Provocazione radicale su eutanasia e visione cristiana dell’esistenza |
Non ci sono traduzioni - There are no translations - Nein Übersetzungen - No traducciones - Aucun traductions Uno spot televisivo pro eutanasia è pronto per andare in onda su diverse emittenti televisive del Nord Italia. L’iniziativa è ovviamente portata avanti dai radicali di Marco Pannella ed ora si attende la risposta dell’Autorità garante delle Comunicazioni. “Procurare una morte dolce, mettendo fine deliberatamente alla vita del malato” è il significato che ha assunto il termine eutanasia nei nostri tempi, provocando così un capovolgimento culturale-etico soprattutto nella figura del medico che per professione deve difendere la vita, ma che viene sollecitato a sopprimere l’esistenza per un motivo umanitario. Fattori diversi hanno determinato il fenomeno: - l’evoluzione tecnico-sanitaria che si propone di difendere la persona specie nelle difficoltà fisiche e psichiche, aiutandole a vivere gli ultimi momenti della sua esistenza. Se l’assistenza dovesse aggravare le sofferenze o fosse sproporzionata agli esiti, non sarebbe più difesa della persona; il rifiuto della sofferenza: la cultura ... ... contemporanea la considera un assurdo; è molto lontana dall’idea di sofferenza come purificazione, redenzione, allenamento. Tale rifiuto, d’altra parte, provoca tante altre scelte: aborto, divorzio, droga, suicidio, eutanasia; scelte considerate non negative, ma liberatrici, umanitarie, segno di progresso. E’ il soggettivismo etico favorito dalla mancanza del senso di Dio, per cui l’uomo pretende di programmare anche i due eventi più misteriosi: la nascita (fecondazione in vitro) e la morte (eutanasia). – la presunta difesa della libertà personale: a questo proposito basti citare il “manifesto dell’eutanasia” del lontano 1973, firmato da tre premi Nobel e altre personalità, in cui si dichiara: “E’ crudele e barbaro esigere che una persona venga mantenuta in vita contro il suo volere e le si rifiuti l’auspicata liberazione quando la sua vita ha perduto qualsiasi dignità, bellezza, significato, prospettiva di avvenire… Ogni individuo ha diritto a vivere con dignità, ha anche il diritto di morire con dignità”. – la presunzione di decidere della morte: in questa presunzione si sono registrati alcuni passaggi interessanti e preoccupanti:a) si parte dal diritto dell’interessato a morire; b) si passa al diritto-dovere del medico di decidere della morte del malato. Nel settembre 1984, al 5° Congresso della Associazioni per il diritto di morire nella dignità, C. Barnard ebbe a dire: “Noi non possiamo nemmeno e non dobbiamo chiedere al malato di scegliere il momento preciso della sua morte; sarebbe disumano…Sono i medici e solo essi che possono decidere quando è giunto il momento di morire per un malato…”; c) si passa, ulteriormente, al diritto-dovere decisionale della società che porta all’eutanasia sociale e alla selezione sociale, già in atto per i neonati ritenuti troppi menomati per affrontare la vita o per i feti che le diagnosi prenatali indicano come malformati. Per cui gli operatori sanitari diventano arbitri di chi debba nascere e chi no; di chi debba continuare a vivere e chi no; di chi debba morire con l’eutanasia. Tutto questo è frutto certamente della visione secolaristica del mondo e dell’uomo: non è Dio, ma l’uomo padrone della vita e può deciderne a suo piacimento. La vita non è più un valore sacro, quindi intangibile e inattaccabile, è un valore strettamente individuale per cui lo slogan coniato per l’aborto: “ il corpo è mio e lo gestisco io” è trasferito alla vita: “la vita è mia e ne faccio quello che voglio”; è la mentalità libertaria, radicale che rivendica il diritto all’eutanasia. La vita umana ha senso se dinanzi a sé ha un avvenire di benessere, di buona salute e di felicità; una vita che sia di peso o di fastidio, di nessuna apparente utilità, che comporti oneri pesanti per la società, va eliminata. La sofferenza è un male assoluto da evitare, come già detto. Se l’invecchiamento della popolazione avanza insiema alla denatalità e il carico crescente di persone anziane apparirà troppo oneroso, si procederà, come già avvenuto, alla pratica dell’eutanasia sugli anziani. Se l’humus culturale in cui nasce e si diffonde la mentalità e la pratica dell’eutanasia è quello del secolarismo, dell’ateismo del materialismo, dell’edonismo e simili; se i valori della vita sono solo il benessere e l’efficienza, non vi può essere posto per la sofferenza e l’improduttività. Occorre perciò riflettere su altri valori. Riguardo poi alla visione cristiana della vita e della morte, cerco di offrire alcuni brevi e lineari concetti: la vita umana, quale che sia la sua condizione, è sacra, appartiene a Dio che solo ne comprende tutto il mistero; a ogni vita umana Dio ha assegnato una vocazione che si compie secondo un disegno di Dio di partecipazione al suo Regno, di cui nessuno può sapere la conclusione; perciò nessuno può mettere fine alla propria o all’ altrui vita, pensando che non sia più utile; anche le sofferenze, comprese le ultime, entrano nel misterioso piano di dio ed hanno valore di purificazione e di redenzione; infatti l’uomo decide e compie il suo destino nelle sofferenze ultime e nella morte; anche chi è portatore di handicap, malato o menomato, ha la dignità di persona umana, rientra in un preciso disegno di Dio e quindi deve essere rispettato, curato e amato perché goda anch’egli della sua parte di felicità, contribuisca all’arricchimento morale della società e susciti gesti di solidarietà, di bontà, di amore; l’uomo vale per quello che è, non per quello che produce o che è capace di fare: ha valore assoluto anche quando è inabile, malato di mente o handicappato, e non può essere considerato di peso per la società; l’esempio di Cristo è emblematico: la sofferenza e la morte in lui sono gesti di fede e di amore e producono redenzione. Da condanna per l’uomo sono diventati mezzi di salvezza. D’altra parte, la morte è parte integrante della condizione umana e quindi deve essere accolta nei modi che la natura stessa propone, senza forzature nell’uno o nell’altro senso e senza la pretesa di voler impadronirsi di un mistero che, in definitiva, le dà dignità e valore. Dal modo piuttosto disorganico con cui si è proceduto, si può arguire che l’argomento è ancora pienamente in discussione e in via di definizione, anche se alcune posizioni sono già molto chiare sia a favore che contro. Il problema rimane gravissimo per certe tendenze già pubblicamente manifeste; occorre insistere energicamente perché soprattutto le nuove generazioni siano formate a una cultura della vita e per la vita e non si lascino trascinare da troppo facili emotività e falsi umanitarismi. Don Marcello Stanzione |
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