La Vergine Maria e gli ultimi anni di vita del Curato d'Ars |
Stabilito oramai in maniera definitiva alla sua parrocchia di Ars, Don Vianney non poteva che rifugiarsi sempre più di giorno in giorno nel suo fervore mariano. Ben presto, d’altronde, egli stava per veder realizzarsi uno dei suoi più ardenti voti. Da lunga data, la sua devozione alla Vergine aveva messo l’accento sull’Immacolata Concezione. Questo privilegio di Maria “era ben caro al suo cuore, nota Caterina Lassagne; egli era contento ed onorava, faceva onorare per quanto poteva la Santa Vergine sotto il titolo di Immacolata Concezione”. A questo riguardo già nel 1959 il papa Giovanni XXIII nella sua lettera enciclica “Sacerdotii nostri primordia” aveva osservato: “Poco prima che il Curato d’Ars concludesse la sua lunga carriera piena di meriti, la Vergine immacolata era apparsa, in un’altra regione della francia, ad una fanciulla umile e pura, per trasmetterle un messaggio di preghiera e di penitenza, di cui è ben nota, da un secolo, l’immensa ... ... risonanza spirituale. In realtà la vita del santo sacerdote, di cui celebriamo il ricordo, era in anticipo un’illustrazione vivente delle grandi verità soprannaturali insegnate alla veggente di Massabielle. Egli stesso aveva per l’Immacolata concezione della Santissima Vergine una vivissima devozione, lui che nel 1836 aveva consacrato la sua parrocchia a Maria concepita senza peccato, e doveva accogliere con tanta fede e gioia la definizione dogmatica del 1854”. Sotto lo zoccolo della statua che si leva al di sopra del portale della sua chiesa, si legge l’iscrizione: Maria sine labe concepta. Quando fece benedire la cappella dell’istituto La Provvidenza da parte di Monsignor Devie, e che questi, nel corso della cerimonia, chiese sotto quale titolo occorreva porla, la sua risposta fu netta: “Sotto quello dell’Immacolata Concezione”. Si era nel 1848. il vescovo manifestò il suo imbarazzo “visto che Roma non aveva ancora parlato”. Il titolo finalmente scelto fu quello della Santa Famiglia “ma, sottolinea l’abate Renard, l’idea originaria del santo sacerdote era “l’Immacolata Concezione”. Si immagini, fin d’allora, la gioia che gli procurò la proclamazione dogmatica formulata da Pio IX. La data dell’ 8 dicembre 1854 segnò uno dei più bei giorni della sua vita. Per celebrare l’avvenimento, Don Vianney aveva comandato ad un negozio di articoli religiosi di Lione un ornamento liturgico specifico che voleva chiamare ”la casula dell’Immacolata Concezione”. In pochi giorni, la sottoscrizione economica aperta ad Ars presso i parrocchiani ed i pellegrini ne assicurava il pagamento. “Don Vianney aveva lui stesso tracciato il progetto di questo ornamento di cui l’architetto Bossan eseguì il disegno. Si vede sullo sfondo di velluto blu, il colore della Vergine, una guarnitura d’oro riccamente orlata. Sul dorso della casula è rappresentata la Vergine Immacolata”. Nel giorno indicato, l’ornamento era pronto, ed è con tutta la solennità possibile che le cerimonie liturgiche dell’umile parrocchia si svolsero. Caterina Lassagne scrive: “Quello stesso giorno che si è celebrata quell’amabile festa, dopo il decreto, era un entusiasmo di felicità ad Ars il signor Curato ha voluto che la chiesa fosse preparata coi suoi più bei ornamenti. Si è fatta un’illuminazione la sera davanti alla chiesa e nelle case. Si sono suonate le campane al punto che le parrocchie vicine sono accorse pensando che vi fosse un incendio. E Don Vianney camminava con piacere col suo ausiliario ed il fratello della Sacra Famiglia alla luce delle torce che circondavano al di fuori la chiesa”. La promulgazione solenne da parte del papa Pio IX del privilegio mariano, al quale era particolarmente legato, doveva essere per i suoi ultimi anni un nuovo motivo di fervore. Molto tempo prima, egli si era legato nei confronti di Maria con due voti. Caterina Lassagne gli aveva “sentito dire che non vi era mai mancato: era di celebrare tutti i sabati la messa in onore della Santa Vergine – o, se non fosse stato possibile, la faceva celebrare – l’altro era di dire un certo numero di volte, ogni giorno: Benedetta sia la santissima e purissima Immacolata Concezione”. Man mano che si avvicinava alla sua fine, le sue disposizioni devozionali ordinarie non potevano che intensificarsi. La sua messa del sabato, all’altare della Vergine, era sotto gli occhi di tutti. Essa provocava, al dire dell’abate Renard, “un aumento di pietà, perché ognuno si affrettava nell’imitare il santo sacerdote, che era come rapito quando celebrava nella cappella di Maria”. (Si può intravedere qualcosa delle intenzioni che portava il Curato d’Ars nella celebrazione di questa messa settimanale, richiamando quelle ch’egli aveva formulate per le sue fondazioni di messe in onore della Santa Vergine: 1. Si devono celebrare ogni anno 20 messe in onore dell’Immacolata Concezione della Santa Vergine, al fine di ottenere per intercessione di questa buona Madre di Gesù che i bambini non muoiano prima di aver ricevuto il battesimo; 2. Si devono celebrare ogni anno 19 messe in onore del Sacro Cuore di Maria, per implorare la sua potente protezione su tutti i sacerdoti della diocesi; 3. Si devono celebrare ogni anno 30 messe in onore del Sacro Cuore di Maria, per implorare la sua protezione su tutti i sacerdoti delle missioni straniere; 4. Si devono celebrare ogni anno 20 messe in onore dei dodici privilegi di Maria, al fine di ottenere che tutti i parrocchiani portino buone disposizioni al sacramento della penitenza; 5. Si devono celebrare ogni anno 19 messe in onore della Madonna dei 7 Dolori, per implorare la sua protezione in favore dei morenti. Abate Raymond, Vita di Don Vianney, pp. 137-138, Archivi del vescovado di Belley). Il suo ricorso all’Immacolata si trovava sempre più affermato. Diverse volte, durante quest’ultima fase della sua esistenza, è nella sua intercessione che il buon curato si rifugiò. Il pensiero che dovesse passare ben presto dalla sua parrocchia al tribunale di Dio riaccendeva la sua antica angoscia. Malgrado l’amore con cui il suo cuore era rapito, egli avanzava con timore e tremore. Scrivendo al superiore dei missionari di Pont-d’Ain, M. Camelet, egli esprimeva così il suo spavento: “Io che sono così miserabile, come voi sapete… non desidero che di andare a nascondermi in un angolo per piangervi la mia povera vita, per cercare se il buon Dio vorrà ancora perdonare la mia ignoranza, la mia ipocrisia e la mia golosità. Quante opere, quante penitenze e lacrime da versare! Pregate che io non sia dannato!”. Queste frasi potrebbero dar da pensare che il Curato d’Ars sia sull’orlo della disperazione. Ma una formula finale ci rassicura. Il santo in effetti aggiunge: “Sia benedetta Maria che è stata concepita senza peccato!”. Egli può allora firmare: “J.-M.-B. Vianney, povero vecchio curato d’Ars”. Nella sua miseria, la Vergine come madre amorosissima rimane sempre presso di lui. Egli sgranava la sua corona, ripeteva instancabilmente le sue Ave Maria, insistendo sulle parole più amate di tutte: Prega per noi, poveri peccatori, adesso e nell’ora della nostra morte. Le aveva spesso commentate nei suoi catechismi: “Vedete, figli miei, quando voi dite: prega per noi nell’ora della nostra morte, è tutto”. “Oh, figli miei, tutta la vita dell’uomo è un apprendistato per ben morire”. “Oh, figli miei, quando la morte verrà, noi saremo ben contenti di essere ben preparati”. Ma lui stesso era in regola con quella che implorava come la custode della sua ultima ora? Il problema lancinante della apparizioni di La Salette non lasciavano affatto tranquilla la sua coscienza. Contestando gli avvenimenti che i due vescovi successivi di Grenoble avevano riconosciuti, non faceva la figura di oppositore degli interventi misericordiosi della Vergine? Quello che aveva creduto cogliere dalle confidenze di Massimino non poteva cancellare le testimonianze concordanti e rigorosamente esaminate all’indomani delle apparizioni. Diversi miracoli avevano d’altronde dato al dire dei ragazzi un’autorità che li sorpassava infinitamente e distaccavano il fatto stesso dalle imperfezioni personali che si rimproveravano loro. Il Curato d’Ars ha dichiarato, negli ultimi mesi del 1858, al sacerdote che gli aveva inviato il vescovo di Grenoble: “Io non saprei esprimervi quali angosce, quali tormenti la mia anima ha passato a tal proposito. Ho sofferto al di là di tutto ciò che si possa dire: per darvene un’idea, immaginatevi un uomo in un deserto, in mezzo a spaventosi turbinii di sabbia e di polvere, non sapendo da quale lato voltarsi”. Una spinta dall’alto era senza dubbio all’origine di quella tortura d’animo. Egli ne ebbe, alla lunga, la certezza. “Infine, egli concluse, in mezzo a tante agitazioni e sofferenze, mi sono gridato: Credo, e allo stesso istante ho ritrovato la pace, il riposo che avevo interamente perduti”. Straordinari favori ottenuti dalla preghiera, e nelle quali discernette dei segni del Cielo, lo confermarono nella sua riscoperta fiducia nella Salette. 1859, l’ultimo anno della vita del santo, giunse. Questi aveva il presentimento che l’ora della sua partenza fosse vicina. “Pare- ha notato Caterina Lasagne- che Dio gli avesse dato la vittoria sulle sue pene interiori così terribili che, fin dal primo o dal secondo anno che era ad Ars, non avevano smesso di tormentarlo. Ha lavorato con coraggio e perseveranza fino alla fine”. Il pensiero del Cielo era incessantemente presente al suo spirito. Quello sguardo di speranza sull’aldilà segnava il suo desiderio dell’eterna beatitudine. Egli manifestava l’attesa del suo incontro col Signore, ed anche con la Vergine Maria. “Quanto sarei deluso se non andassi in Cielo per vedere la Santa Vergine, quella bella creatura!”, egli sospirava. In un suo catechismo, egli aveva detto: “L’uomo era creato per il cielo; il demonio ha spezzato la scala che vi conduceva. Cristo, con la sua passione, ce ne ha formato un’altra. Maria è al vertice della scala, ella tiene a due mani e ci dice: Venite! Venite! Oh, il bell’invito! Vediamo il cielo aperto. non vi è che la scala da salire”. di don Marcello Stanzione |
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