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San Paolo della Croce devoto di San Michele PDF Stampa E-mail

San Paolo della Croce devoto di San MicheleIl calendario liturgico ci fa festeggiare il 19 ottobre san Paolo della Croce. Paolo Francesco Danei nacque nel 1694 a Ovada in provincia di Alessandria ed apparteneva ad una famiglia che contava ben  sedici figli. A 19 anni sentì la chiamata del Signore e pensò di rispondervi partecipando alla Crociata che Venezia stava organizzando contro i turchi per liberare il santo Sepolcro. Prima di arruolarsi capì che era ben altra la milizia al quale Dio lo chiamava.   Un anno prima di morire, padre Paolo della Croce incontra per la prima volta la sua figlia spirituale Rosa Calabresi, giunta a Roma in occasione del Giubileo del 1775. Una profonda amicizia si snoda tra il vecchio sacerdote – egli ha più di ottant’anni – e la contadina d’una trentina d’anni, che si fa dovere di visitarlo per quanto sovente le è possibile per trarre profitto dal suo insegnamento e scuotere un po’ la solitudine nella quale egli sovente si ritrova, essendo i suoi religiosi presi dal loro ministero. Accade che, durante i loro colloqui spirituali, ...

...    ella sia testimone di fatti straordinari, di cui custodirà fedelmente il ricordo e di cui testimonierà alcuni anni più tardi nel quadro della procedura in vista della canonizzazione del santo fondatore. Così, ella lo vede talvolta in estasi, col viso raggiante, ed anche sollevato da terra a due riprese. Inoltre, ella è ammessa a condividere le visioni e le apparizioni da cui è favorito: allora ella si china a fianco suo, e guarda, ed ascolta. Un giorno, ella lo vede venir meno al termine d’una estasi, sostenuto e rialzato da San Michele e da un altro angelo, che si mostrano visibilmente a lei: essi lo installano dolcemente sulla sua poltrona, poi scompaiono senza dir parola. Un’altra volta, ella lo vede conferire con due angeli, così splendenti ch’ella non può fissare i suoi occhi su di loro. Il sacerdote chiede ad uno di essi di prendere sotto la sua protezione la sua anima e la sua famiglia religiosa, e questi – nel quale Rosa Calabresi ha riconosciuto San Michele – gli risponde che continuerà a farlo, come lo ha fatto fino ad allora: Io ho ben compreso che erano due angeli; ma l’uno aveva un aspetto più maestoso, era vestito come un guerriero, come lo rappresentano i pittori. Ma d’una bellezza così splendente ch’essa non ispira che riverenza e fervore. E’ per questo che ho pensato che fosse San Michele. Pertanto, non fidandomi di me stessa e dei miei pensieri, io interrogavo dopo la visione il venerabile servo di Dio, che mi rispose che era ben quello che avevo pensato; egli mi impose allo stesso tempo un rigoroso silenzio.

Obbediente, Rosa si tacerà fino al giorno in cui – sempre per obbedienza – ella dovrà render conto sotto giuramento degli eventi di cui era stata testimone. Sono numerose infatti durante tutta la sua vita le testimonianze che attestano la grande devozione di Paolo nei confronti degli angeli, in modo particolare verso gli Angeli custodi e l’arcangelo Michele.

Questa devozione personale, condivisa dal fratello, il venerabile Giovanni Battista, è stata trasmessa anche alla congregazione dei Passionisti da lui fondata, soprattutto come consuetudine di preghiera agli spiriti celesti ed al loro principe.

Già dalle prime battute della fondazione dei Passionisti si riscontra questa presenza angelica. Nel 1724, Paolo con Giambattista, si trova nella zona di Gaeta. I due santi fratelli dimorano nel romitorio presso il santuario della Madonna della Catena. Paolo si ritirava spesso in una grotta nella zona Fontanìa per pregare tutto solo e fare penitenza. Visitavano spesso anche il santuario della SS. Trinità alla Montagna spaccata (che secondo la tradizione si era scissa al momento della morte del Redentore). Qui il Signore gli mostrò, sull’esempio dell’apostolo Paolo, quanto avrebbe dovuto soffrire per il suo nome (cfr Atti, 9,16), e la preziosità del patire. Gli apparve, infatti, un giorno un angelo con una croce d’oro nelle mani, che lo precedeva invitandolo a seguirlo. Questa visione, egli racconterà, durò una intera giornata, ed alla fine della stessa sentì dirsi: “Ti voglio fare un altro Giobbe”.

Altro momento importante della preparazione della fondazione è rappresentato dal pellegrinaggio che i due compiono al Monte Gargano probabilmente nel 1725, in occasione del loro incontro con mons. Cavalieri, vescovo di Troia e zio di sant’Alfonso M. de’ Liguori il fondatore dei redentoristi, che diede loro ottimi consigli sulla fondazione. Andarono, dunque, sul Gargano e restarono tutta la notte nella grotta dell’Arcangelo Michele. Durante la preghiera Giovanni Battista sentì una voce interiore che gli disse: “Visitabo vos in virga ferrea et dabo vobis Spiritum Sanctum” ed ancora queste misteriose parole: “Crux venit, Crux mundi, Crux tua”.

Molte volte Paolo e Giambattista raccontarono questo episodio ai loro confratelli Passionisti; il secondo, con una certa auto-ironia aggiungeva: “La virga ferrea l’abbiamo veduta e provata ma lo Spirito Santo  ancor non si vede”.

Il Cioni, il biografo del santo, si sforza di interpretare la triplice locuzione sulla croce, applicando la croce come flagello, come castigo non lontano nei confronti del mondo. Ed aggiunge: “Egli (Giambattista) prevedeva e sentiva li travagli della santa Chiesa più assai che se fossero stati suoi proprî e vi versava incessanti lagrime nelle sue mai interrotte orazioni; e supplicava continuamente il Signore a disarmare dal flagello la sua destra vendicatrice, ed a rimirare con occhio pietoso la santa Chiesa e il mondo tutto”.

Questa locuzione angelica è come un lampo nel buio perché ci aiuta a comprendere, tra l’altro, il livello di preghiera profonda a cui erano giunti i due fratelli ed il destino di sequela del Cristo povero a crocifisso a cui erano chiamati per voce angelica nel santuario dedicato all’arcangelo protettore della Chiesa.

Giambattista, quando la congregazione fu costituita nel 1741, adottò il cognome religioso devozionale “di san Michele Arcangelo” (Paolo quello di riferito alla croce). E morì nel ritiro di san’Angelo in Vetralla (VT), dedicato allo stesso arcangelo nel 1765, dieci prima del fratello fondatore.

Quando finalmente ebbero il permesso di fondare il primo ritiro sul Monte Argentario trovarono opposizioni molto tenaci ed aggressive. Si allearono preti e laici per far fallire il progetto. Ricorsero ad amici influenti presso le autorità ecclesiastiche che avevano giurisdizione sul luogo e soprattutto sull’esercizio del culto. Alcuni tra i più facinorosi  pensarono a una spedizione punitiva e decisero di salire sul Monte e demolire le poche fondamenta che si stavano mettendo su con tanta fatica. Un intervento angelico impedì ai violenti di fare danni alle persone ed alle cose. Giovanni Battista aveva raccomandato il costruendo ritiro alla protezione dell’arcangelo Michele. E questi mise in fuga i malintenzionati: videro l’arcangelo con la spada sguainata che li minacciava e girava torno torno alle povere mura. Di questo fatto prodigioso furono testimoni sia alcuni tra i non benevoli protagonisti, come pure Agnese Grazi, santa donna, figlia spirituale di Paolo. Paolo stesso ricorderà ancora il fatto nel 1767, quando la nuova congregazione aveva spiegato le vele dall’Argentario al basso Lazio. Per ringraziamento all’arcangelo protettore fu eretto un altare in suo onore nella nuova chiesa intitolata alla Presentazione di Maria SS.

Una notte Agnese Grazi ed i familiari videro alzarsi alte fiamme dal ritiro della Presentazione. Chiamarono aiuto pensando ad una disgrazia. Saliti in cima videro che non c’era nessuna traccia di fuoco. Tutto era placido e tranquillo. Era, insomma, un segno straordinario del fuoco serafico che ardeva in quelle benedette mura. Lo stesso prodigio si verificherà nel ritiro di sant’Angelo di Vetralla, alle pendici del Monte Fogliano, ultima dimora, abbiamo già detto, di Giovanni Battista.

Più di un testimone ricorderà nei processi di canonizzazione che Paolo quando era in viaggio e non sapeva quale strada prendere davanti a un bivio si raccomandava all’angelo custode e sceglieva la strada che poi si rivelava quella giusta.

Nella vita comunitaria dei primi Passionisti dispose che le ore di ricreazione comune iniziassero  con l’invocazione agli angeli custodi (Sancti Angeli, custodes nostri). La recita del rosario in comune si concludeva con l’invocazione al Principe delle milizie celesti (Princeps gloriosissime….), che scelse come protettore della congregazione.

Nei viaggi e nelle passeggiate comunitarie si invocava la protezione degli angeli custodi con l’antifona  propria. Andando per strada, poi,  se Paolo incontrava qualcuno, salutava in silenzio l’angelo del viandante. Lo stesso faceva quando saliva sul palco prima di iniziare a predicare le missioni. Si raccomandava agli angeli degli uditori perché  potesse svolgere al meglio il suo ministero. In convento incrociando qualsiasi persona si inchinava e ossequiava il suo angelo custode.

Quando poi era giunto in vista di un paese o città si inginocchiava e mandava il suo angelo custode a salutare Gesù sacramentato nella chiesa del paese. Un altro testimone afferma che Paolo“ottenne moltissime grazie” dagli angeli.

“Predicando egli in una missione, testimonia fratel Francesco - Luigi di s. Teresa, si ruppe una tavola del palco e, cadendo,  restò come a mezz’aria, sostenuto come egli si persuadeva, dal suo angelo custode, perché altrimenti, se la cosa fosse andata secondo il naturale, avrebbe dovuto batter la testa sopra una grossa pietra”.

“In quanto agli Angeli custodi, egli ne esaltava con gran fervore la loro potentissima intercessione, massime a noi altri suoi figli…”.

In una missione parrocchiale era del tutto sfinito di forze e non riusciva a parlare. Paolo si raccomandò a Dio “ed agli angeli santi e ne ricevé pronto aiuto, poiché udì una voce simile alla sua, che proseguì la predica, mentre egli stava senza fiato per non poter più parlare. Il popolo non si accorse di questa mutazione ma egli però vide benissimo che vi era una grande commozione e che il popolo si disfaceva in lacrime” .

Infine, come ho già riferito, Rosa Calabresi, altra figlia spirituale che raccolse le ultime confidenze del santo negli ultimi anni di vita, riposta un fatto singolare accaduto a Paolo ed al fratello Giovanni Battista. Raccontava Paolo, dunque, che in un rigido inverno di un anno imprecisato, doveva no fare una viaggio lungo e disastroso che lo sgomentava solo al pensarci. Le strade erano tutte gelate e i due fratelli camminavano a stento, scivolando ogni tanto. Allora Paolo disse al fratello di mettere i piedi dove era passato lui “onde quel poveretto andava a rocchio”, cioè non poteva fare un viaggio continuato, ma bisognava che sbalzasse or qua or là, secondo dove erano impresse le di lui pedate”. Lo stesso accadeva a Paolo per cercare un punto sicuro di appoggio e non scivolare. Ad un certo punto Paolo si rivolse con tutta fiducia ai santi angeli e si raccomandò per avere da loro qualche aiuto. All’improvviso si vide trasportato da mano invisibile al luogo dove doveva andare. Non vide il fratello accanto a lui, per cui pregò gli angeli di andare a prendere anche lui, “come di fatto di lì a poco se lo vide comparire davanti. Ed avendolo il servo di Dio interrogato come avesse patito per il viaggio, sentì rispondersi dal medesimo che, dopo la sparizione del padre Paolo, egli non patì più, perché da mano invisibile sentissi trasportato nel luogo ove stavano”. Sempre la stessa testimone asserisce che al padre Paolo apparvero più volte sia l’arcangelo Michele che il suo angelo custode, per aiutarlo e consolarlo nelle sue angustie. Asserì ancora: «Figlia, se non fossero stati li santi angeli, sarei morto». Mi raccomandava, perciò, che ancor io avessi una divozione  particolare verso i medesimi con pregarli spesso, ed impetrare la loro intercessione ed aiuto”.

Analogo episodio, con protagonista solo Paolo, viene riportato  anche dal suo primo biografo, san Vincenzo Maria Strambi. Paolo è in viaggio verso il Monte Argentario ed è sfinito dal lungo camminare (“con convulsioni e tremori per tutta la vita”). Si getta a terra e invoca l’aiuto del Signore perché non vuole morire senza l’assistenza dei suoi religiosi. “All’improvviso si sentì sollevare da terra da mano invisibile. Aprì gli occhi e vide due bellissimi angeli – ma belli – mi replicò. A questa vista esclamò con tutto il giubilo del suo cuore: «Oh, grande provvidenza del Signore». Col cuore pieno di gratitudine sostenuto da questi angeli seguitò il viaggio ed in brevissimo tempo senza accorgersi della strada, si trovò entro il recinto del ritiro.

Don Marcello Stanzione

 
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