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Ha suscitato grande scalpore la revoca della scomunica ai vescovi della Fraternità di San Pio X PDF Stampa E-mail

Ha suscitato grande scalpore la revoca della scomunica ai vescovi della Fraternità di San Pio XHa suscitato grande scalpore la revoca della scomunica ai vescovi della Fraternità di San Pio X da parte di Benedetto XVI. La revoca è stato un atto unilaterale, per la quale Benedetto XVI non ha chiesto niente in cambio. Allo stesso tempo, sia la natura particolare della Fraternità di San Pio X (che si era costituita in funzione polemica con il Concilio, del quale non accettava le aperture liturgiche ed ecumeniche), sia le tesi negazionisti di monsignor Williamson, uno dei quattro vescovi cui è stata revocata la scomunica, hanno fatto passare un messaggio: e cioè che il Papa assolve dalla scomunica i lefevbriani e accoglie nelle braccia della Chiesa un vescovo negazionista. Un messaggio che è lontano dalla realtà dei fatti. Ma che testimonia una crisi diplomatica e di comunicazione all’interno del Vaticano. Andiamo con ordine. Dopo il Concilio Vaticano II, i lefevbriani si separarono progressivamente  dalla Chiesa cattolica. Nel 1975, la Fraternità ...  

... Sacerdotale di San Pio X non ubbidì all’ordine di scioglimento e si costituì in Chiesa parallela, con propri vescovi, sacerdoti, seminari. Marcel Lefvbre, il fondatore, fu sospeso a divis nel 1976. Nel 1988, Lefevbre fu scomunicato insieme ad altri quattro vescovi da lui ordinati senza l’autorizzazione del Papa. Vescovi che erano a loro volta sospesi a divis. Fu l’atto culminante di una situazione che già di per sé era scismatica. Ma che – è bene notarlo – è divenuta tale solo nel momento in cui Marcel Lefevbre ha arbitrariamente ordinato quattro nuovi vescovi.

Una ferita nel corpo della Chiesa che Benedetto XVI ha sin da subito provato a ricucire. Lo testimonia il fatto che una delle prime udienze del Papa è stata data a monsignor Fellay, l’attuale priore della Fraternità. E lo testimonia soprattutto il discorso alla Curia del 22 dicembre 2005. Un discorso nel quale il Papa sostenne che il Vaticano II non era una rottura con la tradizione, ma era una continuità con la tradizione anche dove segnava una svolta netta con il passato: non solo sulla libertà religiosa, ma anche su liturgia, ecumenismo, rapporto con l’ebraismo e altre religioni.

I punti sui quali la minoranza lefevbriana aveva dissentito. A leggere bene, già questa era una mano tesa alla Fraternità di San Pio X. A cui si aggiunse il Motu Proprio Summorum Pontificorum, che liberalizzava l’antico rito. Una prima mossa di avvicinamento.

Il percorso è proseguito, sottotraccia, e in maniera continua. Già lo scorso anno si era arrivati ad un riavvicinamento quasi definitivo: non se ne fece nulla, e la comunità di San Pio X attribuì il fallimento del dialogo al tam tam mediatico, che avrebbe rovinato il percorso del dialogo. Percorso che è continuato sottotraccia, favorito dal cardinal Dario Castrillon Hoyos, presidente di Ecclesia Dei. Nel decreto di revoca della scomunica, si fa riferimento proprio a una lettera di monsignor Fellay a Dario Castrillon Hoyos, dove monsignor Fellay afferma “amore filiale per il Papa”. Ma dichiara anche di continuare a nutrire delle riserve nei confronti del Concilio Vaticano II.

Il comunicato di revoca della scomunica arriva nudo e crudo, senza spiegazioni, quando le tesi negazioniste sulla Shoah di Williamson sono già note. La Sala Stampa Vaticana spiega che non si tratta di piena comunione, ma semplicemente di un inizio di cammino per la comunione. Ma non si chiede ai lefevbriani di riconoscere il Concilio, né si prendono le distanze dalle dichiarazioni di Williamson. Privo di ogni paracadute mediatico o diplomatico, il caso prende piede, con le proteste sempre più insistenti che arrivano dal mondo ebraico. Ma anche la Curia è divisa: il cardinale Kasper, presidente del Pontificio Consiglio per l’Unità dei Cristiani, si lamenta con l’Osservatore Romano di non essere stato avvisato. Il cardinal Re, presidente della Congregazione dei Vescovi, che ha dovuto apporre la controfirma al decreto di scomunica, dice a più riprese, in colloqui riservati, che lui ha solo firmato. Una situazione di scollamento che costringe il Papa prima a prendere una posizione netta contro il negazionismo e a sottolineare il suo impegno in favore del mondo ebraico, e poi la Segreteria di Stato a chiedere a Williamson di abiurare dalle sue tesi, se vuole proseguire il cammino di piena comunione con la Chiesa. Nel mezzo, le scuse di Williamson, che però sottolinea di porgerle per obbedienza al Papa, e non per servire la verità. Scuse a metà, insomma.

C’è un dossier, in Vaticano, che analizza l’ipotesi di un complotto perpetrato ai danni del Papa per screditarlo sul fronte dell’apertura ai tradizionalisti. In effetti è stata solo del Papa la decisione di offrire ai vescovi lefevbriani un gesto di benevolenza, “un dono”, come l’ha chiamato lo stesso pontefice. Un “dono” che ha creato un caso diplomatico, perché mal gestito a livello di comunicazione. Probabile che con un po’ di controllo in più, e una dichiarazione netta al momento della pubblicazione del decreto, le polemiche sarebbero state di meno.

di Andrea Gagliarducci

 
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