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Il filosofo Sciacca e l’abito religioso PDF Stampa E-mail

Il filosofo Sciacca e l’abito religiosoMichele Federico Sciacca nacque a Giarre in provincia di Catania e morì a Genova il 24 febbraio 1975. Nel 1974, un anno prima della sua morte, il grande filosofo si trovava a Firenze, per commemorare il settimo centenario della morte di S. Bonaventura da Bagnoregio, presso lo Studio teologico di Santa Croce. Nel tempo libero il padre francescano Felice Rossetti lo accompagnava, per acquisti, in via Calzaioli, che collega Palazzo Vecchio con il Duomo di Santa Maria del Fiore. Ad un certo punto tra il grande filosofo ed il religioso francescano, il discorso cadde sulla opportunità o meno di portare ancora la tonaca francescana. Il Filosofo, senza proferire parola, cominciò a guardare attorno; quindi indicando a dito una ragazza tra i passanti, che sulla sera affollano quella famosa strada di alta moda: “Guardi, guardi quella donna: ha la vesta lunga fin quasi ai piedi e un cordoncino bianco che gliela accomoda ai fianchi; ed osservi come le sta bene il cappuccio. Ha visto?”. ... 

...  Poi continuando a sbirciare fra la gente: “Eccone là un’altra; quella ha un mantello lungo, con cappuccio ampio, cascante sulle spalle, osservi com’è elegante…”. “E quel giovanotto lì, con giaccone e cappuccio foderato di lana pecorina?”. “lei mi ha rivolto una domanda; ma non sono io, né voglio esserlo, a risponderle. Rispondono quei signori e tanti altri”.

Sciacca con calore continuò: “Il saio è bello; è bello! Molti frati sembra non abbiano occhi e gusto. Il loro abiti è bello! E non si accorgono che proprio le donne – che se intendono più di tutti – sono quelle che glielo rubano. Chi si prende il cappuccio; chi la veste; chi il cordoncino; e chi l’intero. E’ segno evidente che è bello”. “Recentemente – prosegue Siacca – ho parlato di questo argomento con un  Cardinale mio amico. Ebbene, convenimmo che bisognava aver perduto il buon senso per togliere una vesta estremamente semplice, lineare, armonica. Faccia indossare la tonaca francescana ad una persona un po’ deforme e vedrà come contribuisce al suo miglioramento esteriore. Le ragioni che adducono alcune persone sprovviste di senso estetico, potranno avere una parvenza di vero, ma la loro non è una scelta intelligente. Del resto, in questo campo, il clero non fa testo; la raffinatezza nel vestire contrasta con la vocazione, che pur esige dignità, proprietà e decoro. Sul saio si possono fare tante considerazioni, ma mi sono limitato a confessarle che, per me, è bello”.

E adesso le rivolgo alcune domande: “Come mai, coperto del suo saio bigio, povero, rappezzato, San Francesco ha trascinato dietro di sé intere moltitudini? E San Bonaventura, con lo stesso abito, non ha salito le più celebrate cattedre dell’umano sapere? La tonaca francescana è la veste dell’aristocrazia dello spirito. Questo le basti. Spero che lei non sia  distante dal mio convincimento”. Anni dopo il padre Rossetti scriverà un libro a difesa dell’abito francescano dove ricorderà questo gustoso episodio.

Don Marcello Stanzione

 
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