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Don Divo Barsotti e la “vita angelica” dei Cristiani in terra PDF Stampa E-mail

Don Divo Barsotti e la “vita angelica” dei Cristiani in terraDivio Barsotti, settimo di nove figli, era nato a Palaia (PI) il 25 aprile 1914. A undici anni entra nel seminario di San Miniato e verrà ordinato sacerdote il 4 luglio 1937.  Pochi anni dopo l’ordinazione sacerdotale, per interessamento di Giorgio La Pira, si  trasferì a Firenze, dove  iniziò la sua attività di predicatore e di scrittore. Oggi è unanimemente riconosciuto come mistico, e come uno degli scrittori di spiritualità cattolica più importanti del secolo ventesimo. La sua produzione letteraria è notevolissima: più di 150 libri, molti dei quali tradotti in lingue straniere, e diverse centinaia di articoli presso quotidiani e riviste di spiritualità. Ha scritto commenti alla Sacra Scrittura, studi su vite di santi, opere di spiritualità, diari e poesie. Tra i suoi testi più importanti: Il Mistero Cristiano nell’anno liturgico, Il Signore è uno, Meditazioni sull’Esodo, La Teologia spirituale di san Giovanni della Croce, La religione di Giacomo Leopardi, La fuga immobile. Ha fondato la “Comunità dei figli di ... 

...   Dio”, famiglia religiosa di monaci, formata da laici consacrati che vivono nel mondo e religiosi che vivono in case di vita comune; in tutto, circa duemila persone. Vicino alla sensibilità del Cristianesimo orientale, Barsotti ha, tra gli altri, anche la Russia quali Sergio di Radonez, Serafino di Sarov, Silvano del Monte Athos, con il suo lavoro “Cristianesimo russo”. Nel 1972 è stato chiamato a predicare gli Esercizi spirituali in Vaticano al Papa. Ha insegnato teologia per più di trent’anni presso la Facoltà teologica di Firenze e ha vinto diversi premi letterari come scrittore religioso.

E’ vissuto con i suoi giovani monaci in un piccolo monastero dedicato a san Sergio di Radonez, nelle pendici dei colli di Firenze e lì è morto il 15 febbraio 2006. Barsotti parla della vita angelica dei cristiani sulla terra nel suo libro: “ La preghiera”. Lavoro del cristiano” edito dalle edizioni San Paolo nel 2005. e scrive:  “Bios anghelicòs”. Nella vita angelica, la vita contemplativa si associa alla vita attiva; gli Angeli sono al servizio degli uomini nello stesso tempo che adorano Dio. Potremo pensare a una vita contemplativa che ci separi dai nostri fratelli, non e così: gli angeli che contemplano incessantemente Dio sono gli stessi che ti guidano nella vita e ti conducono nelle vie del Signore.

La vita contemplativa nel Cristianesimo non separa dai fratelli, ma importa un superamento, un trascendere e abbracciare ogni cosa. Solo l’amore può realizzare questa vita. Noi vivremo la vita angelica se vivremo dinanzi al trono di Dio come rappresentanti dei nostri fratelli. Il fatto d’impegnarti per gli uomini non ti deve distogliere da Dio.

La vita contemplativa non deve essere per te una dispensa della vita attiva, non può essere in nessun modo un pretesto perché tu ti senta meno impegnato nella salvezza degli uomini. Allora soltanto tu realizzerai il tuo ideale in modo perfetto quando, vivendo la tua vita contemplativa dinanzi a Dio, vivrai come colui che è a servizio di tutti i fratelli, e tutti li porta nel cuore davanti al Signore.

E’ questa la vita angelica, l’ideale di vita che tu devi realizzare. (…). Dobbiamo vivere nel mondo, in nessun modo sottrarci al mondo, ma vivere nel mondo come una rivelazione dell’Invisibile, essere nel mondo una rivelazione di Dio. Vivere nel mondo, in unione con tutti i fratelli, in continuo rapporto con loro di amore, di servizio…eppure essere in mezzo a loro come un’apparizione del Cielo. Questo è chiesto al cristiano: non soltanto di vivere in una continua supplica e invocazione al Signore, ma anche in una trasformazione di sé: la nostra preghiera veramente sarà perfetta quando avrà operato una presenza in Cristo in noi, quando in Lui noi saremo così trasformati, non è forse vero che allora, vivendo nel mondo, di un’altra realtà? Ecco il nostro compito. Dobbiamo vivere in Cielo, anche quaggiù. Vivere in Cielo sarebbe facile se il Signore ci portasse fuori di questo mondo con la morte.

Invece noi dobbiamo morire, non dobbiamo sottrarci a questo mondo; dobbiamo rimanere quaggiù, e vivere un rapporto continuo con le cose, un servizio continuo ai nostri fratelli, ma vivere quaggiù una vita di pace, di beatitudine, di amore – essere quaggiù in qualche modo la Sua luce.

Dobbiamo essere come angeli. Che cosa vuoi dire essere come angeli per quel che riguarda il nostro rapporto con Dio? Per quel che riguarda il nostro rapporto con gli uomini? Essere angeli per il Signore! Vuol dire vivere in un totale oblio di sé, come consumati nella presenza di Dio – colui che vede il Signore non può ricordarsi di sé. Un’anima che vede il Signore non può avere più di sé conoscenza: Dio la invade talmente che la cancella. L’anima non sente di aver più alcun valore come non esistesse più…Umiltà totale di un’anima che è come sparita ai propri occhi, dimentica così di se stessa da non sapere più nulla di sé, da non poter più attrarre a sé alcuna creatura! Umiltà che non obbedisce più alla forza centripeta, che attrae a se stessi, ma alla legge di un amore centrifugo che totalmente si dà e non conserva più per sé alcuna cosa! Umiltà totale che s’identifica all’atto dell’adorazione!

L’atto di adorazione perfetta non esige certo l’annientamento ontologico ma quel puro annientamento psicologico della creatura che fa come se essa non fosse. E’ questa l’esperienza dell’anima che viva nell’adorazione: annientamento che non è proprio soltanto della creatura angelica che viva alla presenza di Dio, ma è proprio anche della umanità stessa di Gesù che vive dinanzi al Volto del Padre. Vivere in totale purezza è in fondo un trasformarsi totalmente nella luce, quasi un non essere più in sé, per sé, per essere tutti investiti da Dio: l’anima certo rimane, la creatura certo rimane, ma non rivela più che il Signore.

E tuttavia questo non basta. Investito dalla grazia, trasformato nel Cristo, tu vivi ancora nel mondo – tu hai ancora una missione da compiere, tu devi servire. Che cosa è l’angelo di Dio nel suo rapporto col mondo? Puro strumento della  volontà divina. Dio per compiere i suoi disegni volle gli angeli. E’ per gli angeli che si compie quanto Dio vuole quaggiù. Che cosa vuol dire per noi non aver più una volontà propria? La volontà dell’uomo è a servizio esclusivo di Dio: l’uomo non vuole che la Sua volontà. Non ha più un suo disegno da compiere perché non ha più desiderio alcuno. L’uomo è attivo nei confronti con le creature, perché è puramente e totalmente passivo di fronte a Dio.

L’angelo non riceve comando dalla creatura, non subisce l’azione dell’uomo: egli è totalmente passivo di fronte a Dio, sempre in ascolto della divina parola, sempre disponibile a Lui, sempre totalmente impegnato al compimento del divino volere. Ecco quanto c’impone la vita religiosa: di essere come angeli, per vivere una vita che sia adorazione pura e universale servizio. Viviamo questa adorazione sua, questo puro scomparire di tutto quel che noi siamo nella luce divina! Che la luce divina veramente eclissi per noi ogni umano ricordo, che l’anima nostra si affidi in Dio, Lui solo  contempli, tutta la vita sia questo atto di adorazione e di amore! Ma siamo anche angeli di Dio per essere strumento della sua volontà.

La nostra azione dev’essere talmente vasta, talmente efficace, come l’azione stessa di Dio, sicché Dio lavori, agisca, non in vece nostra, ma attraverso di noi. Tutta l’azione di Dio, tutta l’efficacia della divina Onnipotenza si deve esprimere, si deve esercitare attraverso la nostra povertà umana, attraverso la nostra stessa debolezza. Lo strumento umano nelle mani di Dio non potrà reggere alla violenza di questa Omnipotenza divina e sarà spezzato. Se noi vivremo nelle mani di Dio e Dio si vorrà servire di noi, la Volontà di Dio violentemente ci spezzerà come fu spezzata l’Umanità di Gesù, che non poté reggere alla forza divina, alla forza di quella Omnipotenza che attraverso questa Umanità doveva traboccare nel mondo. Sì, il servizio supremo, l’atto supremo che noi dobbiamo dare al mondo sarà precisamente un nostro martirio.

Noi non saremo mai santi come quando morremo, e la nostra morte sarà l’atto supremo onde noi avremo vissuto la nostra adorazione a Dio, sarà l’atto onde noi avremo esercitato la più grande efficacia in un servizio di amore ai nostri fratelli quaggiù. Vivere questa vita vuol dire tendere a questo martirio di amore per Iddio nell’adorazione, di amore ai fratelli nel sacrificio, nell’immolazione di sé”.

Don Marcello Stanzione

 
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