Il Natale visto da Sant'Ambrogio |
Non ci sono traduzioni - There are no translations - Nein Übersetzungen - No traducciones - Aucun traductions “Ambrogio vescovo!”. Il grido di un bambino si alza sopra il frastuono generale. Una voce, due voci si uniscono a quella del piccolo. Presto tutta la folla dei cristiani di Milano, riuniti per eleggere un nuovo vescovo dopo la morte del vecchio Aussenzio, scandisce il nome di Ambrogio, il governatore della provincia venuto a partecipare all’assemblea nel tentativo di calmare gli animi surriscaldati. Siamo nell’anno 374, sta finendo l’estate ma le passioni sono accese. In questa folla sovreccitata si affrontano due fazioni: i cattolici e i sostenitori del defunto Aussenzio, l’ultimo vescovo ariano d’Italia. In effetti l’elezione del successore di Aussenzio avrà conseguenze di peso notevole; nella seconda metà del IV secolo il vescovo è divenuto uno dei personaggi più importanti della città. La posta in gioco ha rilievo ancora maggiore perché Milano è una delle capitali dell’impero, la città in cui risiede l’imperatore quando soggiorna con la sua corte nell’Italia settentrionale. Il governatore Ambrogio ... ... è apprezzato dai milanesi per la sua competenza, ma anche per la sua umanità: ha sempre rifiutato di sottoporre gli accusati alla tortura, strumento che a quel tempo faceva parte della procedura giudiziaria. Ambrogio è un aristocratico che sa farsi amare dal popolo. Ancora giovane (meno di trentacinque anni), ed estraneo a entrambe le dazioni in disputa, tutto lascia credere che questo governatore eccellente sarebbe un buon vescovo accettato da tutti. “Ambrogio vescovo! Ambrogio vescovo!” grida la folla. Ambrogio è stupefatto e, per dirla tutta, decisamente imbarazzato. Non desidera minimamente quella carica a cui non è preparato. Aspira a seguire le orme di suo padre, morto troppo presto, che esercitava una delle più alte cariche dello stato. Come prefetto del pretorio delle Gallie, amministrava più di un terzo dell’impero. Con questa prospettiva in mente, Ambrogio si è iniziato all’eloquenza e alla filosofia studiando Cicerone, mentre la lettura di Virgilio ha perfezionato il suo stile e la sua sensibilità. Per lo stesso motivo ha lasciato Roma per Sirmio, capitale dell’Illiria, dove ha fatto il suo esordio come avvocato. “Ambrogio! Ambrogio!”. Sulla piazza raddoppiano le grida. Ambrogio non sa più che cosa fare. “Non è possibile” si dice il giovane governatore per rassicurarsi. “Non sono nemmeno battezzato”. I suoi ricordi s’ingarbugliano. L’infanzia a Roma, sua sorella Marcellina che ha preso il velo, le preghiere che recitavano in casa. “Certo”, pensa Ambrogio, “io credo e sono pronto a tutto per nostro Signore Gesù Cristo. Ma non sono ancora degno di ricevere il battesimo”. Tutte le reticenze di Ambrogio vengono prontamente spazzate via. Alla fine del 374 i cittadini di Milano vogliono fare di lui il loro vescovo. C’è anche la volontà onnipotente dell’imperatore Valentiniano I, cristiano, compiaciuto di vedere uno dei suoi alti funzionari, di cui ha apprezzato la competenza e la fedeltà, chiamato a svolgere funzioni importanti nella Chiesa. Ambrogio si inchina al richiamo del popolo di Milano: accetta la volontà di Dio. Riceve il battesimo e viene ordinato vescovo il 7 dicembre 374. Il vescovo Ambrogio prende a cuore la nuova carica. Lavora, organizza con la dedizione di un leale servitore, ma è molto più di un ottimo, alto funzionario. Non è al servizio di determinati valori, di uno stato, neppure della Chiesa: è al servizio di Cristo. Chiamato ogni domenica a spiegare la Bibbia al suo popolo, studia i migliori esegeti, in particolare Filone di Alessandria, un ebreo del I secolo che aveva interpretato il Pentateuco partendo dai filosofi greci. In lui Agostino troverà la risposta alla sua lunga ricerca della verità. Se oggi i sermoni di Ambrogio sono quasi tutti perduti, la loro sostanza è passata nelle sue opere scritte. In esse si scopre un vescovo cordiale, profondamente umano, molto distaccato dai pregiudizi del suo tempo. Ambrogio introdusse a Milano tra il 380 ed il 386 la festa del Natale che egli da giovane aveva conosciuto a Roma al tempo di papa Liberio. Non si trattava di ricopiare semplicemente un uso romano ma il Natale diventava per lui l’occasione sempre ricercata per combattere l’eresia ariana, glorificare il mistero dell’incarnazione compiutasi in Maria e spianare così al Cristo Dio la strada del trionfo. Della sua preoccupazione di arginare l’eresia ariana, abbiamo prova nel suo commento al vangelo di Luca dove il santo vescovo scrive: “ san Luca narra succintamente il modo, il tempo, il luogo della nascita di Cristo secondo la carne; se cerchi invece la sua generazione celeste, leggi il vangelo di San Giovanni, che comincia dal cielo per scendere sulla terra. Lì troverai quando era, come era, che cosa aveva fatto, che cosa faceva, dov’era, dove è venuto, come e quando e per quale fine è venuto… conosciamo la duplice generazione, e ciò che compete all’una e all’altra; conosciamo pure il motivo della sua venuta: prendere su di sé i peccati di questo mondo avviato alla rovina per distruggere in se stesso, lui che è invincibile, la sventura del peccato e della morte”. Dopo aver descritto con le parole del vangelo lucano la nascita di Gesù, Sant’Ambrogio soggiunge: “ Ti sembrano forse trascurabili i segni con i quali Dio si rivela: gli angeli che lo servono, i Magi che lo adorano, i martiri che gli rendono testimonianza? Esce da un seno materno, ma rifulge nel cielo; giace in una terrena dimora, ma regna nella luce celeste. Lo partorisce una sposa, ma lo concepisce una vergine! ( commento al Vangelo di luca, 2,40-43). Ambrogio ha partecipato a noi la contemplazione del mistero dell’Incarnazione del Figlio di Dio, guidando la nostra attenzione dal Verbo eterno verso il Padre, ai particolari del Natale, al ruolo di Maria, al presepio. Ma vuole che l’attenzione sia posta particolarmente su quel Bambino. Il santo vescovo così scrive: “ Volle farsi pargolo, volle farsi bimbo, perché tu possa divenire uomo perfetto; fu avvolto in pochi panni perché tu venissi sciolto dai lacci di morte; giacque nella mangiatoia per collocare te sugli altari; scese in terra per elevare te alle stelle; non trovò posto in quell’albergo perché tu potessi avere il tuo nella patria celeste. –Da ricco che era, si fece povero per voi- dice l’apostolo- perché per la sua povertà voi diventaste ricchi. Quella povertà è dunque la mia ricchezza, la debolezza del Signore è la mia forza. Volle per sé ristrettezze e per noi tutti l’abbondanza. I pianti di quell’infanzia mi purificano, quelle lacrime lavano i miei peccati. O signore, io sono più debitore per le tue sofferenze redentive, che non per la tua potenza creatrice. Sarebbe perfino inutile nascere, se non avessimo il vantaggio d’essere redenti”. E con queste parole il vescovo di Milano ricollega il mistero natalizio al mistero della Pasqua. Pasqua è la grande festa di primavera. Ma Ambrogio intravede primavera già con il Natale: “ prima della venuta di Cristo era inverno, dopo la sua venuta appaiono i fiori” ( Isacco e l’anima, 4,35). Don Marcello Stanzione |
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