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La dottrina angelologica di San Gregorio Magno PDF Stampa E-mail

La dottrina angelologica di San Gregorio MagnoIl 3 settembre la Chiesa celebra la memoria liturgica di papa Gregorio Magno. Gregorio era un patrizio nato a Roma nel 540 circa. Dopo aver intrapreso gli studi giuridici ed una carriera che lo portò a ricoprire la carica di Prefetto di Roma, affascinato dal monachesimo si fece benedettino, ritirandosi nella casa paterna che trasformò in monastero. Dotato di notevole abilità diplomatica venne inviato da papa Pelagio II a Costantinopoli come nunzio papale. Nel 590 venne eletto papa proprio quando una terribile epidemia di peste aveva spopolato interi quartieri. Il santo invocò una processione penitenziale e quando essa arrivò alla mole di Adriano, Gregorio vide sulla Guglia del Castello San Michele Arcangelo che rimetteva la spada nel fodero per indicare che la peste era finita a cause dei digiuni e delle orazioni del popolo pentito dei suoi peccati. Il suo pontificato durò 14 anni e tra le sue opere più importanti va ricordato l’invio in Inghilterra di una missione composta ...

...  da circa quaranta dei suoi monaci del Colle Celio grazie ai quali gli angli si convertirono in massa al Cattolicesimo. Grazie alle conoscenze acquisite alla corte di Bisanzio, Gregorio risistemò il patrimonio musicale dell’Occidente dando vita al canto liturgico che da lui fu detto “ gregoriano”. Gregorio scrisse innumerevoli testi: vite di santi, trattati teologici, istruzioni, omelie; per la sua statura umana, spirituale e culturale può essere definito il vero anello di congiunzione tra l’epoca romana e il periodo medievale. Egli è stato il primo papa della storia ad interessarsi sistematicamente del mondo angelico. L’insegnamento di San Gregorio Magno segna una data fondamentale nella storia dell’angelologia occidentale.

Il santo Papa ha dato due liste dei cori angelici; ed egli lo fa affermando che i sacri oracoli delle Scritture, con le loro chiare descrizioni del mondo celeste, ci mostrano quanto occorre distinguere classi in mezzo ai cittadini della città beata (P. L., 76, 665 C). Vi sono dunque 9 cori angelici (P. L., 76, 665 C; 1249 CD). Questa sicurezza nell’affermazione potrebbe ben essere, presso San Gregorio, una traccia dell’influenza di Dionigi, poiché essa è anche insolita in Occidente come lo era in Oriente prima dell’apparizione del corpus dionisiaco. Comunque sia, San Gregorio ha variato leggermente la sua enumerazione dei 9 cori.

La sua prima lista si trova nelle Morales, libro 32, c. 23, n° 48 (P. L., 76, 665 C). essa è basata sul testo dei Colossesi, ma inserisce le Virtù in mezzo alle 4 classi di questo testo. La seconda lista “gregoriana” è posteriore e più importante, poiché la si trova nell’omelia 34 sul Vangelo (nn. 6-7; P. L.., 76, 1249 e ss.) che la sviluppa e la commenta lungamente. San Gregorio vi segue sempre la lettera ai Colossesi, ma egli ha supposto che San Paolo avesse enumerato gli esseri celesti andando dal più perfetto al meno perfetto; e dunque, per ottenere l’ordine della perfezione ascendente, occorreva prendere a rovescio il testo di Col. 1, 16. Dunque, nei due casi, San Gregorio adotta un ordine differente da quello di Dionigi, e rimane fedele alla lista liturgica, basata sulla Lettera ai Colossesi.

E, d’altra parte, egli non parla della divisione dei nove cori in tre gerarchie. Comunque egli conosce Dionigi, dicendolo in quella stessa omelia (P. L. 76, 1254 B). come lo fa notare discretamente l’editore benedettino in una nota su questo passo, in cui l’espressione di San Gregorio sembra ben contenere una sfumatura dubitativa, che non deve portare sul fatto che quel Dionigi dice tale o talaltra cosa (poiché la dottrina di cui trattasi è molto ben riassunta dal santo Papa, ed è quasi certo ch’egli dovesse avere le sue opere a sua disposizione); ma il dubbio deve piuttosto portarsi sull’autore e sulla la vera identità di Dionigi Areopagita che gli si attribuisce comunemente e che lui, Gregorio, non si preoccupa minimamente di affermare. Non sembra, in effetti, dubbioso che San Gregorio abbia dovuto leggere almeno i passi della Gerarchia Celeste che trattano del numero e della gerarchia degli Angeli, poiché egli espone molto bene l’opinione di Dionigi, che vuole che il serafino che purifica le labbra di Isaia sia un semplice Angelo, essendo gli spiriti delle classi superiori mai inviati in missione.

Ma poiché quest’Angelo brucia con un carbone ardente le labbra del profeta, egli interpreta allora un ruolo da bruciante, dunque da serafino, e può essere considerato come avente posto di uno spirito della suprema gerarchia che agirebbe per sua intercessione: da ciò il nome che gli dona Isaia. Dopo aver esposto questa teoria dionisiaca, che evidentemente poggia su di un sistema filosofico a priori piuttosto che sull’interpretazione imparziale della Scrittura, il santo Dottore Gregorio aggiunge tranquillamente: “Da parte nostra non vogliamo affermare quello che non possiamo provare con dei testi chiari ed indubitabili”: modo discreto per mostrare che l’affermazione di Dionigi manca di base scritturistica solida. In breve, da tutto questo insieme di fatti mi sembra risultare che San Gregorio non fosse ben persuaso nell’avere a che fare, in quel Dionigi, con un vero discepolo ed interprete dell’Apostolo delle nazioni.

di don Marcello Stanzione

 
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