San Michele: l'Angelo delle grotte di Pertosa |
La grotta è nella Bibbia in relazione con il mistero della presenza divina con il suo triplice significato di luogo natale, tomba e luogo della manifestazione. Cristo che è il Figlio di Dio fatto uomo è nato in una grotta; ed il suo sepolcro è in una grotta ed il luogo della sua Ascensione al cielo è pure una grotta sul Monte degli Ulivi. Il vescovo cristiano Eusebio di Cesarea nella sua biografia dell’imperatore Costantino descrive in ogni particolare l’attività edilizia ecclesiastica dell’imperatore che fece edificare una splendida chiesa sulla grotta della Natività di Betlemme mentre sua madre, l’imperatrice Elena, fece costruire un tempio cristiano sulla grotta del santo Sepolcro a Gerusalemme. In Occidente la prima apparizione dell’arcangelo Michele sarà nella grotta del Gargano in Puglia. E’ interessante notare che mentre in Oriente il culto all’arcangelo è collegato anzitutto all’acqua e san Michele è visto specialmente come un angelo guaritore invece in Occidente il suo culto è legato sopratutto alla ... ... grotta come antro misterioso e pericoloso e san Michele è visto specialmente come l’angelo esorcista che scaccia i demoni dalle grotte dove c’era il culto idolatrico di Mitra e di altri falsi dei pagani. Nello stesso quinto secolo si dice che san Michele sia pure apparso in una grotta sul monte Tancia in Sabinia. Il più antico santuario sotterraneo sembra essere quello di san Michele a monte Laureto, sito nella puglia centrale nei pressi di Putignano. Di notevole interesse è pure è pure la basilica sotterranea di san Michele al centro di una catacomba cristiana a Palermo, la caverna di Ozieri in Sardegna sull’alto colle san Michele, la cripta eremitica di Olevano sul Tusciano, in provincia di Salerno, consacrata a san Michele e visitata da Bernardo Monaco nel IX secolo. Sempre in provincia di Salerno le Grotte di Pertosa o dell’Angelo si aprono sulla sinistra idrografica del Fiume Tanagro alle falde orientali dei Monti Alburni che, con la catena dei Monti della maddalena più a Est, delimitano l’estremità settentrionale del cosiddetto “Vallo di Diano”, enorme vallata residuo di un antico lago pleistocenico. Dall’autostrada A3 “Salerno-Reggio Calabria”, imboccando l’uscita per Polla (per chi viene da Sud) o quella per Petina (giungendo da Nord), la cavità è facilmente raggiungibile seguendo la segnaletica turistica presente lungo il percorso. Non è difficile individuare l’accesso al sistema sotterraneo poiché, giunti nelle sue vicinanze, un maestoso ingresso tra la rigogliosa vegetazione ne indica l’esatta ubicazione. Le copiose acque che fuoriescono dall’ampio portale d’entrata hanno da sempre attratto l’attenzione di scrittori e viaggiatori, cosicché più volte la grotta è stata citata in opere di carattere storico o geografico. La cavità è nota con due denominazioni ugualmente diffuse, “Grotte dell’Angelo” e “Grotte di Pertosa”: la prima fa riferimento all’esistenza di un culto ipogeo tributato all’Arcangelo Michele, attestato ancora oggi dalla presenza nella grotta di un’edicola sacra a questi dedicata; la seconda rimanda al toponimo del più vicino centro abitato, situato a circa un chilometro di distanza in linea d’aria. E’ molto probabile, del resto, che sia stata proprio l’emergenza ipogea ad originare l’appellativo dell’omonimo centro abitato. Il nome “Pertosa”, infatti, rimanda chiaramente al termine “pertugio” (che deriva dal latino Pertùsus, participio passato di pertundere, col significato di “forare”), esplicito riferimento ai vuoti sotterranei presenti nella vasta cavità carsica. Sappiamo con certezza che nelle Grotte di Pertosa il culto tributato all’Arcangelo Michele era pienamente attivo già attorno alla metà del XII secolo della nostra era. Secondo Paolo Carucci, pioniere delle ricerche archeologiche nella cavità, u documento custodito negli archivi dell’Abbazia della Santissima Trinità a Cava dei Tirreni conserva l’atto di una donazione effettuata nel 1183, da cui si evince che nella grotta vi era una “cripta” dedicata a Sant’Angelo. Alla metà del Cinquecento il culto viene richiamato dal frate domenicano bolognese Leandro Alberti che, nella sua “Descittione di tutta Italia”, così scrive: “(nella cavità)vi è uno scolgio, sopra il quale è un altare posto all’Arcangelo S. Michele consacrato, ove alcuna volta se gli dice messa”. Un’altra importante citazione del culto micaelico è quella che ci tramanda Karl Wihelm Schnars attorno alla metà dell’Ottocento: “(…) Sulla destra dell’ingresso e abbastanza nel centro c’è un altare con la statua dell’Arcangelo Michele, che diede il nome alla grotta, al posto dove prima dovrebbe esserci stata un’ara con la statua di Apollo (…)”. Il riferimento a forme di religiosità antecedenti a quelle cristiane è di estremo interesse; il già richiamato Carucci, che esplorò archeologicamente l’ampia ante grotta alla fine dell’Ottocento, osserva a proposito di questa misteriosa statua di Apollo: “la tradizione dice che là dove ora è eretto l’altare di San Michele Arcangelo, si trovava l’immagine in marmo della divinità febea, che poi, nei primi secoli del Cristianesimo, fu, dai sacerdoti del Vangelo, abbattuta per sostituirvi il culto dell’altare cristiano. Pare inoltre che il medesimo busto di Apollo fosse rimasto, fino al secolo XVII, nascosto fra i macigni in una delle anfrattuosità della Grotta”. Una sovrapposizione diacronica di diversi culti religiosi, dalla Preistoria fino all’epoca storica, è verosimile; in quest’ottica il culto recente attestazione della sacralità dell’antro. Sebbene alcuni autori vedano già nella “Naturalis Historia” di Plinio il Vecchio, scritta nel I secolo d.C., un accenno all’esistenza della grotta (allorché, descrivendo il corso del Tanagro, si suggerisce un suo probabile percorso sotterraneo), è solo nel Cinquecento che si ha la prima menzione certa della cavità. Tale citazione è dovuta a Leandro Alberti che, nella sua “Descrittione di tutta Italia” (1550), nomina la grotta così scrivendo: “Vero è, che fra l’Auletta, e detta valle di Diano (ch’ella è oltre l’Auletta due miglia) evvi à man destra della via una Spelunca dalla natura fatta sotto l’alto, e sassoso monte, 30 piedi alta, e 50 larga, nel cui mezo vi è uno scoglio, sopra il quale è un altare posto all’Arcangelo S. Michele consacrato, ove alcuna volta se gli dice messa. Da ogni lato di detto altare veggonsi le chiare acque correre, tal che vi pare intorno un lago. Quivi sentesi un gran rimbombo fatto dall’acqua nell’entrata, che fa nel prefatto laghetto, impimgendo ne’ sassi. Casca poscia essa acqua per la bocca della Spelunca, e strabocchevolmente scendendo per li sassi cagiona grandissimo strepito insino che ella è giunta nella molto cupa valle, avenga ch’è picciola. Et quivi principia il fiume Negro molto grande per tanta abbondanza d’acqua. Ritrovandomi quivi nel 1526, sì come curioso, volsi intendere il principio, et origine di tanta abbondanza d’acqua, che esce da detta Spelunca, da gli habitatori del paese, da i quali mi fu accertato quella derivare da un piccolo Lago, che si trova nel principio della valle di Diano, di quindi poco più di due miglia discosto, o poco meno, che per un sotterraneo cuniculo quivi passa”. Le pagine dell’Alberti contengono, come si nota, la prima descrizione circostanziata della cavità e rimandano anch’esse all’ipotesi di una possibile relazione idrogeologica tra il Vallo di Diano e il sistema sotterraneo delle Grotte di Pertosa. Don Marcello Stanzione |
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