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San Giuda Taddeo e l’Arcangelo San Michele PDF Stampa E-mail

San Giuda Taddeo e l’Arcangelo San MicheleSan Giuda Taddeo fu uno dei dodici apostoli da non confondere con l’omonimo detto Iscariota, il traditore. Il suo soprannome al contrario viene dal siriaco e significa “dal petto largo” ossia “magnanimo”. Nacque a Betlemme, coetaneo di Gesù, al quale somigliava moltissimo perché era suo consanguineo, amava mostrarsi in giro con una tavoletta appesa al collo in cui era rappresentato il Messia. Pare fosse Suo cugino carnale perché era figlio di Alfeo, fratello di San Giuseppe e di Maria di Cleofa, una delle Tre Marie presenti sotto la croce di Cristo, cugina della Vergine Maria. Nel Vangelo di Matteo (13,55) e di Marco (6,3) viene riportata un’identica frase in cui Giuda viene addirittura presentato come fratello di Gesù ma probabilmente il termine non deve intendersi in senso letterale quanto piuttosto metaforico. Secondo Eusebio di Cesarea poi Taddeo potrebbe essere identificato con lo sposo delle nozze di Cana. L’unico episodio evangelico in cui troviamo con certezza la figura ... 

...  di Taddeo è nell’Ultima Cena raccontata da Giovanni (14,22). In quell’occasione l’apostolo non riesce a trattenere una domanda e chiede: “Signore, come è accaduto che devi manifestarti a noi e non al mondo?”. Taddeo per il troppo entusiasmo che nutre verso Gesù non riesce a concepire il motivo per cui un tale privilegio sia concesso solo a pochi. Gesù gli risponde con delle semplici parole che vengono ricordate come la lezione dell’amore mistico: “Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo onorerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui”.

Dopo l’Ascensione di Cristo, Giuda si mise in viaggio per portare la parola del Signore nel mondo. Evangelizzò la Mesopotamia e la Libia ed in uno di questi viaggio scrisse una breve lettera che è conservata nel Nuovo Testamento tra le Lettere Apostoliche o Universali perché non hanno un destinatario specifico. Scritta in uno stile vivace e poetico getta i suoi strali contro i fomentatori di discordia. Fu scritta probabilmente in un momento di profondo sconforto per le eresie dei Nicolaiti, dei Simoniani e dei Cerentiani che già serpeggiavano in seno alla nascente Chiesa di Cristo. Giuda punta il dito contro gli errori di questi empi ed ingrati figli fomentatori di discordie, di disordini morali e materiali e degni solo delle più profonde tenebre eterne.

Nel Nuovo Testamento,  L’arcangelo Michele è citato nella Lettera di Giuda (8-10) (che viene normalmente datata verso gli anni 80-90 d.C.): “Ugualmente anche questi negatori contaminano la carne, disprezzano la sovranità, ingiuriano (gli angeli) della gloria. E invece lo stesso arcangelo Michele, quando disputava col diavolo il cadavere di Mosé, non osò pronunciare un giudizio oltraggioso, ma disse: Ti punisca il Signore. Costoro invece oltraggiano ciò che non conoscono”. In questo passo, Michele si scontra col diavolo per strappargli il corpo di Mosé, appena deceduto: questo brano della Lettera di Giuda è l’eco di un’antica tradizione giudaica riferita da un’opera apocrifa (e quindi non appartenente alla Bibbia canonica), intitolata “Assunzione di Mosé”, a cui alludono vari Padri come per esempio Clemente Alessandrino e Origene, ma che è andata perduta.

Nella Lettera di Giuda si afferma quindi che il giusto, anche nella morte, è protetto dal Signore attraverso il suo Angelo, che strappa il fedele a Satana, principe infernale.

Persino in questa disputa per impadronirsi del corpo di Mosé, l’arcangelo Michele non osò profferire contro Satana un giudizio oltraggioso, preferendo lasciare a Dio il compito di giudicare. Michele rispettava talmente la dignità angelica originaria anche del demonio che, di fronte a lui trattenne un insulto, lasciando il giudizio a Dio. i maestri dell’errore, invece, fanno l’esatto contrario: presumono di sé, giudicano la Parola di Dio, preferiscono i loro sogni alla tradizione. Michele invece non ebbe la stoltezza  neppure di giudicare Satana, costoro invece arrogantemente si sostituiscono a Dio, anteponendo i giudizi personali a quelli della Tradizione apostolica. Michele invece è l’esatto contrario dell’arroganza. Una cosa è certa, Giuda Taddeo aveva una grandissima venerazione per l’Arcangelo Principe delle schiere celesti.

Degno di menzione è il prodigio con cui convertì il re dell’antica città di Edessa, sull’altipiano mesopotamico, ai confini con la Siria. Essendogli stato notificato l’arrivo di uno straniero che faceva prodigi di ogni genere, il re Abgar, gli andò incontro ed ecco apparirgli, a fianco dell’Apostolo, la figura luminosa di Gesù risorto. Intimorito il re si inchinò profondamente davanti a San Giuda, restando però a una certa distanza da lui perché era lebbroso. Ma il Taddeo gli si avvicinò, gli impose le sue mani e subito la lebbra sparì. Si tramanda poi che si riunì con l’Apostolo Simone e insieme cristianizzarono la Persia. Un giorno, i due giunsero a Suamyr, grande centro della Persia, e presero alloggio presso un loro discepolo, chiamato Semme.

In quella città però predicavano già due sacerdoti eretici di nome Zaroes e Arfexat che, invidiosi e preoccupati del carisma dei due apostoli, avevano preparato la popolazione locale al loro arrivo e li avevano aizzati contro la loro parola. Il mattino seguente i due sacerdoti con un gruppo di loro fedeli si presentarono davanti alla casa di Semme e minacciarono di bruciargliela se non avesse consegnato i due ospiti. San Giuda e San Simone allora si consegnarono spontaneamente e furono brutalmente martirizzati dalla folla.

Mentre venivano uccisi, un temporale si abbatté su Suamyr e terribili folgori fulminarono i sacerdoti e rasero al suolo il loro tempio idolatra. Le spoglie dei due apostoli sono oggi conservate nella basilica di San Pietro a Roma ed il papa Paolo V concesse l’indulgenza plenaria ai visitatori della tomba nella Basilica vaticana il giorno 28 ottobre. Fin dal XII secolo i fedeli invocano Taddeo come patrono dei casi disperati e degli affari senza rimedio.

Don Marcello Stanzione

 
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