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L'Arcangelo nella tradizione ebraica, cristiana, islamica PDF Stampa E-mail

L'Arcangelo nella tradizione ebraica, cristiana, islamicaL’angelo di Jahve, che in Zaccaria 3, 1-2 si oppone a Satana, riceve il nome di Michele, ma diventa pure il protettore del popolo del Signore, come ben appare nella visione del profeta Daniele (Dn 10, 13). L’Apocalisse di Giovanni si rifà a questa concezione: Michele e gli angeli che stanno dalla sua parte cacciano Lucifero, nelle sembianze di drago, dal cielo. Michele ha in mano le chiavi dell’abisso (Ap 12, 7-9; 20, 1ss.). La lettera di Giuda cita uno scritto apocrifo, secondo il quale Michele, avrebbe lottato con il diavolo per impossessarsi del cadavere di Mosè (Gd 9). Su queste affermazioni della Sacra Scrittura germogliarono le tre tradizioni. TRADIZIONE EBRAICA “Secondo l’ebraismo, Michele è mediatore tra Dio e gli uomini. In alcuni episodi del Primo Testamento il suo nome è stato inserito in un periodo successivo. Con Gabriele e un altro angelo, Michele ha visitato Abramo dopo la sua circoncisione, annunciandogli la nascita di Isacco; è intervenuto in seguito per impedire il sacrificio del figlio. ... 

... Michele informa Abramo della prigionia di Lot, poi accompagna il servo Eliezer inviato da Abramo a cercare una moglie per Isacco. In questo angelo è visto più tardi anche l’avversario che lotta con Giacobbe, al quale sloga l’articolazione del femore. Inoltre, Michele appare a Mosè sul monte Oreb e, insieme a Gabriele, accompagna Dio sul Sinai. Quindi nel giorno del matrimonio di Salomone con la figlia del faraone Neco, scende dal cielo e pianta una canna nel mare di Galilea. Inoltre protegge i Giudei dall’oppressione in Babilonia organizzata da Aman: è lui a spingerlo contro Ester, in modo da far sembrare che Aman abbia voluto violentarla. A fianco del Messia combattono Michele e Gabriele, questi come fuoco, quello come neve.

Per la cabala, Michele è l’angelo del diritto e il simbolo della grazia. È il protettore particolare d’Israele e, secondo la speculazione cabalistica più tarda, è proprio lui a condurre le anime dei giusti al cospetto dell’Onnipotente.

TRADIZIONE CRISTIANA Anche nella tradizione cristiana successiva al Nuovo Testamento la figura di Michele ricopre un ruolo importante. Secondo Origene (II secolo), Michele presenta a Dio le preghiere degli uomini. Più tardi vengono trasferiti su Michele tratti dell’antica guida delle anime, lo psicopompo. In veste di praepositus paradisi, sarà suo compito soppesare le anime nel giudizio finale. Il dotto Rabano Mauro (IX secolo) scrive omelie sull’arcangelo Michele, come farà più tardi il mistico Bernardo di Chiaravalle (1090-1153).

Michele è considerato araldo di Cristo nell’esercito angelico, e quindi santo protettore della Chiesa, dell’esercito cristiano e anche di singoli popoli. Nella civiltà cristiana il culto di S. Michele fu utilizzato come sostituzione di quello di Odino. Questi motivi sono ulteriormente ampliati nella Legenda Aurea (XIII secolo): è Michele a colpire l’Egitto con le piaghe, al posto di Dio, a dividere il mar Rosso e a condurre il popolo d’Israele attraverso il deserto fino alla terra promessa. Inoltre, sempre secondo questa tradizione, il capo delle milizie celesti, sul monte degli Olivi, ucciderà l’Anticristo e risusciterà i morti con la sua tromba. Nel giorno del giudizio finale Michele porterà croce, chiodi, corona di spine e lancia. Il nome di Castel S. Angelo, propriamente il mausoleo dell’imperatore romano Adriano, risale alla leggendaria apparizione di Michele durante una processione per la peste, con Gregorio Magno, nell’anno 590 d.C.; nell’occasione l’angelo apparve in atto di riporre la spada nel fodero, significando così la fine della pestilenza.

TRADIZIONE ISLAMICA L’arcangelo Michele (Mikal) è menzionato nel Corano soltanto una volta (Sura 2, 98): “Se uno è nemico di Dio e dei suoi angeli e di Gabriele e di Michele, Dio (a sua volta) è nemico dell’infedele”. Ma una non chiara tradizione islamica affermerebbe che gli Ebrei considerano Gabriele l’angelo della distruzione e della carestia, mentre Michele è invece il protettore della fertilità e della salute. Entrambi gli angeli, che stanno uno a destra e l’altro a sinistra di Dio, sarebbero allora “nemici” tra di loro, il che però contrasta con il passo coranico summenzionato e con tutta la tradizione ebraica. Se nella tradizione ebraica numerosi sono i passi attestanti l’importanza di Michele, la tradizione islamica lo menziona di rado. Si narra infine che Michele è stato inviato sulla terra dopo Gabriele, per raccogliere il fango necessario a plasmare l’uomo, e che questi due angeli sono stati i primi a inginocchiarsi di fronte ad Adamo.

NELL ’ARTE Nell’arte figurativa Michele è dipinto come un giovane, e dal X al XV secolo si preferisce il tipo femminile, mentre con il Rinascimento emerge una figura con fattezze più robuste e maschili. Nel periodo paleocristiano, Michele, soprattutto quando compare come messaggero divino o custode del Paradiso, è vestito con tunica e pallio; nell’arte orientale appare spesso con abiti da sovrano. A partire dal primo Medioevo Michele riveste per lo più paramenti liturgici o figura come guerriero con corazza e armatura. Le sue ali sono per lo più bianche, talvolta anche con i colori del pavone. I capelli sono tenuti insieme da una fascia o da un diadema. Dal 1400 si rinuncia talvolta all’aureola.

Come messaggero di Dio e arcistratega, Michele ha gli attributi del bastone araldico, il globo o il segno della croce. Nella lotta contro Satana o il drago, Michele è armato di lancia, spada, scudo o bastone di Giacobbe; nella sua funzione di giudice delle anime ha la bilancia e la spada. Nell’arte paleocristiana e bizantina, Michele è raffigurato per lo più come custode del regno dei cieli o assistente al trono, insieme a Gabriele. Michele è visto come rappresentante del cielo anche nel Medioevo. Talvolta appare anche come assistente al trono di Maria. Soltanto a partire dal IX e X secolo Michele figura come uccisore del drago, in diretta analogia con Cristo e con richiami a concezioni escatologiche.

Qui Michele, soprattutto nel basso e tardo Medioevo, è raffigurato o trionfante sul drago ucciso o ancora impegnato nella lotta. Entrambi i motivi sono spesso uniti e riprodotti preferibilmente su frontoni e timpani delle chiese medievali, nonché in manoscritti. Nel Rinascimento Michele, come uccisore del drago, appare di solito nelle vesti del combattente a cavallo, con armatura. Soltanto nel tardo Medioevo Michele è raffigurato come praepositus paradisi, in atto di soppesare le anime nei dipinti sul giudizio universale.

Uno degli esempi più importanti è l’altare maggiore di R. van der Weyden con la raffigurazione del giudizio finale (1448-1451, Beaune), nel cui pannello centrale, sotto il Cristo giudice troneggiante su un arcobaleno, un Michele esilissimo e leggiadro soppesa le anime in forma di minuscole figure. H. Leu invece propone un Michele in atto di pesare le anime, in un quadro molto mosso, con l’arcangelo che solleva la spada sul capo, pronto a colpire. Accanto alle riproduzioni dei principali tipi iconografici, l’arcangelo ricorre pure in una serie di raffigurazioni: la cacciata di Adamo ed Eva dal Paradiso; Michele ferma il braccio di Abramo che sta per sacrificare Isacco; appare all’asina di Balaam; si mostra ad Abacuc” (Martin Bocian, I personaggi biblici – Dizionario di storia, letteratura, arte e musica, Mondadori editore, Milano 1997, pp. 355-358). Sfogliando la Bibbia ci si accorge che spesso le sue pagine levitano nel sogno di Gianfranco Ravasi “Lo scrittore francese Roger Caillois (1913-1978) nella sua ricerca sul sacro, sul mito, sulla magia ha coniato una suggestiva definizione del sogno: “I sogni hanno la forma delle nuvole e dei disegni delle ali delle farfalle.

Sostanza aerea, polvere dai mille colori che resta sui polpastrelli e che si infrange se ci si attacca”. Se sfogliamo la Bibbia, ci accorgiamo che anche le sue pagine sono spesso cosparse di questa polvere dorata ed è facile che il pensiero del lettore sia catturato dalla rete dei sogni e delle visioni bibliche. Essi, però, non affondano solo nel subconscio dell’uomo ma soprattutto nel “buio luminoso” del mistero divino. Pensiamo alla visione della scala celeste che si apre davanti a Giacobbe addormentato e che è narrata nel capitolo 28 della Genesi e, nello stesso libro, pensiamo ai famosi sogni interpretati da Giuseppe in Egitto; pensiamo alle potenti Cinque visioni finali (cc. 7-9) di Amos, il profeta contadino, a quelle barocche di Ezechiele, alle otto visioni surreali di Zaccaria (cc. 1-6), a quelle complesse e apocalittiche di Daniele; pensiamo alla significativa definizione di “veggente” data ai primi profeti come Samuele, Elia ed Eliseo.

D’altronde tutto l’Oriente antico era “incantato” dai sogni fino al punto d’aver creato innumerevoli sistemi interpretativi che avevano poco da invidiare alla psicanalisi per raffinatezza, anche se dotati di finalità molto diverse. L’oniromanzia, cioè la tecnica d’interpretazione dei sogni, era infatti una scienza teologica: il sogno restava il tramite decisivo della Rivelazione divina. In molte culture, infatti, si era configurata l’idea che l’anima abbandonasse il corpo durante il sonno e viaggiasse negli spazi celesti ed eterni: per questo, i sogni altro non sarebbero che messaggi dell’aldilà, veri e propri oracoli divini. La loro stessa ambiguità e la differente logica che li regge rendevano necessaria l’interpretazione profetica per coglierne il senso nascosto ed esoterico.

Così, ad esempio, il faraone Tutmosi IV (1422-1413 a.C.) durante la siesta di un pomeriggio caldo ha la visione del suo dio che gli parla, come un padre a suo figlio: “Io sono tuo padre e darò a te il mio regno su questa terra come primo dei viventi”. Questo è anche il valore fondamentale dei sogni nella Bibbia: essi rappresentano un modo simbolico per indicare la Rivelazione divina. Nel sogno e nella visione si ha, infatti, un diverso ordine di conoscenza, tutto si trasforma, si aprono nuovi mondi. Così è anche per l’esperienza di fede, così è anche per l’incontro col mistero.

A questo punto dovremmo documentare la presenza di questo simbolo all’interno di molte pagine bibliche. Noi ci fermeremo solo su un evento più noto, quello delle origini di Cristo, tutto costellato di sogni e di visioni. Si inizia già con l’apparizione dell’angelo Gabriele a Zaccaria, il padre del Battista, durante la solenne liturgia vespertina dell’incenso: Luca parla esplicitamente di “visione” (1, 22); e anche l’annunciazione a Maria sembra ricalcare lo stesso schema. Ma è soprattutto Matteo a popolare di sogni i giorni di Gesù bambino: per cinque volte in pochi versetti l’evangelista ripete l’espressione greca kat’onar: “in sogno”. Tutto era cominciato in quel momento tormentato, quando Giuseppe aveva deciso di rompere il fidanzamento con Maria già incinta di Gesù. “Mentre stava pensando a queste cose, ecco che gli apparve in sogno un angelo del Signore che gli disse: Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria… Destatosi dal sonno Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore” (1, 20.24).

I vangeli apocrifi coloreranno questo sogno di altri particolari, creando delle vere e proprie sceneggiature fantastiche. Un esempio per tutti potrebbe essere l’avvio del racconto della Storia di Giuseppe il falegname giunto a noi in lingua copta. È Gesù che parla: “Ed ecco, nel cuor della notte, farsi avanti Gabriele, l’arcangelo della gioia. Era stato il mio Padre buono a mandarlo; si presentò a Giuseppe in sogno e gli disse: “Giuseppe, Giuseppe!”. La trama dei sogni del Natale “canonico” prosegue anche negli eventi successivi alla nascita di Gesù e ha per protagonista sempre Giuseppe, tranne un paio di eccezioni. La prima è quella dei Magi “avvertiti in sogno di non tornare da Erode” (Matteo 2, 12) e la seconda è quella della visione celeste dei pastori descritta da Luca (2, 9-15). Ritorniamo a Giuseppe.

È ancora Matteo che continua il racconto così: “Un angelo del Signore gli apparve in sogno e gli disse: “Alzati, prendi con te il bambino e sua madre e fuggi in Egitto” (2, 13). E dopo il soggiorno egiziano, “morto Erode, un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe in Egitto e gli disse: Alzati, prendi con te il bambino e sua madre e va’ nel paese d’Israele” (2, 19). Ma entrato in Palestina, seppe che regnava Archelao, figlio di Erode, e allora, “avvertito in sogno, si ritirò nella regione della Galilea e andò ad abitare in una città chiamata Nazaret” (2, 22-23). Come si vede, il filo d’oro dei sogni percorre tutta la narrazione natalizia e apparirà qua e là anche altrove nel Nuovo Testamento. Basterà ricordare la stupenda e intensa visione notturna del Macedone che supplica Paolo: “Passa in Macedonia e aiutaci” (Atti degli Apostoli 16, 9). Nello stesso libro è il Signore che appare ancora a Paolo in una visione notturna a Corinto per dirgli: “Non avere paura, ma continua a parlare e non tacere, perché io sono con te e nessuno cercherà di farti del male” ( 18, 9-10).

E ancora negli Atti degli Apostoli, durante la tempesta che colpisce l’imbarcazione che porta Paolo a Roma per essere processato, l’apostolo dichiara: “Mi è apparso questa notte un angelo di Dio dicendomi: Non temere, Paolo; tu devi comparire davanti a Cesare, ed ecco Dio ti ha fatto grazia di tutti i tuoi compagni di navigazione” (27, 23-24). A questo punto, dopo aver delineato un profilo descrittivo essenziale del tema, dovremmo formulare un’interpretazione teologica. Ebbene, nella maggior parte dei racconti biblici di sogno appare un personaggio fondamentale, l’angelo (nel racconto della nascita di Gesù secondo Matteo entra in scena quattro volte e ben quattordici in Luca).

È proprio questa figura del messaggero divino a conferire al sogno biblico la sua fisionomia decisiva, quella di essere un simbolo dell’esperienza di fede che suppone un canale di conoscenza diverso rispetto a quello razionale, per poter cogliere il trascendente e il mistero divino. In questo senso potrebbe essere illuminante nella sua essenzialità un verso dei Poemi conviviali di Giovanni Pascoli: “il sogno è l’infinita ombra del Vero” (Avvenire, martedì, 3 maggio 2005)».

Don Vincenzo Mercante

 
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