Il Sacramento più importante per la salus animarum: la Comunione Eucaristica |
Al di là delle strumentali e controverse questioni di “ritorno alle origini”, e a prescindere dagli abusati richiami alla “sensibilità” dei fedeli, ciò che più conta per la pratica della fede è il modo in cui questi possono vivere ordinariamente il rapporto con i Sacramenti; e in questo caso con il Sacramento più importante per la salus animarum: la Comunione Eucaristica. Noi uomini moderni siamo portati (per educazione e per condizioni storico-sociali) a vivere il rapporto col sacro in strettissima dipendenza dalla nostra presunzione individuale, dalla nostra supponenza razionale e dalle riserve mentali introdottesi nel nostro “spirito” a partire dal secolo dei lumi, che ha trasformato la società umana in un contesto civile che, nella migliore delle ipotesi, considera Dio come “una delle componenti” del vivere quotidiano. In un simile contesto, ogni richiamo alla consapevolezza razionale circa il senso profondo della Comunione Eucaristica ... ... rischia di intellettualizzarsi fino al punto da amare la dialettica su di essa più che ogni considerazione sul residuo senso trascendente che essa comporta. Non è il frutto di una volontà calcolata, ma un atteggiamento mentale spontaneo, che, nel migliore dei casi, porta a concludere che “ognuno è libero di vivere il rapporto col sacro” come meglio sente e ritiene. Nei fatti, i fedeli, in mancanza di atteggiamenti straordinarii suggeriti dal proprio parroco, per esempio, finiscono con l’assumere atteggiamenti ordinarii anche nei confronti di Nostro Signore transustanziato: considerano l’Ostia degna di rispetto al pari di ogni altra cosa oggi rispettabile. La loro buona fede è innegabile, ma la loro pratica della fede diviene di colpo simile al galateo: niente di più. Inginocchiarsi e ricevere la Comunione sulla bocca, oggi più di ieri, costituirebbe un atteggiamento così fuori dall’ordinario da indurre il fedele, anche inconsciamente, a considerare di trovarsi realmente al cospetto di quel qualcosa di veramente straordinario che è la Presenza Reale di Nostro Signore in Corpo, Anima e Divinità: “mangiato” da noi per la salvezza della nostra ànima. Ogni spiegazione e ogni convincimento razionale di questo evento non è minimamente paragonabile alla grandezza del Mistero che si compie dopo ogni Consacrazione. Il fedele, soprattutto oggi, deve essere indotto a percepire il Mistero non a “comprendere” l’evento. D’altronde, anche dal solo punto di vista logico, come potrebbe l’uomo “comprendere” il Mistero? Si tratta di una mera contraddizione. E nei fatti, ciò che si verifica è semplicemente l’annullamento del Mistero, poiché ognuno di noi è portato a razionalizzarlo al punto tale da renderlo, se possibile, pari ad un qualsiasi evento della vita ordinaria (sia pure inteso come il più incredibile). Un esempio di questa razionalizzazione e di questo scadimento del Mistero Eucaristico nella concezione del fedele lo si ha nella abusata pratica della Comunione di massa. Ogni Domenica nelle nostre chiese vi sono centinaia di migliaia di fedeli che si comunicano, ma solo alcune centinaia si sono preventivamente confessati (vedasi anche la Lettera Dominicae Cenae di S. S. Giovanni Paolo II, 24/2/1980). Vero è che i Sacramenti sono due, ma è ancor più vero che i fedeli sono stati indotti e convinti ad assumere la Santa Comunione in maniera quasi indiscriminata, così che si è esponenzialmente moltiplicata la possibilità che essi “mangino la loro condanna” piuttosto che la loro salvezza. Questa dovrebbe essere, oggi ancor più di ieri, la prima preoccupazione della Gerarchia, e invece ci si preoccupa principalmente di suggerire raccomandazioni morali e intellettuali, dimenticando che l’aver abbandonato la pratica esclusiva dell’inginocchiamento e dell’assunzione sulla lingua della Santa Ostia, ha permesso che i fedeli percepissero il loro rapporto con Nostro Signore come cordiale e paritario, seppure intriso (ove ancora càpita) di un certo rispetto meramente umano. Dobbiamo confessare che abbiamo sempre un gran timore ad accostarci al Santissimo, e quando lo facciamo non possiamo esimerci dal percepire un certo tremore interno perché non sappiamo mai, nonostante la Confessione, quanto il Signore ci giudicherà degni di tanto nostro osare. Non sum dignus ut intres sub tectum meum, si diceva una volta. Oggi si dice: Non son degno di partecipare alla tua mensa. Forse un acculturato intellettuale potrebbe trovare quasi nessuna differenza tra le due formule; ma per il fedele, sia pure con tre lauree, la differenza c’è: non è più il Signore che “entra” nel tempio dell’uomo, che a tal fine dev’essere puro e immacolato come la casa di Dio, ma è l’uomo che si accosta alla “mensa” del Signore. Alla iniziativa di Dio si è sostituita l’iniziativa dell’uomo: non più l’uomo che si predispone per permettere a Dio l’accesso alla sua ànima, ma l’uomo che si presenta alla mensa di sua iniziativa. Corpus Domini nostri Iesu Christi custodiat animam tuam in vitam aeternam. Amen.; si diceva una volta. Oggi si dice: Il Corpo di Cristo. Non v’è più traccia del senso profondo dell’assunzione dell’Ostia. E l’amen finale raccomandato oggi al fedele, serve solo ad asserire una realtà asettica, ove il Corpo di Cristo assume una connotazione indiscriminata, perché indiscriminatamente distribuito, a tutti coloro che si presentano, come un dono gratuito senza alcun significato che quello paragonabile ad una qualsiasi distribuzione alla mensa dei poveri. Con quell’amen, a cosa acconsente il fedele? Che si tratta del Corpo di Cristo, certo, ma è altrettanto certo che Esso è dato a tutti non si sa bene perché. Che poi questa banalizzazione del Mistero possa condurre tanti fedeli a considerare il tutto come una cosa qualsiasi e molti sacerdoti a dimenticare perfino la transustanziazione, non è invero cosa certa, ma sicuramente, in queste condizioni, cosa sempre più possibile. Ciò che conta per i fedeli e per la pratica della Fede, non sono tanto le possibili buone intenzioni di certe “riforme”, quanto il modo con cui essi (sacerdoti compresi) le percepiscono, le intendono e le vivono. E oggi è fuori da ogni dubbio il fatto che la pratica della Fede si è così staccata dal senso del Sacro e del Mistero, da essere vissuta, anche ai livelli più alti, come una mera azione umana rispettosa di tutto: una sorta di pratica umana intrisa di morale e tutta dipendente dalla psicologia individuale. I mali del postconcilio non sono legati, innanzi tutto, alle equivoche formulazioni adottate dal Concilio, bensì alle conseguenze che molte pratiche innovative hanno prodotto nella vita religiosa dei fedeli. Più che la dottrina, discutibile, di certe “innovazioni”, quello che conta è la “prassi” che da essa è derivata. Le mille raccomandazioni e i mille richiami successivi alla sua diffusione e affermazione, hanno certo una loro importanza, ma ormai dipendente dalla concezione dialettica che la prassi stessa ha radicato nell’ànimo dei fedeli. Un esempio per tutti: la talare è continuamente raccomandata (quantomeno come segno distintivo), ma continua a non essere usata. Ciò che più conta, si dice, è il “sentire” del prete. È vero, ciò che più ha finito col contare è il “sentire” del fedele: la Religione (il legame con Dio) è divenuta una questione di “sentimento”, e si è passati dalla Religio alla religiositas. Ciò che più ha finito col contare è il “vissuto” del fedele: la Religione è divenuta “esperienza religiosa”: ciò che prima era correttamente inteso come un prodotto della Volontà del Signore, oggi lo si intende solo come il prodotto della esperienza dell’uomo. L’inginocchiarsi e l’assumere il Corpo di Cristo solo sfiorandolo appena con lo sguardo era (ed è) un modo immediato e coinvolgente per ricordare a noi stessi che siamo i più piccoli al cospetto di Dio. Siamo così piccoli e così indegni e così ricolmi di peccati che solo l’immensa Misericordia di Dio può colmare la nostra vacuità. Il più eccelso dei nostro pensieri e il più nobile dei nostri propositi è un puro atto di presunzione umana al cospetto dell’imperscrutabile Mistero della transustanziazione di Nostro Signore. E questo è necessario che venga praticato ancor prima di essere anche minimamente inteso dalla nostra insignificante capacità razionale. IMUV - Tratto da Unavox.it |
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