Sisma ad Haiti: meditare su un “eccesso di dolore” |
Scrivo da Napoli, dal quartiere Sanità, dai Vincenziani di via Vergini. Dopo il tempo liturgico del Natale, da Eboli, città del salernitano, in cui sono viceparroco a S. Bartolomeo da due anni e mezzo, sono ritornato qui martedì 12 mattina per un tempo di due settimane con lo scopo di concludere una licenza in teologia pastorale sul “respiro”. È sera, mi preparo a celebrare la S. Messa (ore 19,00) con i cinque seminaristi di Ischia seguiti dal sac. Beato Scotti che qui dimorano come comunità seguendo i corsi presso la Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale, sez. S. Tommaso d’Aquino. Nella mia stanza medito ancora le letture (1 Sam 1,9-20 e Mc 1,21b-28) per condividere con loro un pensiero: lo spirito si ferma su “l’eccesso di dolore” di Anna, moglie di Elkanà: questo mi pervade, mi scuote e comincia ad ampliarsi nell’intimo, un pensiero pressante, fatto di misericordia ma spaventoso da ridire però da non trattenere . Anna, donna triste perché sterile e senza figli prega nel tempio di Silo: ... ... domanda al Signore con cuore umile. Il sacerdote Eli la crede ubriaca ma scoprirà che in lei non è eccesso di vino ma è “eccesso di dolore”. Per lei arriverà una risposta positiva. Nel vangelo Gesù è a Cafarnao, nella sinagoga, anche questo è un luogo dove si ascolta la Parola e si prega: si parla e si domanda al Signore. Gesù insegna e libera. Incontra un uomo, anch’egli immerso in un “eccesso di dolore” perché posseduto da uno spirito impuro. Ma l’autorità di Gesù diventa la risposta a quell’eccesso di dolore: « Taci! Esci da lui! ». Sul “dolore” proprio al mattino avevo letto l’articolo di Gianni Santamaria a p.19 sul quotidiano Avvenire: “Cultura e comunione, sfide per il sacerdote di oggi”. Questo articolo recensiva una sintesi degli interventi al convegno annuale ai circa cento (presenti) assistenti ecclesiastici –tra diocesani e regionali- dell’Unitalsi, riuniti a Roma per celebrare l’Anno Sacerdotale. Il tema, tratto dalla lettera ai Corinzi, è stato Siate imitatori di Gesù Cristo. Così fondevo i pensieri: “eccesso di dolore” e “imitazione di Cristo”, per me sacerdote e per chi si prepara ad essere ordinato. Il vescovo vicereggente di Roma, Luigi Moretti, fa emergere nel suo intervento che il ruolo del sacerdote è soprattutto quello di accompagnare chi soffre. Sì, dobbiamo ricordarcelo: è qui che si gioca la qualità del sacerdozio, della vita consacrata, del battesimo, tenendo presente come sottolinea l’arcivescovo Gianfranco Ravasi nel suo intervento che « il 47% del Vangelo di Marco è dedicato a Gesù che guarisce, che si china ininterrottamente sulle sofferenze degli uomini ». È ora della Messa ma i seminaristi, usciti nel pomeriggio per un incontro, hanno modificato il programma e rincaseranno più tardi. Sono rientrati solo un seminarista e don Beato. Penso fra me: « Siamo in tre ma parlo lo stesso! ». Così nella S. Messa, ridicendo quanto detto sopra, abbiamo meditato e pregato su tutti gli “eccessi di dolore” che incontriamo e incontreremo nel nostro cammino, ai tanti “perché” a cui ci verrà chiesto di dare una risposta. Poi loro, ischitani, sono reduci da poco di un “eccesso” quotidiano con una enorme frana che ha ferito l’isola. Non passa che qualche ora che alle 22.53 (in Italia), (16.53 ora locale) una scossa di magnitudo 7,3 gradi Richter devasta Haiti: uno sconfinato, immenso “eccesso di dolore” si abbatte su un’isola già povera e provata da miseria e fatica. Ma a quell’ora noi c’eravamo augurati già la buona notte ed eravamo nelle ultime preghiere di un giorno che per me s’era fermato a “l’eccesso di dolore”. Ieri, quando ho avvertito la notizia, ho preso consapevolezza di quel pensiero: mentre io stavo meditando, in un punto, al di là dell’Oceano, la terra comprimeva le sue pareti da provocare di lì a poco un catastrofico terremoto. Anche il Vangelo di oggi (Mc 1,40-45) ci presenta un “eccesso di dolore”: un lebbroso povero ed emarginato a cui risponde la compassione di Gesù. Leggo il toccante, come sempre, editoriale di Davide Rondoni (Avvenire): usa sette volte la parola “fiato” e due volte “respiro”: ed io ripenso alla mia tesi. «La tragedia di Haiti ci lascia senza fiato. [..] E il fiato non si sa dove prenderlo. Se metti la faccia tra le mani, il respiro non torna. E se anche ti volti da un’altra parte, il respiro non torna.[..] Un raddoppiamento di catastrofe. Una insistenza del dolore e della mancanza di fiato: [..] Anche l’anima che non sospira mai sente, sente il fiato che si tira. Il fiato che non arriva. Il fiato che si rompe. [..] Da dove riprendere fiato, umanità, dignità davanti a tale strage? ». Trovo le domande, come Anna al tempio, ritrovo un’amplificazione dei “perché” passati nella breve omelia. Scrive Rondoni: « Davanti a questo genere di cose, o si prega o si maledice Dio. O si è credenti o si diventa contro Dio. Una delle due. [..] Perché la vita è più grande di noi, ci eccede da ogni parte, e la morte è un momento di eccedenza della vita ». Va un ultimo pensiero al « più ricco re morto anziano e sereno nel proprio letto » al quale « questi fratelli » dal triste destino, a lui come a noi, « ricordano, nel loro dolore, che non siamo padroni del destino ». Come sacerdote so ma leggo arricchendomi di significato. Da questa stanza, in questo quartiere noto per il suo “eccesso di dolore”, con i suoi “eccessi di ombre” ma rischiarato anche da inconfutabili luci, si innalza una preghiera e un gesto di compassione, in comunione con tutti, verso i morti e verso gli scampati. Tra i morti e le macerie si rifà strada la speranza. don Enzo Cianci |
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