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San Giovanni Maria Vianney ed il suo Ministero Parrocchiale ad Ars PDF Stampa E-mail

San Giovanni Maria Vianney ed il suo Ministero Parrocchiale ad ArsNel 1817 don  Balley improvvisamente morì e don Giovanni Maria Vianney, suo vicario da due anni, rimase del tutto disorientato. Essendo la parrocchia di Ecully considerata troppo elevata per le sue capacità, l’ 11 febbraio 1818, fu nominato Cappellano di Ars-en-Dombes, villaggio di appena 230 abitanti, soggetto alla Parrocchia di Mizèrieux e vi si installa il 13 dello stesso mese, vi resterà fino alla sua morte per quarantun’anni. Al suo arrivo ad Ars, al vedere dall’alto di un posto panoramico il suo nuovo campo di lavoro esclamò: “Come è piccolo…”. Nell’anno 1818 il villaggio di Ars era meschino e di triste aspetto: contava una quarantina di case basse, costruite con materiale argilloso e sparse in mezzo ai frutteti; a mezza costa stava la chiesa parrocchiale, se con questo nome poteva essere indicata una costruzione dall’aspetto giallastro con comuni finestre, sormontata da quattro travi che dovevano sostenere una campana. Secondo l’antica abitudine, le croci del cimitero ...

...  erano applicate ai muri esterni della chiesetta che era intitolata a due santi compatroni: Biagio e Sisto, risaliva al dodicesimo secolo e probabilmente era stata una dipendenza della famosissima abbazia di Cluny.   Di fuori era una piccola piazza sulla quale si elevavano ventidue magnifiche piante di noci.  Solo nel 1821 Ars divenne parrocchia a se stante e nel 1823 passa dalla diocesi di Lione a quella di Belley. Il Vicario generale, nel comunicargli la sua nomina aveva esclamato: “Voi andate in una parrocchia dove non c’è molto amor di Dio ma ce ne metterete”.

Infatti, i parrocchiani di Ars non tardarono a capire di avere un nuovo curato “molto particolare”. Lo osservarono con stupore ritornare i vecchi mobili alla castellana d’Ars che li aveva donati alla canonica. Inoltre, lo vedevano mangiare poco o niente e stare ore ed ore in preghiera in chiesa. Don Giovanni non aveva voluto una domestica, non andava a pranzo al castello dei signori come avevano fatto tutti i suoi predecessori. Chi voleva incontrarlo doveva andare a cercarlo in chiesa dove, ogni giorno, per lunghe ore di preghiera implorava da Dio la conversione della gente di Ars. Il curato cercò fin dall’inizio del suo ministero pastorale ad Ars di avere un contatto diretto con le anime a lui affidate dal vescovo. Alle persone più generose comunicò un po’ del proprio zelo spirituale, portandole alla comunione eucaristica frequente. Rifondò le confraternite del Rosario e del Santissimo Sacramento. All’inizio del suo ministero a preparazione delle sue omelie gli prendeva lunghe ore del giorno e della notte che poi declamava con voce stridula, rendendosi conto che i suoi uditori non erano affatto soddisfatti. Sensibile come era al problema della salvezza eterna, nei primi anni trattò di frequente il tema dell’inferno e della dannazione con eccessivo rigorismo e solo dopo lunghi anni di unione con Dio e di contatto con i peccatori, riuscì a disfarsi di una certa mentalità rigorista, che aveva ereditata da un certo giansenismo di Don Balley.

Da giovane Vianney si diede ad eccessive penitenze che nell’età matura definì “follie di gioventù”. Faceva cuocere alcune patate, le metteva in un paniere e durante la settimana le mangiava fredde; dormiva per terra e appena sveglio si flagellava; d’abitudine portava il cilicio con l’intenzione che dalla sua parrocchia fossero debellati i balli, le osterie ed il lavoro festivo. Per tutta la sua vita fu ossessionato dallo scrupolo di non avere né la formazione culturale né le virtù richieste per fare degnamente il parroco e così di mettere in pericolo la salvezza personale ed altrui. Era affascinato dalla vita di solitudine nella trappa dove trovare pace e contemplare Dio in preghiera. Eppure, per tutta la vita, egli sarà il confessore “mangiato dai penitenti”, confessando anche fino a sedici ore al giorno. Fin dall’arrivo ad Ars aveva provveduto al restauro della chiesa, ristrutturando l’altare ed il tabernacolo ed acquistando la biancheria  e le suppellettili per il culto.

Nel 1821 la cappellania di Ars fu eretta in parrocchia e divenne soggetta alla nuova curia episcopale di Belley, retta allora da monsignor Alessandro Devie, da allora Giovanni Maria Vianney ebbe il titolo canonico di curato d’Ars. Negli anni precedenti alla venuta di Vianney, non pochi preti erano passati per Ars, ma tutti si erano fermati per poco tempo. Non si pensava neppure più a mandarvi un prete e così la casa canonica era stata affittata ad una famiglia. Nessun festeggiamento aveva accolto il nuovo arrivato: Nel giovane pretino di appena trentadue anni la gente vedeva unn’ennesima presa in giro da parte della curia. La casa canonica, ora visitabile come museo, era formata da un piccolo cortile, un piano terra con cucina e sala da pranzo ed un piano superiore con tre camere. La piccolezza del luogo non scoraggiò don Giovanni che preparò un programma pastorale che era stato meditato a lungo  ai piedi del tabernacolo: prendere contatto col suo popolo al più presto ed assicurare la cooperazione delle famiglie migliori; perfezionare i buoni, richiamare gli indifferenti e convertire i peccatori, ma specialmente pregare Dio, dal quale vengono con abbondanza tutti i doni e santificare se stesso, per riuscire a santificare gli altri; infine fare penitenza per i peccatori. Vianney cominciò con la visita e la benedizione delle famiglie, una ad una. Il curato comprese che alla sua opera evangelizzatrice si opponeva l’indolenza della gente fossilizzata nelle proprie abitudini religiose. Quelli che già andavano alla Messa avrebbero continuato ad andarvi, ma che egli non pretendesse di più. La seconda sua mossa pastorale fu l’abbellimento della chiesa, senza pesare sulle offerte degli abitanti di Ars ma con il proprio denaro e con quello di benefattori che gli aveva fatto conoscere don Balley, provvide ad un nuovo altare maggiore. Spesso poi si recava a Lione per acquistarvi stoffe e pizzi per le tovaglie liturgiche. Poi passo alle persone, la catechesi della gioventù lo entusiasmò per tutta la vita.

Ad Ars i fanciulli venivano abituati al lavoro dei campi molto presto: a sei o sette anni erano pastori; a dodici anni ogni ragazzino aiutava i propri genitori nella semina e nella raccolta. Ben pochi sapevano leggere: venivano al catechismo nei mesi piovosi d’inverno, ma di quell’istruzione religiosa non si interessavano molto, anche perché non erano in grado di studiare. Alla domenica non si vedevano a Messa, perché venivano mandati al lavoro dei campi, o perché trattenuti da altre occupazioni, per cui la celebrazione della prima comunione, nella loro vita, non era che un episodio qualunque. Arruolò persone buone e organizzò il catechismo parrocchiale dando per primo il buon esempio: sarà il primo catechista dei suoi catechisti di Ars fino al 1845, quando gli verrà affiancato un viceparroco. Dedicò moltissime energie al catechismo al punto di imporre ad alcuni parecchi anni di istruzione supplementare, ritardando così la loro prima Comunione, se ne trovava di quelli che non erano ben preparati era inflessibile, senza alcun riguardo alla loro età, e li rimandava ad un altro anno. Altra grande sua  preoccupazione fu la predicazione. Pur non essendo fornito di grandi capacità oratorie, fin dal lunedì si metteva a preparare l’omelia per la domenica: leggeva, appuntava, scriveva e poi imparava a memoria ripetendo ad alta voce come uno scolaretto. Si impegnò al massimo per ottenere che il contegno dei fedeli presenti in chiesa fosse serio e devoto. Al momento del suo arrivo ad Ars invece in quasi tutti i frequentatori della parrocchia si notava una penosa trascuratezza, indice della loro scarsa devozione.

I ritardatari lasciavano sbattere la porta con fracasso, alcuni troppo frettolosi uscivano a metà messa, i giovani erano intenti ad osservare l’abbigliamento altrui…Ad Ars l’alcoolismo era una piaga molto diffusa e le mogli ed i figli ne erano le vittime. Don Vianney tanto fece guerra alle osterie che alla fine dovettero chiudere i battenti. Intanto, mentre la casa canonica appariva sempre più fatiscente, egli continuava a pensare al restauro e all’abbellimento della chiesa: nel 1820 era stata la volta della costruzione del nuovo campanile, poi negli anni seguenti furono costruite le cappelle laterali della Madonna, di san Giovanni Battista, pagata tutta di tasca del curato, poi quella dell’ecce Homo, di santa Filomena e infine quella degli Angeli. Poi sarà la volta della sistemazione della scalinata e della piazzetta antistanti la chiesa; i lavori si concluderanno con la nuova facciata con la statua dell’immacolata. Nel 1845 sarà ingrandito il coro. Lo zelo del curato provvide poi la sacrestia di nuovi e splendidi paramenti ed accessori liturgici da far invidia ad una cattedrale. Don Giovanni Maria sentiva molto forte la responsabilità della formazione delle coscienze, diceva: “ Se un pastore non vuole dannarsi, bisogna che, allorquando gli capita un disordine in parrocchia, metta sotto i piedi il rispetto umano ed il timore di essere disprezzato ed odiato dai suoi parrocchiani; fosse anche sicuro di essere messo a morte quando discenderà dal pulpito, questo non lo dovrebbe trattenere…un pastore che vuole adempiere tutta la sua missione deve avere sempre la spada in mano”. I parrocchiani di Ars non tardarono ad accorgersi che il metodo pastorale del curato era ben diverso da quello usato dai suoi predecessori. Ed ovviamente il primo effetto nelle famiglie fu la mormorazione contro di lui, ritenuto troppo severo. Se non voleva vivere come vivevano tutti gli altri era affar suo, ma almeno lasciasse in pace gli altri.

Queste erano le considerazioni che si facevano nelle osterie del paese. Ben presto don Vianney imparò che se un sacerdote vuol far conoscere ai genitori le loro colpe e quelle dei loro figli, essi si incolleriscono con lui, lo disapprovano, ne parlano male e lo contraddicono in mille modi. Se qualcuno ha qualche difficoltà contro il suo parroco, che probabilmente gli ha detto qualche cosa per il bene della sua anima, lo seguirà con odio, ne parlerà male ed ascolterà volentieri chi ne dice male. Pettegolezzi, calunnie, accuse infondate, indagini da parte della curia, umiliazioni e sofferenze morali furono la prova del fuoco del curato d’Ars. Più tardi avrebbe confidato: “Se giungendo ad Ars io avessi saputo tutto quello che qui dovevo patire, sarei morto sul colpo”. Don Giovanni si mise allora con maggiore fiducia nelle mani di Dio, e, mentre nel suo cuore si sollevava la rivolta contro l’ignominia, che aveva cercato di infangare il suo onore sacerdotale, egli perdonò ai colpevoli e li trattò da amici.

Il santo si impegnava molto anche ad aiutare i parroci vicini nel periodo delle missioni popolari. Normalmente egli non predicava, ma restava a disposizione dei penitenti fino a notte inoltrata. Una volta un altro parroco che lo aveva chiamato per una missione popolare disse di lui: “Ho un buon operaio che lavora bene e mangia niente”. Proprio per la sua partecipazione alle missioni popolari egli si fece una fama eccezionale di santo confessore ed Ars incominciò ad accogliere numerosi pellegrini in cerca del perdono dei loro peccati.

Tutti si impressionavano nel vederlo indossare la sua talare piena di rammendi e di contemplare la grande povertà della sua canonica. Qualche confratello sacerdote un po’ invidioso lo denunciò al vescovo affermando che c’era dell’esibizionismo in tali manifestazioni esterne.

Un giorno il santo pregò Dio che gli concedesse la grazia di conoscere in profondità lo stato della sua anima, fu esaudito, ma affermò candidamente : “Se il Signore non mi avesse sostenuto, sarei caduto all’istante nella disperazione”. Nonostante che il vescovo gli avesse detto: “Non si prende il cielo con la fame”, egli continuò a darsi a dure penitenze, a mangiare una volta al giorno un po’ di verdura e raramente della carne. Per lui mortificazione e zelo pastorale procedevano di pari passo. Il diavolo, che egli chiamava ironicamente “il grappino” cercava di infastidirlo, provocando, per molti anni, rumori in canonica impedendogli anche le pochissime ore di sonno ristoratore. In mezzo a tante prove il santo passava buona parte della notte in chiesa a pregare dinnanzi al Santissimo Sacramento.

Fin dal suo arrivo ad Ars egli si preoccupò dell’educazione sia cristiana che scolastica dei fanciulli. Eresse una scuola per le ragazze con l’aiuto di alcune brave contadine che egli aveva formato spiritualmente, tra cui Caterina Lassagne, prima direttrice dell’Istituto “La Provvidenza”. Il curato fu lui stesso l’architetto, il muratore ed il finanziatore. Spesso il Signore all’ultimo minuto gli mandò dei benefattori per pagare i debiti oppure quando non vi era assolutamente nulla da mangiare arrivava il rifornimento alimentare. Alle orfane ed alle alunne del “La Provvidenza”, tutti i giorni Vianney faceva il catechismo delle 11 che, in seguito, divenne tanto frequentato dai pellegrini che fu costretto a tenerlo in chiesa.

Nel 1830, con la caduta di Carlo X e l’ascesa al trono di Luigi Filippo ci fu una confusione generale e sette parrocchiani di Ars ebbero l’arroganza di recarsi dal loro curato per intimargli perentoriamente di andar via dalla parrocchia perché la gente si era ormai stancata del suo rigore. Altri giunsero al punto di scrivergli volgarità sulla porta di casa. Una volgare campagna di calunnie si prolungò per diversi mesi, ed il santo era accusato di essere un ipocrita ed anche la sua magrezza era dovuta a dissolutezze sessuali. Più tardi Giovanni Maria confiderà ad un religioso: “Se il buon Dio mi avesse fatto prevedere quel che avrei dovuto soffrire ad Ars sarei morto sul colpo”.

A Caterina Lassagne confidò: “Pensavo che sarebbe venuto il giorno, prima o poi, in cui sarei stato cacciato da Ars a colpi di bastone, in cui monsignore mi avrebbe interdetto e io avrei finito i miei giorni nelle prigioni”. Comunque, il pellegrinaggio ad Ars dei penitenti andò crescendo sempre più che fu opportuno iniziare un servizio di vetture tra Lione ed Ars. Fu allora che il curato, nel tentativo di distogliere dalla sua persona il rischio del culto della personalità, che lo rattristava più ancora delle calunnie, instaurò nella sua chiesa il culto di santa Filomena, attribuendo tutti i prodigi a questa martire. Il lavoro spossante a cui si vedeva condannato continuava a gettarlo nell’angoscia tanto che più volte aveva chiesto al vescovo di avere un altro incarico.

Se si considera il lavoro estenuante di confessore che faceva, lo scarso alimento che prendeva, le spaventose coliche e i dolori di testa da cui frequentemente era assalito, le poche ore di sonno durante la notte, il freddo da cui era intorpidito, il caldo da cui era soffocato nel confessionale, bisogna dire che veramente era sostenuto da una speciale grazia nel portare avanti un ministero sacerdotale così pesante. Più volte pensò alla fuga, ma il pensiero dei peccatori che lo cercavano per confessarsi da lui ed il sostegno morale ed economico di cui aveva bisogno l’orfanotrofio de “La Provvidenza” lo trattenevano ad Ars.

I malati erano condotti dinnanzi a lui da ogni parte della Francia perché numerosi grazie alle preghiere di Vianney recuperavano la salute. Ovviamente i pellegrini riconoscenti gli lasciavano molte offerte in denaro che Vianney utilizzava non solo per la sua parrocchia e l’orfanotrofio ma soprattutto per la fondazione delle missioni popolari nelle parrocchie prive di risorse economiche. Il doloroso ministero presbiterale al quale si sobbarcava dall’una del mattino fino a sera inoltrata, lo portarono a sfiorare la morte nel 1843.

Dopo aver ricevuto gli ultimi sacramenti, fece voto di far celebrare cento Messe in onore di santa Filomena se si fosse ristabilito in salute. Il cielo lo accontentò. Superò la pleuro-polmonite. I parrocchiani di Ars ne furono tanto contenti che incominciarono ad esporre e vendere i ritratti del loro curato. L’Istituto de “La Provvidenza” che, con la malattia del curato, era stato sul punto di chiudere, rifiorì e, per volontà del vescovo, fu affidato, nel 1848, alla cura delle Suore di San Giuseppe di Bourges. Il flusso dei pellegrinaggi continuò ad aumentare a tal punto che il vescovo ritenne necessario dare al santo curato un vice parroco che si prendesse cura della comunità dal momento che Giovanni Maria doveva restarsene tutto il giorno in confessionale. Il primo suo vicario fu l’abate Antonio Raymond, una personalità rude, autoritaria. Col suo temperamento difficile e con la sua corporatura imponente per ventun anni tenne in soggezione il santo curato che, per la sua grande bontà, era incapace di mantenere la disciplina tra la massa scostumata dei pellegrini. Nonostante che Don Raymond lo contrariasse, Vianney si mostrò sempre con il vescovo soddisfatto di lui e dell’aiuto che gli prestava, pur dovendo ingoiare parecchi rospi a causa del carattere ambizioso del suo vicario. Nonostante l’ostilità di Dom Raymond, il curato realizzò una fondazione caritativa per avere due Fratelli della Sacra Famiglia, fondati a Belley da Fratel Gabriele Taborin, affinché uno facesse da istitutore della gioventù maschile e l’altro da sacrestano, inoltre un gruppo di missionari diocesani verranno ad aiutarlo nell’esercizio delle sue pesanti funzioni sacerdotali. Infatti sempre più pellegrini si recavano da lui per farsi confessare. Si può affermare che verso il 1850, Vianney era il prete più conosciuto, più stimato e più ricercato di tutta la Francia. Persino il suo vescovo si rivolgeva a lui per la confessione e la direzione spirituale. Nell’ultimo anno di vita del santo, i pellegrini che arrivarono con i mezzi pubblici furono circa ottantamila, circa ventimila invece utilizzarono mezzi propri: centomila pellegrini l’anno dunque! Tra questi pellegrini diversi in seguito furono canonizzati o beatificati. 

di don Marcello Stanzione

 
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