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San Giovanni Maria Vianney: biografia di un parroco eccezionale PDF Stampa E-mail

San Giovanni Maria Vianney: biografia di un parroco eccezionaleColui che Benedetto XVI, nel 2010, ha dato a tutti i sacerdoti del mondo come loro celeste Patrono, nacque a Dardilly, nel dipartimento francese di Lione, era l’8 maggio 1786, memoria liturgica delle Apparizioni di San Michele Arcangelo al Gargano in Italia, quarto figlio di sei che ebbero i contadini Matteo Vianney e Maria Béluze.Fin da piccolo, Giovanni fu educato a frequentare la chiesa parrocchiale. Le celebrazioni liturgiche lo affascinavano tanto che i suoi giochi da bambino ne erano spesso l’imitazione. Quando conduceva al pascolo il bestiame, spesso lasciava ai compagni la custodia degli animali e correva dietro un cespuglio a recitare il santo rosario, meglio ancora era felice di entrare in una chiesa appena sentiva suonare la campana. Il fanciullo, oltre che pregare, imparò ben presto anche a venire incontro alle necessità dei bisognosi. La sua famiglia contadina era benestante e, quindi, con generosità sfamava spesso fino a dieci poveri al giorno. Il piccolo Giovanni dava ...

...    loro il cibo ed il necessario riscaldamento dopo averli sempre gentilmente invitati a fare una breve orazione.

Quando il babbo gli commissionava di portare la legna ai meno abbienti del villaggio, Giovanni s’impegnava a caricare l’asinello più che poteva. Siccome a Dardilly non c’era la scuola primaria, egli apprese le prime nozioni elementari ad Ecully da due suore della Congregazione di San Carlo che, nel 1799, lo prepararono pure alla prima Comunione. Il fanciullo, purtroppo, era assai dispiaciuto di non poter frequentare la chiesa parrocchiale perché questa era amministrata pastoralmente da un sacerdote che, per quieto vivere con il governo rivoluzionario, aveva giurato fedeltà alla Costituzione civile del Clero che mirava a creare una Chiesa nazionale francese, separata dal papa di Roma. Quando finalmente questo sacerdote, avendo aderito al nuovo Concordato stipulato tra il Sommo Pontefice Pio VII e l’imperatore Napoleone I, nel 1802, fu ufficialmente riconosciuto come legittimo pastore di quella comunità, la famiglia Vianney riprese a frequentare le funzioni della chiesa e Giovanni serviva devotamente la santa Messa e faceva il catechismo ai propri fratelli e sorelle, ripetendo quanto ascoltava delle spiegazioni del Vangelo. L’aspirazione a farsi prete gli era venuta stando a contato con l’abate Grobboz ch, nel 1797, avendo rifiutato il giuramento alla Costituzione civile del clero, aveva cominciato a celebrare messe e a confessare di nascosto nella regione d’Ecully, mettendo a rischio così la propria vita. Giovanni fu udito ripetere in quel tempo: “ Se avessi la fortuna di essere prete vorrei riportare molte anime a Dio”.

Il padre, che aveva bisogno di braccia forti per l’azienda agricola familiare, si oppose per circa due anni alla vocazione presbiterale del figlio. poi, nel 1806, lo mandò a studiare presso il parroco di Ecully, l’abate Carlo Balley, ch’era stato canonico regolare di Sant’Agostino e maestro dei Novizi del suo Ordine ed era di vita estremamente austera. Nell’apprendimento scolastico, il giovane Vianney incontrò molti problemi, infatti non arrivò mai a scrivere correttamente la lingua francese e sapeva leggera appena il breviario in latino. Il suo maestro Dom Balley, invece di rimproverarlo, avendo intuito le grandi qualità spirituali del giovane lo incoraggiava. Il giovane, per vincere la propria mancanza di apprendimento nello studio fece voto di recarsi in pellegrinaggio, a piedi, presso la tomba di San Francesco Regis alla Louvesc, tra le montagne dell’Ardèche, mendicando il pane di porta in porta ma, essendo di aspetto giovane e forte, si vide respinto quasi da tutti e, per non morire di fame, al ritorno fu costretto a farsi commutare il voto. Dopo d’allora, Giovanni riacquistò ottimismo ma continuò a rimanere poco propenso agli studi. Il cammino di Giovanni Maria verso il presbiterato fu bruscamente interrotto nel 1809 dalla chiamata alla leva militare. Prima a Lione e poi a Rennes, una malattia gli impedì di arrivare immediatamente al reggimento al quale era stato assegnato. Ne approfittò per disertare fuggendo al villaggio Robin, nella fattoria della vedova Fayotte dove, durante l’inverno, fece da istitutore ai figli della donna e durante l’estate svolse il lavoro a lui più congeniale di contadino. Per il popolo cattolico e devoto, disertare l’esercito napoleonico, persecutore del papato e dei diritti della Chiesa, non era null’affatto riprovevole. Protetto dal sindaco del paese, Giovanni si recava spesso alla messa dove devotissimamente riceveva la santa eucaristia e, nonostante il duro lavoro dei campi, non veniva meno alle dure penitenze alle quali si era allenato alla scuola dell’ascetico Dom Balley. Suo padre Matteo, a causa della fuga di Giovanni, nel frattempo era stato sottoposto dai soldati di Napoleone ad angherie e minacce. Per non subire ulteriori angherie fu costretto a lasciar partire, come sostituto di Giovanni, l’ultimo suo rampollo, Francesco, che purtroppo morì nella campagna militare del 1813.

Dopo oltre un anno di assenza, Giovanni poté finalmente fare ritorno da Dom Balley ad Ecully e riprendere la scuola formativa per il sacerdozio. Lo zelante parroco lo presentò al vescovo per la tonsura e, nel 1812, lo fece entrare nel seminario minore di Verrières, che il cardinale Fesch, zio di Napoleone, aveva recentemente aperto, affinché gli fosse data una infarinatura della filosofia e teologia scolastica. Purtroppo, avendo grosse difficoltà con il latino, dovette ricevere, in francese, le lezioni scolastiche insieme a quei seminaristi che, come lui, non avevano sufficiente istruzione per seguire il corso ordinario. L’ignoranza, sia della lingua latina che della filosofie e teologia gli procurò più di un’offesa anche da parte degli altri seminaristi. Tuttavia, per i suoi immensi sforzi, il suo amore alla Madonna, ed il suo temperamento tranquillo e bonario, si attirò la stima e l’affetto sia dei superiori che dei compagni.

Nelle vacanze che seguirono l’anno di filosofia, Dom Balley diede al Vianney un po’ di nozioni generali di teologia ma, anche al seminario maggiore di Lione, fu sempre uno studente carente. Giovanni Maria, che si applicava con sforzo e tenacia nello studio, purtroppo, non capendo il latino non otteneva alcun risultato perciò fu rimandato di nuovo presso Dom Balley, il quale, convinto sempre più che il giovane fosse chiamato da Dio al sacerdozio, gli mise tra le mani un libro di teologia in francese che, con molta pazienza gli spiegava. Dopo questa preparazione lo presentò per l’ammissione agli ordini minori e al suddiaconato. L’esame gli fu fatto nel presbiterio d’Ecully e il vicario generale della diocesi prese su di sé la responsabilità formativa del pio giovane. Vianney fu ordinato diacono a Lione il 23 giugno 1815 e, finalmente, grazie alle insistenze di Dom Balley, che era assai stimato in curia, ricevesse ad agosto il sacerdozio affinché gli fosse dato come vicario parrocchiale.

Anche dopo l’ordinazione Vianney continuò con Dom Balley una vita “seminariale” con uno stretto regolamento di studio e preghiera.

Nel 1817 il Balley improvvisamente morì e Giovanni rimase del tutto disorientato. Essendo la parrocchia di Ecully considerata troppo elevata per le sue capacità, il 13 febbraio 1818, fu nominato Cappellano di Ars-en-Dombes, villaggio di appena 230 abitanti, soggetto alla Parrocchia di Mizèrieux. Solo nel 1821 Ars divenne parrocchia a se stante. Il Vicario generale, nel comunicargli la sua nomina aveva esclamato: “Voi andate in una parrocchia dove non c’è molto amor di Dio ma ce ne metterete”.

Infatti, i parrocchiani di Ars non tardarono a capire di avere un nuovo curato “molto particolare”. Lo osservarono con stupore ritornare i vecchi mobili alla castellana d’Ars che li aveva donati alla canonica. Inoltre, lo vedevano mangiare poco o niente e stare ore ed ore in preghiera in chiesa. Dom Giovanni non aveva voluto una domestica, non andava a pranzo al castello dei signori come avevano fatto tutti i suoi predecessori. Chi voleva incontrarlo doveva andare a cercarlo in chiesa dove, ogni giorno, per lunghe ore di preghiera implorava da Dio la conversione della gente di Ars. Il curato cercò fin dall’inizio del suo ministero pastorale ad Ars di avere un contatto diretto con le anime a lui affidate dal vescovo. Alle persone più generose comunicò un po’ del proprio zelo spirituale, portandole alla comunione eucaristica frequente. Rifondò le confraternite del Rosario e del Santissimo Sacramento. All’inizio del suo ministero a preparazione delle sue omelie gli prendeva lunghe ore del giorno e della notte che poi declamava con voce stridula, rendendosi conto che i suoi uditori non erano affatto soddisfatti. Sensibile come era al problema della salvezza eterna, nei primi anni trattò di frequente il tema dell’inferno e della dannazione con eccessivo rigorismo e solo dopo lunghi anni di unione con Dio e di contatto con i peccatori, riuscì a disfarsi di una certa mentalità rigorista, che aveva ereditata da un certo giansenismo di Dom Balley.

Da giovane Vianney si diede ad eccessive penitenze che nell’età matura definì £follie di gioventù”. Faceva cuocere alcune patate, le metteva in un paniere e durante la settimana le mangiava fredde; dormiva per terra e appena sveglio si flagellava; d’abitudine portava il cilicio con l’intenzione che dalla sua parrocchia fossero debellati i balli, le osterie ed il lavoro festivo. Per tutta la sua vita fu ossessionato dallo scrupolo di non avere né la formazione culturale né le virtù richieste per fare degnamente il parroco e così di mettere in pericolo la salvezza personale ed altrui. Era affascinato dalla vita di solitudine nella trappa dove trovare pace e contemplare Dio in preghiera. Eppure, per tutta la vita, egli sarà il confessore “mangiato dai penitenti”, confessando anche fino a sedici ore al giorno. Fin dall’arrivo ad Ars aveva provveduto al restauro della chiesa, ristrutturando l’altare ed il tabernacolo ed acquistando la biancheria  e le suppellettili per il culto.

Nel 1821 la cappellania di Ars fu eretta in parrocchia e divenne soggetta alla nuova curia episcopale di Belley, retta allora da monsignor Alessandro Devie, da allora Giovanni Maria Vianney ebbe il titolo canonico di curato d’Ars.

Il santo si impegnava molto anche ad aiutare i parroci vicini nel periodo delle missioni popolari. Normalmente egli non predicava, ma restava a disposizione dei penitenti fino a notte inoltrata. Una volta un altro parroco che lo aveva chiamato per una missione popolare disse di lui: “Ho un buon operaio che lavora bene e mangia niente”. Proprio per la sua partecipazione alle missioni popolari egli si fece una fama eccezionale di santo confessore ed Ars incominciò ad accogliere numerosi pellegrini in cerca del perdono dei loro peccati.

Tutti si impressionavano nel vederlo indossare la sua talare piena di rammendi e di contemplare la grande povertà della sua canonica. Qualche confratello sacerdote un po’ invidioso lo denunciò al vescovo affermando che c’era dell’esibizionismo in tali manifestazioni esterne.

Un giorno il santo pregò Dio che gli concedesse la grazia di conoscere in profondità lo stato della sua anima, fu esaudito, ma affermò candidamente : “Se il Signore non mi avesse sostenuto, sarei caduto all’istante nella disperazione”. Nonostante che il vescovo gli avesse detto: “Non si prende il cielo con la fame”, egli continuò a darsi a dure penitenze, a mangiare una volta al giorno un po’ di verdura e raramente della carne. Per lui mortificazione e zelo pastorale procedevano di pari passo. Il diavolo, che egli chiamava ironicamente “il grappino” cercava di infastidirlo, provocando, per molti anni, rumori in canonica impedendogli anche le pochissime ore di sonno ristoratore. In mezzo a tante prove il santo passava buona parte della notte in chiesa a pregare dinnanzi al Santissimo Sacramento.

Fin dal suo arrivo ad Ars egli si preoccupò dell’educazione sia cristiana che scolastica dei fanciulli. Eresse una scuola per le ragazze con l’aiuto di alcune brave contadine che egli aveva formato spiritualmente, tra cui Caterina Lassagne, prima direttrice dell’Istituto “La Provvidenza”. Il curato fu lui stesso l’architetto, il muratore ed il finanziatore. Spesso il Signore all’ultimo minuto gli mandò dei benefattori per pagare i debiti oppure quando non vi era assolutamente nulla da mangiare arrivava il rifornimento alimentare. Alle orfane ed alle alunne del “La Provvidenza”, tutti i giorni Vianney faceva il catechismo delle 11 che, in seguito, divenne tanto frequentato dai pellegrini che fu costretto a tenerlo in chiesa.

Nel 1830, con la caduta di Carlo X e l’ascesa al trono di Luigi Filippo ci fu una confusione generale e sette parrocchiani di Ars ebbero l’arroganza di recarsi dal loro curato per intimargli perentoriamente di andar via dalla parrocchia perché la gente si era ormai stancata del suo rigore. Altri giunsero al punto di scrivergli volgarità sulla porta di casa. Una volgare campagna di calunnie si prolungò per diversi mesi, ed il santo era accusato di essere un ipocrita ed anche la sua magrezza era dovuta a dissolutezze sessuali. Più tardi Giovanni Maria confiderà ad un religioso: “Se il buon Dio mi avesse fatto prevedere quel che avrei dovuto soffrire ad Ars sarei morto sul colpo”.

A Caterina Lassagne confidò: “Pensavo che sarebbe venuto il giorno, prima o poi, in cui sarei stato cacciato da Ars a colpi di bastone, in cui monsignore mi avrebbe interdetto e io avrei finito i miei giorni nelle prigioni”. Comunque, il pellegrinaggio ad Ars dei penitenti andò crescendo sempre più che fu opportuno iniziare un servizio di vetture tra Lione ed Ars. Fu allora che il curato, nel tentativo di distogliere dalla sua persona il rischio del culto della personalità, che lo rattristava più ancora delle calunnie, instaurò nella sua chiesa il culto di santa Filomena, attribuendo tutti i prodigi a questa martire. Il lavoro spossante a cui si vedeva condannato continuava a gettarlo nell’angoscia tanto che più volte aveva chiesto al vescovo di avere un altro incarico.

Se si considera il lavoro estenuante di confessore che faceva, lo scarso alimento che prendeva, le spaventose coliche e i dolori di testa da cui frequentemente era assalito, le poche ore di sonno durante la notte, il freddo da cui era intorpidito, il caldo da cui era soffocato nel confessionale, bisogna dire che veramente era sostenuto da una speciale grazia nel portare avanti un ministero sacerdotale così pesante. Più volte pensò alla fuga, ma il pensiero dei peccatori che lo cercavano per confessarsi da lui ed il sostegno morale ed economico di cui aveva bisogno l’orfanotrofio de “La Provvidenza” lo trattenevano ad Ars.

I malati erano condotti dinnanzi a lui da ogni parte della Francia perché numerosi grazie alle preghiere di Vianney recuperavano la salute. Ovviamente i pellegrini riconoscenti gli lasciavano molte offerte in denaro che Vianney utilizzava non solo per la sua parrocchia e l’orfanotrofio ma soprattutto per la fondazione delle missioni popolari nelle parrocchie prive di risorse economiche. Il doloroso ministero presbiterale al quale si sobbarcava dall’una del mattino fino a sera inoltrata, lo portarono a sfiorare la morte nel 1843.

Dopo aver ricevuto gli ultimi sacramenti, fece voto di far celebrare cento Messe in onore di santa Filomena se si fosse ristabilito in salute. Il cielo lo accontentò. Superò la pleuro-polmonite. I parrocchiani di Ars ne furono tanto contenti che incominciarono ad esporre e vendere i ritratti del loro curato. L’Istituto de “La Provvidenza” che, con la malattia del curato, era stato sul punto di chiudere, rifiorì e, per volontà del vescovo, fu affidato, nel 1848, alla cura delle Suore di San Giuseppe di Bourges. Il flusso dei pellegrinaggi continuò ad aumentare a tal punto che il vescovo ritenne necessario dare al santo curato un vice parroco che si prendesse cura della comunità dal momento che Giovanni Maria doveva restarsene tutto il giorno in confessionale. Il primo suo vicario fu l’abate Antonio Raymond, una personalità rude, autoritaria. Col suo temperamento difficile e con la sua corporatura imponente per ventun anni tenne in soggezione il santo curato che, per la sua grande bontà, era incapace di mantenere la disciplina tra la massa scostumata dei pellegrini. Nonostante che Dom Raymond lo contrariasse, Vianney si mostrò sempre con il vescovo soddisfatto di lui e dell’aiuto che gli prestava, pur dovendo ingoiare parecchi rospi a causa del carattere ambizioso del suo vicario. Nonostante l’ostilità di Dom Raymond, il curato realizzò una fondazione caritativa per avere due Fratelli della Sacra Famiglia, fondati a Belley da Fratel Gabriele Tabarin, affinché uno facesse da istitutore della gioventù maschile e l’altro da sacrestano. Il nuovo vescovo, mons. Chalandon, volle onorare il curato dandogli il titolo di canonico. Umoristicamente la castellana d’Ars affermò: “Con la mantellina sulle spalle egli assomigliava a quei condannati che sono condotti al patibolo con la corda al collo”.

Ritenendosi indegno di portarla, la vendette ad una sua benefattrice per 50 franchi per completare i fondi necessari ad assicurare in perpetuo due missioni decennali. Il curato ne fondò novantasette in diverse parrocchie versando la somma di 201.625 franchi, enorme per quell’epoca. Quando gli chiedevano come faceva ad avere tanto denaro, egli rispondeva: “Il mio segreto è semplicissimo: è di non conservare mai niente e di non avere mai niente”.

Nella chiesa di Ars si distribuivano trentamila comunioni all’anno e si ricevevano trentaseimila messe da celebrare. I pellegrini restavano incantati dalla devozione con cui il santo celebrava l’Eucaristia. Napoleone III, nel 1855, lo nominò Cavaliere della Legion d’Onore, quando il curato seppe che l’onorificenza non comportava alcuna rendita, disse al Sindaco: “Dite all’Imperatore che si tenga la sua Croce, dal momento che i poveri non hanno niente da guadagnare”.

Le ultime settimane di vita del santo furono sempre dedicate al lavoro pastorale. Ancora il 29 luglio 1859 Vianney si recò in chiesa a prendere, poco dopo la mezzanotte, il suo posto al confessionale. Quando rientrò in casa era stremato dalla stanchezza. L’indomani mattina si alzò alla solita ora, nonostante la febbre che lo tormentava, già si disponeva a scendere in chiesa a confessare, ma le forze gli vennero meno e svenne.

Caterina Lassagne accorse alla sua invocazione di aiuto: “Andate a cercare il mio confessore. La volontà di Dio è che io muoia”. Il santo si confessò ricevendo il viatico tra le lacrime e benedisse diverse ceste di oggetti religiosi che i suoi parrocchiani gli avevano portato e, stremato, si spense il 4 agosto 1859 alle due del mattino, tra le braccia del Fratello della Sacra Famiglia Girolamo, suo infermiere e sacrista. Fu sepolto nella chiesa di Ars e Pio X lo beatificò l’8 settembre 1904 e Pio XI lo canonizzò il 31 maggio 1925. le sue reliquie sono venerate ad Ars nella nuova chiesa costruita come prolungamento dell’antica ed ogni anno oltre mezzo milione di pellegrini si recano da tutto il mondo si recano a pregare dinnanzi alle sue spoglie mortali, rimaste incorrotte.

Don Marcello Stanzione (Ri-Fondatore della M.S.M.A.)

 
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