Gli Angeli nel Cristianesimo primitivo |
Non ci sono traduzioni - There are no translations - Nein Übersetzungen - No traducciones - Aucun traductions All’epoca di Gesù, i Farisei credevano agli angeli allorché i Sadducei non vi credevano, ma la questione di questi esseri invisibili interessava tutti i movimenti religiosi, mistici o filosofici che agitavano l’epoca. Ora, se gli angeli appaiono negli scritti del Nuovo Testamento, essi non sono mai “interessanti”, in quel senso che sono sempre relegati in secondo piano, dietro l’alta figura di Gesù, Cristo e Messia della nuova alleanza, unica ed ultima manifestazione di Dio agli uomini. D’altra parte, i testi neotestamentari che parlano degli angeli sono relativamente poco numerosi, e si possono ripartire in due serie di testi differenti: dei testi storici che, narrando la storia di Gesù o della primitiva Chiesa, fanno menzione d’un intervento angelico, e dei testi “didattici”, che liberando un insegnamento, sono portati a parlare degli angeli per determinare il posto di questa credenza nella fede cristiana, in particolare situandola in rapporto alla fede in Cristo. Nei quattro vangeli, in quei racconti che si possono ... ... qualificare impropriamente di storici, gli angeli appaiono episodicamente, ma principalmente in due momenti che sfuggono in parte alla storia: prima e nel momento della nascita di Gesù, e dopo la sua morte, al momento della resurrezione. Nel suo vangelo dell’infanzia, Luca racconta la duplice annunciazione della nascita di Giovanni Battista e di Gesù: un angelo viene ad annunciare la nascita di Giovanni a Zaccaria (Lc 1, 11-20) e l’angelo Gabriele, la nascita di Gesù (Lc 1, 26-38). Come pure, un angelo, seguito da molti altri, viene ad annunciare quella stessa nascita ai pastori della regione di Betlemme (Lc 1, 26-38). Matteo dice che un angelo viene ad annunciare in sogno a Giuseppe che la sua fidanzata è incinta (Mt 1, 20) ed è ancora un angelo che viene d avvisarlo delle intenzioni di Erode verso il bambino e gli chiede di fuggire in Egitto (Mt 2, 13). Poi i racconti evangelici non parlano praticamente più degli angeli, salvo farvi una rapida allusione e come andante da sé, alla svolta di una parola o di un avvenimento della vita di Gesù, come quello dell’entrata di Gesù nella vita pubblica (Mt 4, 11; Lc 4, 9-13; Mc 1, 13). Ma gli angeli ritornano in forza al momento della resurrezione, il giorno di Pasqua. Sono essi che annunciano questa resurrezione alle donne giunte al sepolcro (Mt 28, 1-8; Mc 16, 1-8; Lc 24, 1-8) e la loro venuta è circondata dal meraviglioso. Il vangelo di Giovanni racconta lo stesso annuncio con molta più sobrietà. Se si leggono queste due serie di testi, si constaterà che il ruolo accordato agli angeli e la missione che è loro confidata sono quelle di testimoni e di messaggeri dell’evento unico che sta per realizzarsi nella storia degli uomini, la venuta del Messia e la realizzazione del regno di Dio. Gli angeli sono ancora i testimoni privilegiati dell’ultimo atto della vita terrena di Gesù, , al momento della sua ascensione (Atti 1, 10), ma poi, tutti i testi dispersi che parlano degli angeli, raccontano degli interventi particolari o privati presso un apostolo od una comunità (Atti 5, 19; 8, 26; 10, 3; 12, 21 e 26; 27, 22). La seconda serie di testi, i più numerosi, riguardanti gli angeli, impegna una riflessione sul posto ed il ruolo degli angeli nella nuova fede e forse soprattutto nella nuova pratica religiosa. Vi è prima di tutto una serie di testi – ed in particolare il libro dell’Apocalisse, che è veramente il libro degli Angeli, rivelato da un angelo (1, 1) -, testi che non posso citare tutti, che riprendono senza problema le credenze tradizionali all’epoca di Gesù: gli angeli formano il coro celeste (Lc 15, 10; Ap 5, 11; 19, 1; 8, 1) ed accompagnano le anime dei morti (Lc 15, 12; Ap 14, 6 e 20). Sono i custodi degli uomini, Principi dei regni (Ap 9, 13) od angeli delle chiese (Ap 1, 20) ed in particolare dei bambini (Mt 18, 10), portano la punizione di Dio colpendo Erode (At 12, 21) o l’intera umanità (Ap 15 e 16). L’apocalisse non teme neanche di riprendere a proprio conto delle immagini cosmologiche parlando degli angeli dei venti (7, 1 ss.), delle cavallette (9, 7 ss.), delle acque (16, 5) o degli astri (8,10 ss; 9, 1 ss.). Gli altri testi appaiono per noi più importanti, poiché cercano di situare quelle credenze tradizionali in rapporto alla fede in Cristo, e pongono da ciò le basi di una nuova angelologia che, a partire da una critica di quei dati tradizionali, è subordinata alla cristologia, e non già solamente alla teologia di Dio. Quei testi sono massicciamente dei testi paolini, come potevasi attendersi. Stefano, al momento di essere lapidato, aveva già opposto la novità della rivelazione di Dio in Cristo all’antica alleanza fondata sulla Torah, legge rivelata dagli angeli (Atti 7, 53) e la lettera agli Ebrei riprenderà quella affermazione (Eb 2, 2). E Paolo fa leva su quella affermazione per rifiutare ogni mediazione angelica e rivendicare la sola mediazione di Cristo (Gal 1, 8; 3, 19; 1 Tm 2, 5). Così egli afferma che la missione degli angeli è terminata e che non sono più che dei testimoni di Cristo ( 1Tm 3, 16; 5, 21), affermazione che è la stessa di quella del vangelo di Giovanni che dice che Gesù ricapitola tutta la creazione e che gli angeli stessi sono al suo servizio (Gv 1, 51). Questi testi sono fondamentali e fondatori d’una nuova concezione degli angeli, ed essi sono accompagnati da altri testi, più immediatamente concreti, che denunciano le pratiche superstiziose o magiche relative agli angeli (Fil. 2, 10; 1Cor 4, 9; Gal 4, 3; Col 2, 18; od ancora 2Pt 2, 10-11; Gd 8). Da tutti questi testi, si può e si deve trattenere l’essenziale qual è nella fede nuova, che a poco a poco sta per avere il sopravvento e divenire ciò che si chiama il cristianesimo, la credenza negli angeli è assunta essendo totalmente rimaneggiata dall’interno, al punto da far passare questa credenza in secondo piano nella fede e nella pratica. E’ la fede in Cristo e nella sua unica mediazione che ha importanza. Egli è l’unico inviato di Dio, il Messia, ed egli ricapitola tutta la storia passata dell’umanità nata da Adamo, aprendo la storia di un’umanità nuova, nata dal nuovo Adamo qual egli è. Da quel momento, gli angeli smettono la loro funzione di mediazione della parola e della presenza di Dio, per essere investiti d’una missione di testimonianza e di assistenza presso gli uomini, in vista di quel regno che si costruisce come corpo di Cristo risorto. Si potrebbe dire che la missione degli angeli resti identica, essendo solamente spostata dal mondo di Dio da dove venivano e dove ritornavano, allo spazio infinitamente aperto del corpo morto e risorto di Cristo. Questo movimento d’appropriazione cristiana della credenza negli angeli sta per formarsi lentamente ed in due tempi nelle tradizioni della Chiesa primitiva. Si può distinguere un primo periodo che va fino agli inizi del IV secolo, al momento dei grandi concili, e quel periodo è un periodo d’indecisione e di esuberanza. Non essendo ancora ben fissata e precisata la fede in Cristo nel quadro della fede monoteistica ereditata dall’ebraismo. I primi cristiani, sia nella loro riflessione che nella loro pratica, non hanno ancora forgiato i concetti necessari per pensare la novità del Vangelo di Cristo. Così essi utilizzano i modi di pensiero ed i concetti ereditati dal mondo ebraico o presi dalla cultura greco-romana nella quale vivono, e questo in un modo spesso anarchico o maldestro. Così pure la cristologia indecisa che cerca di mettersi a posto prende sovente i suoi temi ed i suoi concetti all’angelologia. Al punto che, nella teologia degli Ebioniti, Cristo potrà essere presentato come l’arcangelo supremo, rettore dell’umanità, unico profeta autentico. Egli è l’uomo celeste che annuncia, prefigura la venuta imminente del regno di Dio. Il nome stesso di Gesù, Yehôsuah, che significa salvezza di Yahvé, sarà interpretato come un’indicazione del carattere celeste, ed angelico, di quell’uomo straordinario, venuto a portare la salvezza all’umanità. Questi due fatti, in mezzo ad altri, mostrano l’indecisione del pensiero nei confronti di Gesù e della sua vera “natura” in rapporto alla divinità ed all’umanità. Lo stato di mediatore unico confidato a Cristo nella nuova fede invitava anch’esso a pensare alla sua “natura” a partire da quello che si “sapeva” della natura angelica. Vorrei sottolineare che non si tratta di movimenti eretici nel significato preciso del termine, ma di tentativi più o meno riusciti per dare uno stato a Cristo, a partire dagli antichi quadri di pensiero ebraico. Sotto l’influenza del pensiero greco e del suo politeismo, questa cristo-angelologia, che la maggior parte del tempo resta abbastanza sobria ed anche “metaforica”, va talvolta ad accompagnarsi ad una proliferazione angelica che non finisce di meravigliarci, nelle diverse gnosi che compaiono un po’ ovunque durante i primi due secoli e che spiegano il mondo come un immenso meccanismo angelico. Un duplice movimento si delinea a poco a poco, mirando a metter ordine in quest’immaginario esuberante. Prima di tutto un movimento di riflessione uscito dalla filosofia pagana neo-platonica da cui sono usciti numerosi pensatori cristiani di quei secoli altisonanti. Il neoplatonismo inaugura, all’interno stesso del paganesimo, una riflessione sul divino “monoteista” sempre più esigente, e tenta di conciliare quest’affermazione dell’unicità del divino con la credenza politeistica in numerosi dei. Il concetto di angelo permetterà questa conciliazione: gli dei pagani sono degli angeli, che, in quanto essi sono emanazioni della divinità, trasmettono al mondo degli uomini e delle cose l’energia divina. Così Proco, nel V secolo, stabilisce, come avente luogo di un sistema del mondo, una gerarchia degli dei-angeli in nove classi, esse stesse divise in tre ordini, in funzione della loro più o meno grande prossimità col divino. Questo movimento, di origine pagana, e poi cristianizzato, incontra un altro movimento, all’interno della fede cristiana stessa, quello di un pensiero che giunge poco a poco ad esprimere la novità della fede cristiana, elaborando i concetti di una ortodossia. Riprendendo il lavoro formidabile di grandi teologi come Origene e Clemente d’Alessandria, od ancora quelli dei Padri “cappadoci”, per non citarne che alcuni, i grandi concili, come quelli di Nicea (325) e di Calcedonia (451), elaboreranno gli elementi fondamentali d’una cristologia coerente, rendente conto della confessione della nuova fede. La fede nell’incarnazione sta per essere così precisata, e Gesù sta per essere affermato come essendo contemporaneamente divino ed umano, e queste affermazioni metteranno un termine alle lunghe ed oscure dispute. Da quel momento le condizioni sono riunite affinché la riflessione sugli angeli si costruisca realmente, nel senso che i testi neo-testamentari indicano con una relativa chiarezza. A partire dallo scossone anarchico, e pericoloso per la fede nuova, dei primi secoli, si mette a posto quella che si potrebbe chiamare un’angelologia ortodossa. Questa afferma l’esistenza degli angeli e riprende i maggiori temi dell’ebraismo, ma è interamente subordinata alla cristologia ed all’affermazione centrale dell’unica mediazione di Gesù, figlio di Dio. Questa angelologia appare come completata per l’essenziale ne “La gerarchia celeste”, opera di uno sconosciuto che la tradizione chiamerà Dionigi l’Areopagita e che farà autorità in tutto il Medio Evo. Dionigi sintetizza i dati della fede cristiana, esprimendoli nel quadro della riflessione neo-platonica di Proco. Questo sistema angelico, che fissa la fede comune, sta per inquadrare la devozione agli angeli che continuerà a svilupparsi ed anche talvolta ad ampliarsi, e servirà di supporto ad austere riflessioni sulla natura degli angeli, il loro modo di conoscenza e di comunicazione o la loro azione nel mondo. Don Marcello Stanzione |
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