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Il Natale visto da Santa Gertrude di Helfta PDF Imprimir E-Mail
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Il Natale visto da Santa Gertrude di HelftaSanta Geltrude la grande, la cui memoria liturgica è al 16 novembre, nacque nel 1256 a Aisleben in Germania. A cinque anni fu accolta, probabilmente perché orfana, nel monastero cistercense di Helfta da santa Matilde. Si instaurò un immediato rapporto tra alunna e insegnante, e sotto la guida di Matilde, che divenne maestra delle novizie dopo la decisione di Gertrude di entrare nella congregazione, la bimba sviluppò tutte le sue facoltà intellettive, diventando anche un’eccellente latinista. A venticinque anni, il 27 gennaio 1281, ha la prima manifestazione divina. Incomincerà a scrivere in latino nel 1289, per un impulso interiore e sentendo la voce di Gesù che vuole far conoscere i suoi scritti.   Nel suo libro intitolato “ Le rivelazioni” riguardo al Natale così leggiamo: “Nel santissimo giorno di Natale ti ricevetti dal Presepio, sotto forma di tenero bambino, tutt’avvolto nelle fasce, e ti tenni stretto al mio cuore. Volevo fare di tutte le sofferenze causate dalle tue infantili necessità come un ... 

...   fascetto di mirra da tener sul mio petto onde trarne per l’anima abbondante balsamo di divina dolcezza. E mentre io pensavo di non poter ormai ricevere dono più grande di questo, Tu, che ad un primo favore ti compiaci di farne seguire un altro più alto, ti sei degnato di variare per me, come ora dirò, la sovrabbondanza della tua salvifica grazia. L’anno seguente, in questo stesso giorno di Natale, durante la Messa “Dominus dixit ad me: Il Signore mi ha detto”, ti ricevetti sotto la forma di un delicatissimo e tenerissimo bambino dal grembo della tua Vergine Madre e ti tenni per qualche tempo sul mio petto.

Forse la compassione che alcuni giorni prima di questa festa avevo dimostrato ad una persona afflitta pregando per lei, aveva contribuito ad ottenermi questo favore. Confesso però che dopo averlo ricevuto non lo custodii con la dovuta devozione. Non so se ciò accadde per una disposizione della tua giustizia e della tua misericordia, al fine di farmi meglio comprendere la mia indegnità e farmi nello stesso tempo temere di esserne stata io la causa con la mia negligenza nell’allontanare i pensieri inutili.

Ma , se sia stato per questo o per quel motivo, rispondi Tu per me o Signore mio Dio. Mi sforzavo dunque di riscaldarsi con le mie affettuose carezze, ma avevo l’impressione di non riuscirci fino a che non mi misi a pregare per i peccatori, per le anime del Purgatorio e per tutti quelli che si trovassero a quell’ora in qualche afflizione. Avvertii subito allora l’affetto della mia preghiera e l’avvertii subito in modo particolare una sera in cui presi la risoluzione di incominciare da allora in poi le mie preghiere per i defunti con l’Oremus “Omnipotens, sempiterne Deus, cui numquam sine spe misericordiae etc.: Dio onnipotente ed eterno, che mai supplichiamo senza speranza di misericordia, ecc” in favore dei tuoi amici, anziché, come avevo fatto fino allora con l’Oremus “Deus qui nos patrem et matrem honorare praecipisti etc.: O Dio che ci hai comandato di onorare il padre e la madre ecc.” in favore dei miei genitori. Mi parve che ciò tornasse più accetto. Mi sembrò che anche tu provassi un soave compiacimento quando, cantando a piena voce le tue lodi, mi applicavo a fissare in te, ad ogni nota, la mia attenzione, così come ci si applica a tenere gli occhi fissi sul libro quando non si sa bene la melodia a memoria. Ma ti confesso, o Padre pieno di bontà, che ho commesso molte negligenze in queste ed in alcune altre cose che capivo tornare a tua lode.

Te lo confesso nell’amarezza della passione del tuo innocentissimo Figliuolo Gesù Cristo, nel quale hai detto di trovare tutte le tue compiacenze: “Hic est Filius meus dilectus in quo mihi bene complacui: Questo è il mio Figliuolo diletto nel quale ho risposto le miei compiacenze” (Matteo XVIII,5).

Per mezzo suo ti offro il mio desiderio di emendazione affinché egli supplisca alle mie negligenze.

Don Marcello Stanzione

 
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