Il Papa in sinagoga: un dialogo concreto |
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... anche a coloro che hanno deciso di essere tra noi”. Benedetto XVI fa una passeggiata nel ghetto, una visita alla lapide che ricorda la morte del piccolo Stefano Taché, morto a due anni nel 1982 nell’attentato dei palestinesi alla sinagoga di Roma, e poi entra in sinagoga, accolto dalla delegazione guidata dal rabbino capo e salutato da Elio Toaff, che arriva giusto per salutare il pontefice: c’era lui, come rabbino capo, ad accogliere Giovanni Paolo II nella prima storica visita, 24 anni fa. La volontà, da parte di tutti, è quella di mettere in luce gli aspetti positivi della visita. Si cerca un punto in comune da cui far partire il dialogo, al di là di ogni divisione “ideologica” e “teologica”. "Siano sanate per sempre le piaghe di antisemitismo cristiano", dice il Papa. Sottolinea la continuità tra la sua volontà di amicizia e di dialogo rispetto a quella perseguita da papa Wojtyla. Ma anche che, perfino negli anni dello strapotere nazista, "la Sede Apostolica svolse un'azione di soccorso, spesso nascosta e discreta". Da qui il messaggio di oggi: "Possiamo compiere passi insieme, consapevoli delle differenze che vi sono tra noi". .Al termine del suo intervento, non troppo lungo, Benedetto XVI ha recitato lo Shemà Israel, la preghiera che gli Ebrei recitano ogni giorno. La strada è quella del percorso comune: Benedetto XVI sottolinea che le due religioni possono testimoniare insieme che la famiglia è una cellula essenziale della società. Dall’altra parte, Riccardo Pacifici manifesta “vivo apprezzamento” per la “posizione coraggiosa” della Chiesa sull’immigrazione, e sottolinea come le due religioni insieme possono “contrastare paura e sospetto, egoismo ed indifferenza, rafforzare la cultura dell’accoglienza e della solidarietà, dell’altruismo e della cultura dell’altro”. Il rabbino Di Segni non manca, però, di sottolineare come siano “le aperture del Concilio che rendono possibile” il rapporto tra ebraismo e cristianesimo, e se queste aperture “venissero messe in discussione, non ci sarebbe più possibilità di dialogo”. Di Segni ricorda che Giovanni Paolo II ha definito il rapporto tra ebrei e cristiani come “un rapporto tra fratelli”. Ricorda le storie tra fratelli della Bibbia, rapporti che cominciano male, e poi si risolvono con una conciliazione finale. “Se il nostro è un rapporto tra fratelli, c’è da chiedersi sinceramente a che punto siamo di questo percorso, e quanto ci separa ancora dal recupero di un rapporto autentico di fratellanza e comprensione. E cosa dobbiamo fare per arrivarci”. E, tra le cose da fare, rav Di Segni fa un esempio, fatto suo anche dal Papa: “Si parla molto in questi tempi dell’urgenza di proteggere l’ambiente. Su questo punto abbiamo delle visioni comuni e speciali da trasmettere: il dovere di proteggere l’ambiente nasce con il primo uomo”. Andrea Gagliarducci |
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