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Lo spazio etico nella postmodernità: natura, persona e situazionismoL’etica si colloca in uno spazio intermedio tra sapere teorico e sapere pratico, dal momento che coniuga e deve conciliare un’istanza conoscitiva astratta con un’altra di tipo pratico-operativo. Le sfide del nostro tempo, che mettono a disposizione dell’uomo conoscenze nuove e possibilità applicative un tempo inimmaginabili, ci invitano a pensare, a riflettere prima ancora di agire e riportano così ai contenuti e alla metodologia tradizionali dell’etica: accanto alle nuove competenze e abilità tecnologiche e scientifiche va esercitata la capacità etica di valutare il loro impatto, di prendere decisioni e agire, infine, di conseguenza: «Di fronte alla disgregazione di questa totalità, in una prima fase, la cultura ha reagito come in preda all’ebbrezza dell’esaltazione della differenza, della frammentazione, della nascita di nuove individualità. Davanti a ciascuno si aprono orizzonti di senso illimitati. Qualsiasi scelta diventa comparabile con qualsiasi altra. Non c’è niente che possa essere rivisto; ogni cosa ... 

...   che facciamo è sempre possibile altrimenti. Così sembra che non abbia più senso distinguere il vero dal falso; si vive ormai in forma ipotetica» .

Si avverte perciò, sempre più, l’esigenza di discernere, al di là di quello che si può fare, quel che si vuole fare, come uomini, per capire dove si vuole arrivare. La postmodernità ci offre un importante contributo quando solleva e cerca di interpretare la fenomenologia del mondo contemporaneo che, in molti punti, si presenta continuamente interrogato circa i risvolti etici soggiacenti ai vari ambiri della cultura e dell’universo di comportamenti che sollevano le nuove tecnologie.

La rinascita dell’etica nel nostro tempo acquista meramente un ruolo di delimitazione e di normativismo che hanno fatto diventare questo ambito della filosofia pratica un fenomeno di portata essenzialmente sociale e politico.

Ci viene rivolto un invito a riappropriarci della nostra esistenza di uomini che vivono in questo presente, con una responsabilità che si estende oltre l’oggi, anche sul futuro e sulle generazioni a venire. Un invito a esercitare quella libertà e quella responsabilità che sono i caratteri distintivi dell’uomo.

La responsabilità e la libertà investono il soggetto nel suo ruolo centrale di soggetto morale e o coinvolgono entro una duplice prospettiva, individuale e collettiva insieme: l’etica, che ci riguarda sempre direttamente in quanto persone, non può però essere solamente vissuta solo come fenomeno individuale, perché verrebbe così ridotta a morale privata, demandando al solo assetto giuridico e deontologico la gestione dello spazio pubblico comune.

Venuta meno la pretesa di fondare un’etica universale, che entro un contesto di pluralismo culturale ed etico risulterebbe arduo ottenere, si cercano dei presupposti etici comuni, minimi sì, ma in un certo senso, ma insieme forti nella loro portata.

La percezione del rischio di produrre molte etiche frammentate e frammentarie, eccessivamente specialistiche, le quali si conferiscano, ciascuna per sé, uno statuto interno e delle norme rispetto alle quali si dovrebbe solo prendere atto, è alto e porterebbe in realtà ad abdicare al senso proprio dell’etica.

Per evitare questa chiusura e questo rischio è necessario tornare alla più vasta riflessione filosofica, per interrogarsi sulle finalità dell’agire e sulle modalità con cui agire e per non perdere di vista l’orizzonte più vasto del significato dell’esperienza morale in quanto tale: «Dall’analisi di ciò che l’uomo è si può comprendere cosa sia bene per l’uomo. Tale analisi può essere condotta proprio grazie alla comprensione delle inclinazioni umane attraverso la ragione pratica che si applica all’esperienza concreta» .

L’intensità dell’appello etico che il presente ci rivolge esorta l’uomo  a riappropriarsi della propria costitutiva responsabilità morale, a conciliare, per il tramite della responsabilità e di una coscienza creativa, la dimensione universale e astratta di principi e norme con la dimensione, assai concreta, delle situazioni e delle decisioni quotidiane, a vivere in senso pieno la sua libertà di uomo.

L’uomo non è mai puramente esistenza, ma anche e sempre natura; l’individuo non è solo tale, ma anche espressione e realizzazione di un’essenza; esso è libero riguardo alla possibilità di realizzarsi o meno nel tempo, non è però libero riguardo alla sua natura né riguardo al suo fine.

La cultura è molteplice, ma la natura è una. Il problema della società multiculturale, da questo punto di vista, presenta la problematica dell’uno e del molteplice: o le culture sono fra loro contrapposte e finiscono col frammentarsi, impoverendosi man mano che si moltiplicano, oppure si arricchiscono reciprocamente, unificandosi attorno ad una realtà centrale e trascendente.

Questa realtà non può essere opera della cultura, poiché in questo caso non sarebbe che una delle sfaccettature della produzione umana. La natura non è opera della ragione: è data, è là. L’uomo nasce con essa. Essa è un dato che precede ogni pensiero e deve costituire la base concorde di tutti. Ora, il pensiero è necessariamente aperto al reale: è pensiero di ciò che è. Di conseguenza la cultura, che è opera del pensiero umano, deve essere essa stessa indissociabile dalla natura e da questa preceduta. Infatti, la cultura fa parte della natura dell’uomo che è animale razionale: «E’ proprio della natura umana il non poter raggiungere un livello di vita veramente e pienamente umano se non mediante la cultura, coltivando cioè i beni e i valori della natura. Perciò, ogniqualvolta si tratta della vita umana, natura e cultura sono quanto mai strettamente connesse. Con il termine generico di cultura si vogliono indicare tutti quei mezzi con i quali l’uomo affina e sviluppa le molteplici capacità della sua anima e del suo corpo; procura di ridurre in suo potere il cosmo stesso con la conoscenza e il lavoro; rende più umana la vita sociale, sia nella famiglia che in tutta la società civile, mediante il progresso del costume e delle istituzioni; infine, con l’andar del tempo, esprime, comunica e conserva nelle sue opere le grandi esperienze e aspirazioni spirituali, affinché possano servire al progresso di molti, anzi di tutto il genere umano» .

Ecco perché non possiamo accettare una pura etica della situazione, che neghi natura e leggi ed imperativi riferiti a questa natura. Un atto la cui struttura intrinseca contraddicesse la retta ragione e le esigenze della natura umana, non potrebbe mai essere scusato, anzi non bisogna farlo mai. Ma è pur vero che le regole universali non sempre bastano per determinare ciò che si debba fare in un dato caso. L’uomo, come natura esistente nel tempo, esiste in uno stato d’apertura, in un futuro dalle possibilità infinite. Suo compito e di non scomparire anonimo in esse, ma di realizzarle, di coglierle come possibilità proprie della sua esistenza. Ma ciò avviene in quanto egli le afferra nella definitività della decisione storicamente unica ed irrevocabile.

Mediante la decisione morale egli si determina storicamente, dandosi un volto invece che un altro. È attraverso questa decisione che egli diventa ciò che sarà. Ora la morale non ha solo una funzione negativa; essa non deve soltanto indicare ciò che assolutamente non va fatto; non ha solo il compito di mettere paletti, o di essere una ringhiera che impedisce all’uomo di cadere in un baratro, tanto per usare due immagini classiche applicate spesso alla funzione della legge morale.

Essa ha anche una funzione positiva: indicare come quella decisione mediante la quale l’uomo fissa il suo essere storicamente sia perfettamente adeguata a tutte le esigenze del momento. La morale ha il compito di condurre la persona ad un agire quanto più consono alla sua dignità, perché attinga ad una perfezione sempre più piena. Ma in questo senso la norma morale non è mai adeguata al particolare, poiché necessariamente ragiona in termini universali: «Non meno importante della ricerca in ambito teoretico è quella in ambito pratico: intendo alludere alla ricerca della verità in rapporto al bene da compiere. Con il proprio agire etico, infatti, la persona, operando secondo il suo libero e retto volere, si introduce nella strada della felicità e tende verso la perfezione. Anche in questo caso si tratta di verità. Se esiste il diritto di essere rispettati nel proprio cammino di ricerca della verità, esiste ancora prima l’obbligo morale grave per ciascuno di cercare la verità e di aderirvi una volta conosciuta. È necessario, dunque, che i valori scelti e  perseguiti con la propria vita siano veri, perché soltanto valori veri possono perfezionare la persona realizzandone la natura. Questa verità dei valori, l’uomo la trova non rinchiudendosi in se stesso ma aprendosi ad accoglierla anche nelle dimensioni che la trascendono. È questa una condizione necessaria perché ognuno diventi se stesso e cresca come persona adulta e matura» .

In questo senso è necessario riproporre il diritto naturale come suprema istanza degli atti della persona: «La legge naturale è la sorgente da cui scaturiscono, insieme a diritti fondamentali, anche imperativi etici che è doveroso onorare. Nell’attuale etica e filosofia del diritto, sono largamente diffusi i postulati del positivismo giuridico. La conseguenza è che la legislazione diventa spesso solo un compromesso tra diversi interessi: si cerca di trasformare in diritti interessi privati o desideri che stridono con i doveri derivanti dalla responsabilità sociale. In questa situazione è opportuno ricordare che ogni ordinamento giuridico, a livello sia interno che internazionale, trae ultimamente la sua legittimità dal radicamento nella legge naturale, nel messaggio etico iscritto nello stesso genere umano. La legge naturale è, in definitiva, il solo valido baluardo contro l’arbitrio del potere o gli inganni della manipolazione ideologica. La conoscenza di questa legge iscritta nel cuore dell’uomo aumenta con il progredire della coscienza morale» .

È fondamentale il rapporto tra gnoseologia (verità dell’uomo e del mondo) ed etica, fra antropologia e morale. Prima di capire cos’è bene e cos’è male, devo vedere che idea ho dell’uomo. Bisogna chiarire la natura, l’origine e il fine dell’uomo; ciò che è bene e ciò che è male in ordine al raggiungimento di quel fine.

L’uomo oggi, e spesso anche nel passato, è oggetto di riduzionismi: solo corporeità, affettività, spiritualità. Per quanto riguarda il metodo corriamo il rischio di scomporre l’uomo in tanti pezzi od organi e di perdere la visione d’insieme, fermandoci così solamente all’esperienza immediata, al presente. La visione ontologica postmoderna porta con sé tutti questi rischi perché pone la debolezza del pensiero a paradigma e matrice concettuale dell’agire.

Don Roberto Piemonte – Indirizzo e-mail protetto dal bots spam , deve abilitare Javascript per vederlo

 
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