Storia dell'abito ecclesiastico dalle origini fino al concilio di Trento |
Non ci sono traduzioni - There are no translations - Nein Übersetzungen - No traducciones - Aucun traductions Due tendenze polarizzano la storia dell’abito ecclesiastico del Clero: da una parte, il desiderio di manifestare lo stato separato ed il carattere sacro del clero e in tal modo di metterlo in guardia contro la tentazione di vivere in un modo troppo profano ; dall’altra parte, il desiderio di non essere troppo distanti dal popolo che devono evangelizzare con un’abbigliamento troppo strano ed eccentrico da quello usuale di tutti i cristiani. Dal VI secolo alla fine del XIX e la prima tendenza che domina quasi esclusivamente. E’ accertato che nei primi cinque secoli non vi è alcuna differenza tra l’abito civile e quello clericale. Infatti nei primi secoli la Chiesa non aveva alcun statuto giuridico legale in un mondo in cui non vi erano altre istituzioni che quelle dello stato romano. Inoltre le persecuzioni minacciavano continuamente la cristianità per cui non era opportuno per i membri a cui era stato conferito il Presbiterato di rendersi facilmente riconoscibili. Vediamo così Cipriano di Cartagine nel III secolo, ... ... al momento del suo martirio, vestito come tutti cioè con un semplice abito formato da una lunga tunica di sotto ed un vestito di sopra, il birrus una specie di toga semplificata, non drappeggiata con delle aperture di lato per assicurare la libertà dei movimenti delle braccia, ed infine una dalmatica, mantello a maniche chiuse da ogni lato. Molto tempo dopo le persecuzioni, i chierici conservano un abito del tutto simile a quello dei laici di classe media . Il Papa San Gregorio, e il Papa San Zaccaria portano abiti secondo il costume di città della buona borghesia. L’abito liturgico stesso, in questi primi secoli non era differente dal costume civile. La più antica rappresentazione dell’Eucarestia, nella catacomba di Callisto, ci mostra il celebrante che porta solo una lunga tunica che lascia una spalla ed il petto nudi. Nei secoli successivi, l’abito liturgico continua ad essere l’abito di città ; ma si raccomanda per la liturgia una speciale pulizia del vestiario. A differenza di Roma, nelle Gallie, i Vescovi dal V secolo cominciano a prendere un vestiario distinto, non un costume lussuoso ; ma per confermarsi al Vangelo che raccomanda di avere le reni cinte e di non possedere che un mantello, essi decidono di portare un piccolo pallio. Il Papa Celestino nel 428, li biasima violentemente perché essi hanno introdotto un uso contrario a quello della Chiesa : “ se bisogna distinguersi dal popolo o dagli altri, conclude il Papa, che sia per la dottrina non per il vestire. E se bisogna seguire il Vangelo alla lettera, perché non prendere un bastone ed una lanterna accesa in mano ? A tale riguardo è interessante notare che l’uso della mitria episcopale è sconosciuta prima del IX secolo. Furono le invasioni barbariche a creare una rivoluzione vestiaria che riguardò anche l’abbigliamento del clero. Mentre l’antica civilizzazione era rimasta fedele all’abito lungo, gli invasori della Germania portavano un abito corto da soldato che lasciava libere le membra. Lo stesso Carlo Magno non portò che due volte nella sua vita l’abito lungo romano e lo fece per espressa richiesta di due Papi, scandalizzati da una moda giudicata indecente e progressista. Dall’epoca merovingia al XII secolo il vestito corto è universalmente utilizzato, esso si compone di braghe, cioè una specie di mutande, di una tunica a maniche non discendente più giù del ginocchio e stretta alla vita da una cintura, da un mantello aperto aggraffato sulla spalla. Solamente il re, almeno a partire dai Capeti, porta una lunga veste allo stesso modo degli imperatori bizantini. I chierici sono molto tentati di indossare questo abito di origine guerriera perché ritenuto comodo e pratico ; non così la pensano i concili ecclesiastici dei secoli V, VI e VII che si esprimono contro questa moda profana di origine barbarica ed invitano i chierici ad indossare l’abito lungo alla romana, cioè l’antico abito civile divenuto arcaico. Sarà il Papa Zaccaria che nel 743 permetterà ai chierici di indossare durante i viaggi un abito corto più comodo. In quest’epoca nessun colore è indicato né per i vescovi né per i sacerdoti : si è esortati ad un vestire modesto e senza lusso. Ma a partire dal Vi secolo s’impone una nota distintiva dei chierici: il taglio corto dei capelli. Presso i Germani i nobili portavano i capelli lunghi, vari concili impongono ai chierici di portarli corti al mondo antico. A partire dal VI secolo s’introduce lentamente la tosatura ( che sarebbe meglio chiamare la rasatura ) , ad imitazione dei monaci che non lasciano sussistere che una piccolissima corona di capelli intorno al cranio. A tale acconciatura monacale viene facilmente trovato un senso simbolico: il diadema del sacerdozio regale. I chierici si dispensano spesso dal portarla ed i concili ritornano spesso su questo obbligo. Solo a partire dal XVI sec., la piccola tosatura o anche tonsura sulla cima della testa, sostituisce la corona per i diocesani e per i chierici regolari. Ritornando all’abito abbiamo che nel XII sec. , abbiamo di nuovo una grande inversione di moda : a partire dal 1140 ad imitazione probabilmente dell’oriente, attraverso la mediazione del regno normanno della Sicilia, il cappotto, ovvero la tunica lunga ritorna di moda per i laici e si generalizza un lusso inaudito decretano contro gli abiti dalle larghe maniche, i costumi spezzati, la seta, le pellicce preziose ed anche i colori sgargianti come il rosso e il verde. I cardinali che come istituzione compaiono intorno all’XI sec. , portano a partire dal XIII sec., almeno per il cappello, la porpora viola, insegna imperiale riservata al Papa e ai suoi legati. La porpora violacea diventerà lentamente il colore dell’attuale abito solenne da cerimonia dei vescovi. Nel XIV sec., vi è un nuovo capovolgimento della moda : i laici ritornano all’abito corto e strettamente aggiustato che crea scandalo tra le persone di Chiesa che lo trovano immorale e ridicolo. La metà del XV sec. ,rappresenta un periodo decisivo per il futuro dell’abbigliamento maschile nella vita civile. Le crociate avevano inoltre propagato per tutta l’Europa l’uso della seta ed il gusto per la varietà dei colori. Gli abiti maschili erano così attillati da richiedere una sistemazione particolare dei genitali in un’apposita protuberanza della calzamaglia (la braghetta) , su cui, talvolta, veniva gratuitamente attirata l’attenzione per mezzo di colori vivaci ed imbottiture fatte in modo tale da simulare un’erezione costante. Ormai l’abito lungo non sarà più che un abito da cerimonia, un po’ come il frak e il cappello a tuba dei nostri giorni. L’abito lungo è un abito reale che Filippo il Bello concederà al cancelliere di Francia ed ai giudici insieme alla porpora e all’ermellino, insegne del potere supremo. I concili del XIV e XV sec., prescrivono per il clero l’abito lungo e chiuso da ogni lato. Il Concilio di Trento esprime sobriamente lo spirito della Chiesa della controriforma : “Benché l’abito non basti a rendere l’uomo religioso, è comunque necessario della loro vita e la dirittura interiore dei loro costumi con la dignità esteriore dei loro abiti. Comunque a vergogna della religione, la sregolatezza è così grande presso alcuni in questo secolo, a disprezzo della loro propria dignità esteriore dei loro abiti. Comunque a vergogna della religione, la sregolatezza è cos’ grande presso alcuni in questo secolo, a disprezzo della loro propria dignità e dell’onore del sacerdozio che essi hanno la temerarietà di portare pubblicamente degli abiti completamente laici volendo mettere per così dire un piede nelle cose divine e l’altro nelle cose della terra.” Don Marcello Stanzione |
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