Santa Geltrude di Helfta e le anime del Purgatorio |
Non ci sono traduzioni - There are no translations - Nein Übersetzungen - No traducciones - Aucun traductions Santa Geltrude la grande, la cui memoria liturgica è al 16 novembre, nacque nel 1256 a Aisleben in Germania. A cinque anni fu accolta, probabilmente perché orfana, nel monastero cistercense di Helfta da santa Matilde. Si instaurò un immediato rapporto tra alunna e insegnante, e sotto la guida di Matilde, che divenne maestra delle novizie dopo la decisione di Gertrude di entrare nella congregazione, la bimba sviluppò tutte le sue facoltà intellettive, diventando anche un’eccellente latinista. A venticinque anni, il 27 gennaio 1281, ha la prima manifestazione divina ma solamente otto anni dopo incomincerà a scrivere in latino per un fortissimo impulso interiore e sentendo la voce di Gesù che vuol far conoscere i suoi scritti. Poco prima di morire nel 1301 o 1302, riceve anche la trasverberazione del cuore. Nel suo libro intitolato “ Le rivelazioni” riguardo al Purgatorio così leggiamo: <Due giovanette di nobile nascita, ma ancora più nobili per elevatezza di cuore, sorelle non solo di sangue, ma ... ... anche di anima e di virtù, dopo d’aver trascorso l’infanzia nell’innocenza e nella pratica della religione, furono chiamate alle nozze eterne dallo Sposo immortale, mentre erano ancora nel fervore del noviziato. La prima morì nella festa dell’Assunzione di Maria SS., proprio nel giorno delle sue mistiche nozze; l’altra la seguì un mese dopo. Il loro ultimo combattimento fu gloriosissimo: parole e atti respiravano acceso fervore, divozione ammirabile e volontà eccellente; tanto dell’una come dell’altra si possono narrare grandi cose. La prima così felicemente spirata il giorno dell’Assunta, appare a Geltrude: era davanti al trono di gloria del Signore Gesù, circondata di luce e adorna di vari ornamenti. Ella però stava davanti a Lui come una sposa timida, tentando di chinare il viso e non osando né aprire, né alzare gli occhi, davanti alla gloria di una maestà così grande. Geltrude, spinta da zelo, disse al Signore: “O Dio di bontà, lasci tu cotesta tua piccola Sposa davanti a Te, quasi in contegno di straniera e non la chiami ai dolci tuoi amplessi?”. Tali parole parvero commuovere la tenerezza del Signore, il quale tese le mani verso quell’anima in atto di abbracciarla. Ma essa, con una specie di rispettosa delicatezza, tentava di sfuggire al divino amplesso. Geltrude, grandemente sorpresa, chiese all’anima: “Perché mai sfuggi all’abbraccio di uno Sposo così amabile?” Ella rispose: “Alcune macchie di cui non mi sono ancora purificata, me ne rendono indegna, ma se anche mi fosse dato procedere liberamente verso il mio Dio, la giustizia me lo impedirebbe, perché sono ancora incapace di unirmi al mio glorioso Signore”. Geltrude riprese: “Come mai ciò può essere giacché ti vedo già glorificata ed ammessa alla presenza del Signore?”. L’anima rispose: “Quantunque ogni creatura sia presente a Dio, pure ciascun’anima può a Lui maggiormente avvicinarsi per mezzo della carità. Ma la beatitudine piena che consiste nella visione e nel possesso della Divinità, nessuno può gustarla se non è perfettamente purificato, e in tale stato non può entrare nel gaudio del suo Signore”. Un mese dopo, quando la sorella della defunta entrò in agonia, Geltrude pregò molto per essa. Qualche istante dopo la sua morte la vide in un luogo di luce, adorna di abiti rossi, quasi Sposa che fosse sul punto di essere presentata al suo Signore. Gesù apparve a lei vicino, in aspetto di giovane pieno di vigore e di bellezza: con le sue cinque Piaghe rallegrava i cinque sensi dell’anima, facendole gustare le delizie delle sue consolazioni e divine carezze. Geltrude chiese al Signore: “O Dio di ogni consolazione, poiché sei vicino a quest’anima e le prodighi tante gioie, come mai la tristezza del suo volto tradisce una sofferenza interna?” Gesù rispose: “Mostrandomi a lei le faccio gustare le delizie della mia Umanità, ciò che non può consolarla, ma soltanto ricompensarla dell’amore che ebbe, negli ultimi istanti, per le sofferenze della mia Passione. Quando si sarà perfettamente purificata delle negligenze della sua vita passata, allora potrà rallegrarsi appieno nella mia Divinità”. Geltrude insistette: “Come mai le negligenze della sua vita passata non furono riparate a sufficienza con la divozione da lei dimostrata nelle ultime ore, poiché è scritto che l’uomo sarà giudicato tale quale si troverà all’estremo momento?”. Rispose il Salvatore: “Quando l’uomo giunge in fin di vita, le forze l’abbandonano e non può agire che con la volontà. Se la mia gratuita carità gli dona buon volere e santi desideri, ne ritrae vantaggio grande, ma non tale da cancellare tutte le passate negligenze, come se avesse usato sempre della volontà per migliorare la vita, quando era ancora nella pienezza della salute e delle forze”. Geltrude riprese: “Dolcissimo Gesù, non potresti nella tenera tua misericordia cancellare tutte le negligenze di quest’anima, a cui hai dati, fin dall’infanzia, un cuore affettuoso, ricco di bontà per tutti?”. Il salvatore spiegò: “Ricompenserò senz’altro la sua tenerezza di cuore e generosa volontà di bene: ma la mia giustizia esige che le minime negligenze siano cancellate”. In seguito accarezzò teneramente la sua Sposa ed aggiunse: “La mia diletta acconsente volentieri alle esigenze della divina giustizia: quando sarà completamente pura, la gloria della mia Divinità sarà ben sufficiente per consolarla!”. L’anima acconsentì a tali parole, e mentre il Signore pareva ritirarsi nelle profondità del cielo, ella rimase sola allo stesso posto, sforzandosi di elevarsi verso l’alto. Espiava con tale solitudine alcune leggerezze infantili che talvolta le avevano fatto gustare troppo la compagnia delle creature. Gli sforzi poi che faceva per innalzarsi, la purificavano di essersi abbandonata alla pigrizia in certi malesseri corporali. Un’altra volta Geltrude pregò per lei durante la S. Messa e all’Elevazione disse: “Padre Santo, ti offro l’Ostia divina per quell’anima, in nome di tutti coloro che sono in cielo, in terra e in purgatorio”. La defunta le apparve allora un po’ più elevata verso il cielo e un grande numero di persone erano davanti a lei in ginocchio, sostenendo l’Ostia con le due mani. L’anima, in virtù di tale offerta, veniva attratta verso la gloria, e gustava gioie ineffabili. Ella disse: “Ora esperimento la verità di quelle parole: nessun bene fatto dall’uomo mancherà di ricompensa, nessun male sfuggirà il castigo, o prima, o dopo la morte. Infatti per avere ardentemente amato la S. Comunione, trovo grande sollievo nell’offerta del S. Sacramento dell’altare che viene fatta a mio vantaggio. Per essere stata buona con tutti, ritraggo consolazione grande da tutte le preghiere che vengono indirizzate a Dio in mio favore. Ciascuna poi di queste disposizioni mi varrà ancora un’altra ricompensa eterna in cielo”. Quest’anima si elevava così poco a poco verso il Paradiso, come portata dalle preghiere della Chiesa. Ella sapeva che al momento fissato, il Signore le sarebbe venuto incontro, nella moltitudine delle sue misericordie, per darle la corona regale e condurla alle gioie eterne>. Don Marcello Stanzione |
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