Il Papa fa un appello per la pace a Gaza |
Non ci sono traduzioni - There are no translations - Nein Übersetzungen - No traducciones - Aucun traductions "L'opzione militare non è una soluzione" e "la violenza, da qualunque parte essa provenga e qualsiasi forma assuma, va condannata fermamente". Benedetto XVI rinnova il suo appello per una pace immediata nella Striscia di Gaza. E spera che, nelle prossime tornate elettorali in Medioriente "emergano dirigenti capaci di far avanzare con determinazione il processo di pace, e di guidare i loro popoli verso la difficile ma indispensabile riconciliazione". Nel consueto incontro di inizio anno con il Corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede, il Papa riprende il tema del suo Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace, e si concentra su povertà e sviluppo, con una nota di apprezzamento verso la Conferenza di Doha, che ha individuato "criteri utili per orientare la gestione del sistema per aiutare i più deboli". C'è poi l'attenzione all'Africa (dove sarà in viaggio) e un accenno al concetto di laicità positiva, che "non ignora la dimensione ... ... spirituale e i suoi valori". L'attesa, però, era tutta per le parole che il Papa avrebbe destinato alla questione mediorientale. Sullo sfondo c'era la dura reazione israeliana alle parole del cardinal Martino (che aveva paragonato la situazione di Gaza a un "campo di concentramento"). "Una volta di più - dice Benedetto XVI - vorrei ripetere che l'opzione militare non è la soluzione e che la violenza, da qualunque parte essa provenga e qualsiasi forma assuma, va condannata fermamente. Auspico che, con l'impegno determinante della comunità internazionale, la tregua nella striscia di Gaza sia rimessa in vigore e che siano rilanciati i negoziati di pace rinunciando all'odio, alle provocazioni, all'uso delle armi". Sono parole che il Papa ha detto più volte in questi giorni: la situazione di Gaza ha messo in dubbio l'eventualità di un viaggio in Israele, come era nelle intenzioni, e la decisione definitiva dipende da come si evolverà la situazione. La Santa Sede si muove con cautela: vuole aprire un ponte con il mondo ebraico, ma non vuole trascurare la sorte dei cristiani d'Israele. Che sono una minoranza, ma sono rappresentati perlopiù da arabi. Una situazione delicata: Benedetto XVI spera allora in una riconciliazione raggiunta attraverso "un approccio globale ai problemi di quei Paesi, nel rispetto delle aspirazioni e degli interessi legittimi di tutte le popolazioni coinvolte". Vale a dire: sostegno al dialogo tra Israele e Siria e il consolidamento delle istituzioni nel Libano. E poi, la speranza che alle elezioni le persone facciano emergere persone in grado di terminare il processo di riconciliazione. Parole che fanno ritenere necessaria una precisazione al ministro degli Esteri Frattini: "Come sempre condivido le parole del Papa, ma il Pontefice non fa politica e le sue parole non siano prese come un auspicio per cambi di leadership". Ma per l'ambasciatore israeliano presso la Santa Sede Mordechai Lewy, "il Papa ha diritto di esprimere la sua opinione e questo non deve sorprendere", anche perché si devono considerare, oltre le elezioni in Israele, anche elezioni in altri Paesi della zona, come l'Iran. L'ambasciatore dà un giudizio positivo delle parole del Papa: "Sono volte a far sopravvivere la speranza, che è sempre l'ultima a morire". E per quanto riguarda il viaggio papale in Israele, non confermato, afferma che "c'è ancora tempo". di Andrea Gagliarducci |
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