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Sant'Alfonso ed il quadro dell'anima dannata PDF Stampa E-mail

Sant'Alfonso ed il quadro dell'anima dannataUn cavaliere, appartenente ad una delle più note famiglie di Firenze, aveva una relazione extraconiugale con una nobildonna della stessa città. Il padre, venuto a conoscenza della cosa, ripetutamente, ma invano, esortava il figlio a cambiar vita. Dopo qualche tempo, però, nel 1712, la donna si ammalò e, in breve, morì, senza pentirsi del male fatto. L’amante rimase costernato per quella morte e non riusciva a rassegnarsi. Il padre, essendo in buoni rapporti con i Preti della Missione di S. Vincenzo dei Paoli, gli consigliò di partecipare ad un corso di esercizi spirituali per i laici che i suddetti padri tenevano nella loro casa religiosa di S. Jacopo sull’Arno. Il giovane, per accontentare il pio genitore, accettò il consiglio e si recò per qualche giorno in quel luogo sacro, dove tutto invitava alla preghiera e alla meditazione. Le stanze usate dai preti della Missione come pure quelle occupate da coloro che partecipavano agli esercizi oltre al letto, un armadietto e uno scrittoio avevano anche un inginocchiatoio ...

...   in legno  e un quadro del Crocifisso attaccato alla parete. Le immagini di Gesù Crocifisso erano di carta, incollata su tela, montata su un telaio di legno. Non erano, quindi, munite né di vetro né di cornice.

La sera del primo giorno, tutti i partecipanti erano scesi in refettorio per la cena. Era assente solo quel signore. Il Direttore degli Esercizi, preoccupato, salì al piano di sopra, bussò alla porta della sua camera, ma nessuno rispondeva. Pensando che fosse successo qualcosa di grave, aprì la porta e vide la stanza piena di denso fumo. Credendo che fosse un inizio di incendio, chiamò aiuto.

Accorsero diverse persone. Diradandosi, frattanto, il fumo, notò che il cavaliere giaceva riverso a terra, privo di sensi. Fu subito adagiato sul letto, poco dopo rinvenne. Intanto il Direttore ispezionava attentamente la stanza per rendersi conto da dove proveniva il fumo. Grande, però, fu la sua sorpresa, quando vide l’inginocchiatoio bruciato nel posto in cui si appoggiano le ginocchia e i gomiti. Alzando, poi, gli occhi scorse sul quadro del Crocifisso appeso alla parete, l’impronta di due mani roventi.

Queste avevano bruciato, nella parte inferiore del quadro raffigurante Gesù Crocifisso, non solo la tela sulla quale era incollata l’immagine ma anche il telaio di legno che fungeva da supporto. Non sapendosi dare spiegazioni chiesero al cavaliere che cosa era accaduto. Questi raccontò che poco prima della cena, tra le fiamme gli era apparsa l’amante, dicendogli, in tono irritato: “E’ per causa tua che io sono nell’Inferno! Sta bene in guardia. Dio ha voluto che io te ne dessi l’avviso, e perché tu non abbia a dubitare della realtà della mia apparizione te ne lascio il segno”. Ciò detto, s’inginocchiò al genuflesso rio e toccò con le mani il quadro, lasciandovi le impronte di fuoco che ora si vedono.

Fortemente scosso da questa apparizione e meditando sulla triste sorte della sua amante, l’uomo si convertì, vivendo santamente per il resto della sua vita. Poiché le famiglie dei due protagonisti erano bene in vista a Firenze, P. Giuseppe Scaramelli, superiore dei Preti della Missione di Casa S. Jacopo, per riguardo al loro onore, cercò di occultare il fatto. Per questo motivo tenne presso di sé il quadro e l’inginocchiatoio.

Quando, dopo poco tempo, dai superiori fu trasferito a Napoli, portò con sé il quadro. P. Bernardo Giuseppe Scaramelli , il 4 novembre del 1712, redasse una testimonianza del fatto prodigioso, di cui era stato testimone oculare. Tale dichiarazione è munita del sigillo della Congregazione. “Noi, Giuseppe Scaramelli, superiore della Missione, affermiamo ed attestiamo di mano propria il soprascritto fatto come cosa sicura”.

E cioè “…in questa immagine si vedono due segni di mani intere con cinque dita per mano, una alla destra, e l’altra alla sinistra dei santissimi piedi del Salvatore, impressivi in modo stupendo da Persona venuta dall’altro mondo, visibilmente a fuoco vivo, con applicare la proprie ardenti mani alla medesima immagine, e così aver affondata la carta e la tela, e bruciato anche la parte del telaio da ambedue le parti, con l’impressione dei due polsi delle stesse mani, e dita aperte, con i segni evidentissimi del fuoco appiccicato alla tela, che ha toccato parimenti alla destra ed alla sinistra l’una e l’altra gamba del Salvatore…”.

Nell’antica Casa dei Preti della Missione di S. Jacopo sull’Arno, a Firenze, ora adibita a scuola, si addita ancora la camera detta del “dannato”. La Casa fu espropriata dal Governo Italiano nel 1886 e fino a quel tempo la stanza “dell’Anima dannata” era disabitata ed incuteva paura per quelli che, conoscendo il fatto, la visitavano. Il quadro di Gesù Crocifisso si trova tuttora a Napoli, presso la Casa della Missione, via Vergini, 51. La famiglia reale di Napoli ogni anno si recava ai Vergini, perché i giovani principi alla vista di quel quadro imparassero a temere i castighi di Dio e ad evitare il male.

Il 26 marzo del 1722 entrò nella Casa dei vergini a Napoli il giovane avvocato Alfonso de’Liguori col suo amico Francesco Capocelatro e molti altri giovani per partecipare ad un corso di Esercizi Spirituali tenuti dal P. D. Vincenzo Cutica. Dopo la predica sull’Inferno, tema consueto in un corso di esercizi spirituali, il predicatore mostrò ai partecipanti il quadro di Gesù Crocifisso con l’impronta delle mani roventi dell’anima dannata. Alfonso, che già da qualche tempo viveva una profonda crisi spirituale, fu talmente scosso a quella vista che decise in cuor suo di cambiare vita e dedicarsi completamente al servizio di Dio.

A trent’anni divenne sacerdote. A trentasei anni fondò la Congregazione del SS Redentore. A 60 anni fu eletto vescovo di S. Agata dei Goti (Benevento). Scrisse molti libri di morale e di ascetica.

Morì il 1787 all’età di 91 anni e fu canonizzato nel 1832.

Don Marcello Stanzione

 
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