Per quanto tempo ancora tolleranti? |
L'espansione dei mercati e dei traffici commerciali, i nuovi e potenti mezzi di informazione satellitare e via internet, il bisogno sempre crescente di conoscere nuove culture, i recenti sconvolgimenti politico-militari seguiti ai conflitti armati, sono solo alcuni dei fattori che determinano le attuali vicende connesse ai flussi migratori. Accoglienza vuol dire garantire a chi giunge nel nostro Paese, quei beni elementari che nei loro paesi d'origine gli vengono negati: un vestiario, una sana alimentazione, un igiene e una salute; insomma tutto ciò che nei paesi dell'Occidente europeo viene considerato come "quotidiano" e "indispensabile". I cosiddetti "Paesi ricchi", ossia quelli economicamente più sviluppati e politicamente più avanzati, hanno il dovere di offrire conforto, solidarietà ed aiuti concreti a chi nulla possiede. Tuttavia, da alcuni anni, discutere di immigrazione equivale a discutere di «integrazione e multiculturalismo»: una commistione, cioè, culturale, razziale, civile, economica, ... ... sociale, politica e religiosa fra popoli profondamente diversi per storia e tradizioni. Con l'espressione «integrazione culturale» si pretende (e ci si arroga il diritto) di costituire un'ibrida e confusa società, immemore della sua memoria storica e della sua coscienza civile, una comunità nella quale la religione è "tutte le religioni", la politica è "tutte le diverse (ed opposte) dottrine politiche", la tradizione è "tutte le tradizioni religiose e culturali". Chi non accetta la "nuova parola" (e che parola!) dell'integrazione culturale o del multiculturalismo viene relegato ai margini (se non fuori) della legalità e della civiltà democratica, accusato delle più segrete e indicibili trame oscurantiste. In Francia, come in Belgio, in Olanda o in Italia, i parlamenti nazionali approvano leggi che vietano l'usa del burqa nei pubblici uffici al fine di tutelare l'ordine pubblico e garantire l'incolumità dei cittadini; in Svizzera, i cittadini, con un referendum consultivo, hanno detto no alla costruzione di nuove moschee sul territorio elvetico: iniziative legislative di buon senso laddove, invece, sono additate come violenza ai diritti delle persone, eppure i recenti attacchi terroristici, che hanno causato morte e distruzione, sono stati commessi da integralisti islamici. Nei Paesi occidentali vengono stilate liste di proscrizione con i nomi di chi si oppone all'imperante politically correct e, in molti casi, dalle parole si passa ai fatti con omicidi efferati e rituali, si pensi al caso di Theo Van Ghog o ai ripetuti tentativi di assassinio degli autori delle vignette su un giornale olandese, che pure scatenarono violente aggressioni e rappresaglie perpetrate dalle folle musulmane ai danni di cristiani in tutto il mondo. Nelle città europee, interi quartieri sono sottomessi a leggi, codici e regole dettate da comunità di immigrati autoreferenziali ed impenetrabili. Sovente capita di ascoltare le testimonianze, struggenti e al tempo stesso terribili, di ragazze, spesso bambine, che vengono infibulate, ripudiate, segregate, seviziate, assassinate o promesse in sposa a un qualche lontano anziano di uno sperduto paese in nome della sharia islamica. Nei periodi pre-natalizi, si discute di togliere il Presepe della Natività da ogni possibile luogo pubblico perché ritenuto offensivo per i non cristiani e cattolici, dimentichi del suo essere testimone di una tradizione e di una speranza che attraversano i secoli. Le librerie sono letteralmente invase da libercoli che offendono, denigrano ed attaccano la fede in Cristo, scritti da autori lautamente pagati da case editrici di chiaro stampo laicista. Una recente sentenza della Corte Europea di Strasburgo ha invitato i paesi membri dell'Unione Europea a rimuovere il Crocifisso dagli uffici pubblici, comprese le scuole. Ogni giorno, sui mezzi di informazione, ritroviamo un qualche imam che discetta di argomenti che, nei loro paesi di origine, il solo parlarne comporterebbe una sicura morte per impiccagione o lapidazione mentre, in quegli stessi paesi, i cristiani sono sistematicamente perseguitati, uccisi, torturati, violentati, internati oppure arsi vivi nelle loro chiese, nel silenzio complice e vergognoso dei loro governi corrotti e delle anime imbelli di casa nostra. Il nostro Paese è invaso da tante "chinatown", costellato di ghetti etnici, cosparso di campi rom; nella Città Eterna di Roma, cuore del Cristianesimo e del Cattolicesimo, sorge una delle più grandi moschee d'Europa oltre sinagoghe e templi delle più svariate credenze. Nulla questio. Tutto normale, anzi dovuto. Dovuto a loro, s'intende; mentre, ai cristiani del Pakistan, dell'Arabia Saudita, dello Yemen, dell'Iran o dell'Iraq, della Malesia, delle Filippine di dovuto ci sono soltanto persecuzioni, violenze ed omicidi di massa. Allora la domanda è: per quanto tempo ancora? Qual è il limite di tolleranza, il limite oltre il quale tutto è concesso, la misura oltre cui ogni offesa diventa idea, ogni becero attacco si tramuta in critica? La domanda vuole stimolare una riflessione, una riflessione forte sul futuro di ognuno di noi inteso come uomo libero e come membro di una comunità cristiana e cattolica, una riflessione ispirata ai valori ed ai principi dell'essere cristiani oggi. Avv. Almerigo Pantalone |
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