Anteprima del libro: "La musica dell'altro" |
La musica dell’altro. A sentirlo, può sembrare quasi assurdo non averci mai pensato prima, che l’altro ha una musica, una musica peculiare, con la quale ci si racconta. Ascoltare l’altro come se si stesse ascoltando una musica: è questo quello che voglio fare. Perché la comprensione dell’altro è qualcosa che passa l’etica e la trascende, che tocca vasti campi della filosofia e va oltre, che passa nell’ermeneutica e si rende conto che c’è qualcosa di più. L’altro, la persona che mi sta di fronte, è qualcosa di più, sempre. Di più di un segno, di più di un significato. È un prisma, un qualcosa che cambia in continuazione, mutevole come è mutevole il suo animo, mutevole come è mutevole il nostro animo. L’altro come musica. Perché la musica? Perché è irriducibile e perché ne siamo permeati ogni giorno, e non ce ne rendiamo nemmeno conto. È musica il suono della voce delle persone che ci attorniano, è musica anche il fruscio del vento che forse porta qualche ... ... messaggio, ma noi non lo sentiamo. È musica anche il silenzio. Così tanto musica che John Cage, il brillante musicista sperimentale contemporaneo, decise di inciderla: prese un nastro, e lo intitolò “Silenzio”: E l’Lp che gira sul piatto fa sentire ciò che John Cage ha registrato: il silenzio, interrotto solo dal lieve fruscio della puntina del giradischi sul disco. Anche il silenzio è musica, eppure fino a John Cage nessuno se n’era mai accorto. L’intuizione è che si può comprendere davvero l’altro solo a partire dalla musica. Di più: utilizzando gli strumenti che la musica stessa mi mette a disposizione. Avendo nei confronti dell’altro una sorta di recezione artistico-musicale che permette di mettercisi davvero in relazione con l’altro. Si tratta di una nuova proposta di senso l’idea che, dato che già si legge la musica come linguaggio, si può pensare a un modo nuovo di interpretare e definire il linguaggio. Liberandolo dall’idea del significato della contrapposizione, e dall’idea di segno, almeno per un po’. Il segno non è accantonato, messo da parte. È ancora uno dei modi di studiare il significato del linguaggio. Ma si può meglio considerare parte della spiegazione, in quell’arco ermeneutico che ci permette di comprendere l’altro oscillando tra il polo della spiegazione e il polo della comprensione. La spiegazione è l’analisi strutturale del tutto. La comprensione è l’intuizione, l’analisi “di insieme”. La comprensione viene prima della spiegazione. E dunque il segno ha un’importanza forse secondaria in questa mia proposta, ma non meno fondamentale. L’idea è che al concetto di segno è meglio sostituire il concetto di traccia, che dice sicuramente molto di più della persona, che ne racconta la storia, che mantiene qualcosa di non detto, che è poi quel qualcosa di non detto che tutti noi abbiamo come persone. La traccia non è un segno: è qualcosa di più. La traccia è un luogo, un luogo in cui identità e narrazione si intrecciano e danno vita all’identità narrativa. La narrazione è importante. E la musica? La musica è il nodo fondamentale di questa proposta. La comprensione è musicale, perché solo se è musicale è viva, ricca di proposte nuove e allo stesso tempo irriducibile. La musica non si può escludere (a meno che non ci si rifiuti di sentirla) né includere. È la musica che ci costringe a considerare le cose sotto un’ottica globale: dalla musica si possono comprendere tante cose, si può leggere la storia dell’altro. La musica dell’altro sono le sue intonazioni, le sue inflessioni, il suo modo di parlare. La musica dell’altro è anche la sua irriducibilità: non lo posso ridurre, non lo posso uccidere, come dice Lévinas. Un assioma, quello di Lévinas, che tornerà più volte in queste pagine, come un mantra che dobbiamo ripeterci continuamente nel nostro rapporto con l’altro. Questo non è uno studio sistematico: è una semplice proposta, non un programma, e come tutte le proposte può sembrare confusa. In realtà, sono molti i temi che si intrecciano, e non si è potuto – né a volte voluto – affrontarli tutti. Meglio, allora, lanciare dei messaggi, perché parlare di musica dell’altro significa anche apertura, e apertura significa lanciare un messaggio e rendere liberi tutti di strutturarlo. Non è un’imposizione, ma è una posizione forte di andare verso quella che può essere definita “semiotica della differenza”: una semiotica dove la differenza non serve solo a significare, ma anche ad entrare in relazione, e dove la differenza sia la base costitutiva di ogni discorso di valorizzazione. Valorizzazione, perché dell’altro non posso – né devo – fare una teoria. Come della musica in fondo, dove ogni nota deve essere valorizzata e compresa, dove niente è inutile o sbagliato, anche quando lo sembra. Altrimenti, i grandi componimenti dodecafonici che ci stanno a fare? Sono apparentemente disordinatissimi, eppure basta averne le chiave per leggerne note e intervalli, e scoprire che dietro ogni composizione c’è uno studio e una dedizione assolute. Dietro ogni spartito c’è la persona. È per questo motivo che questa idea, questa particolare intuizione, può essere raccontata solo con un intreccio tra narrativa e saggio, dove la molteplicità dei temi dell’inizio cerca di intrecciarsi in una proposta di senso compiuta, che riguarda Sostanzialmente tre punti: la musica come base della comprensione dell’altro; il linguaggio come studio dei suoni (non della fonetica, dei suoni); la traccia e il lettore capace come nuovi elementi che entrano in gioco per far sì che questa idea possa avere anche un contraltare scientifico. Il libro si divide in due parti: la prima, più narrativa, si dipana in tre scene, come se si trattasse di un’opera teatrale. Tre scene, che servono a far comprendere gli scenari dentro i quali ci muoviamo. Sono metafore, metafore per far sentire fisicamente la musica in questo saggio, metafore che servono a entrare nell’ottica che poi si dipanerà attraverso altre due parti, più prettamente speculative, che si occupano di identità e linguaggio. Ritornerà, in maniera quasi ridondante, la parola musica, e alcuni concetti saranno ripetuti e ripresi continuamente. È una struttura narrativa che serve a far comprendere la peculiarità delle persone: si intrecciano continuamente tra Sé e Altro, tra speculazione e narrazione, ed è per questo che fanno la musica. Questo è un libro che si deve leggere a ritmo di musica. Perché dell’altro si devono leggere non le parole, né le idee. Si deve leggere la sua musica. Andrea Gagliarducci, La Musica dell’Altro, Pazzini Editore, € 9,00. |
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