione teologica medioevale della creazione, naturalmente, una corona ci ricorda la teologia della personalità regale, in modo in cui Dio, che è Re, chiamò la creazione ad essere “incoronata” di dignità e responsabilità.
 
In tal modo la creazione perdura, la giustizia è preservata, la creatività è assicurata. “Tu hai fatto gli uomini poco meno degli angeli e di gloria e di onore li hai incoronati” canta il Salmista (Salmi 8,6). Due altre schiere disposti a corona vengono descritte come costituenti i cerchi interni. Il primo era “pieno di occhi e di ali ed in ogni occhio appariva uno specchio e nello specchio appariva il volto di una persona”. E nel gruppo più interno le figure “bruciavano come se fossero di fuoco; avevano molte ali e rivelavano come in uno specchio tutti i distinti ordini della chiesa”. Che cosa vide fare Ildegarda a queste corone, queste schiere angeliche? Erano un coro, un coro che cantava, cantava le meraviglie che avvengono nel cuore umano. “Tutte queste schiere di spiriti celesti risuonavano di ogni genere di musica. Con voci stupefacenti glorificavano magnificamente Iddio per quei miracoli che Egli compie nelle anime benedette”. Tutti inneggiavano al dono divino della creazione. Ildegarda racconta: “ Udii una voce dal cielo che mi diceva: L’onnipotente ed ineffabile Iddio, che era prima di tutti i tempi ma lui stesso, è colui che ha formato ogni creatura in modo meraviglioso con la sua propria volontà”. Ildegarda qui ci fa dono di un’immagine indimenticabile tutta la creazione è rappresentata come interdipendente e celebrativa. Gli angeli e gli uomini si fondono, si mescolano, si scambiano. Alcuni angeli sono creati, ci dice, “perché possano aiutare gli esseri umani nel bisogno” ed altri affinché i misteri di Dio possano essere comunicati agli uomini. Tutti questi anelli benedetti di creature “gioiscono nella gioia della salvezza”, “esprimono le gioie più grandi con musica indescrivibile attraverso le opere di quelle meraviglie di cose celesti che Dio manifesta nei suoi santi”. Inoltre, ci invitano a ballare una “danza di esultanza”, alla quale possiamo unirci, tuttavia, se “scartiamo lontano l’ingiustizia” e scegliamo di agire con giustizia. In tal modo Ildegarda ci offre in questa ricca icona anche un quadro della compassione. La compassione, che ha essenzialmente a che fare con il legame reciproco, viene illustrata per mezzo del collegamento di angeli e uomini.

In un altro punto, Ildegarda sottolinea l’interdipendenza che caratterizza il nostro universo quando scrive : “Iddio ha sistemato tutte le cose del mondo in considerazione di tutto il resto”. E ancora, “tutto ciò che è nei cieli, sulla Terra, e sotto la Terra, è compenetrato di interconnessione, è compenetrato con l’essenza del reciproco rapporto”. Non c’è da stupirsi se gli angeli e gli uomini possono unirsi così facilmente in un coro unico. Nel delineare i significati di ognuno dei cerchi di creature angeliche, Ildegarda dice quanto segue: “La bellezza della razionalità”, dato che le ali delle figure simboleggiano i poteri intellettuali che emanano da Dio all’uomo; il cerchio successivo rivela i misteri di Dio e l’incarnazione del Figlio di Dio, e così qui viene simboleggiato il corpo. I successivi cinque cerchi stanno per i cinque sensi che dovrebbero essere regolati da corpo e anima, i due anelli più esterni dei poteri umani. La prima di queste cinque corone rappresenta le Virtù che “combattono con forza” e conducono le persone “ad esercitare molta forza per uno scopo buono di splendore e benedizione”.
 
Le Potestà sono quelle che brillano così tanto che nessuno le può guardare. Nessuna debolezza, né morte, né peccato possono “toccare la bellezza del potere di Dio… perché il potere di Dio è senza macchia”. I Principati, che reggono delle torce e sono fatti di marmo, rappresentano “coloro che per dono di Dio esistono come guide di uomini e donne nel loro tempo”. Devono imparare a “indossare la forza dell’equanimità”. Le Dominazioni ci dicono di imitare Dio e il Figlio di Dio fortificandoci “con un forte desiderio per le opere buone”. Le figure di colore rosso sono i Troni: non assomigliano affatto a forme umane perché sono così immersi nei “moltissimi misteri dei segreti a forme celesti che la debolezza umana non è in grado  di comprendere”. Essi sono di colore e della brillantezza del sorger del sole perché rappresentano la venuta dello Spirito Santo sopra Maria, la madre di Gesù. I due anelli interni illustrano prima i Cherubini che significano “la conoscenza di Dio” con i loro occhi e specchi di colore rosso, “ardenti come fuoco” è quello dei Serafini. Essi rappresentano “tutti i distinti ordini della chiesa” e “bruciano nell’amore di Dio e nutrono il più ardente desiderio della sua visione”. In essi “i segreti di Dio appaiono in maniera meravigliosa”. Ildegarda muore il 17 settembre 1179.
 
Don Marcello Stanzione
 
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