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Liturgia: sbagliato pretendere di spiegare l’inspiegabile PDF Stampa E-mail

Liturgia: sbagliato pretendere di spiegare l’inspiegabile La liturgia è il culto dovuto a Dio, da Dio stesso voluta e predisposta, e le sue forme sono essenzialmente legate agli insegnamenti degli Apostoli e dei Santi che hanno agito sotto l’ispirazione e la guida dello Spirito Santo. Si ricorda San Paolo? Non voi pregate, ma è lo Spirito che prega in voi. Altro che comprensione! Tuttavia, ciò non significa che i fedeli debbano necessariamente rimanere all’oscuro di ogni passaggio liturgico, anzi (e questo non è mai accaduto, checché se ne dica, basti pensare alla santificazione di milioni di fedeli che si sono abbeverati alla santa liturgia di sempre). Ma non significa neanche che la liturgia possa essere cambiata a piacimento sottostando alla comprensione umana. Pensi a quanto sia cambiata una certa sensibilità comune e quanto velocemente, in questi ultimi anni. Se ne deve dedurre che fra qualche anno si dovrà arrivare ad una ulteriore riforma liturgica per adeguare ...

...  la liturgia alla diversa comprensione dei nostri figli? Di questo passo, nel giro di un secolo avremmo diecine di liturgie, poi diecine di dottrine e infine diecine di “chiese”. In realtà un po’ di questo è già avvenuto con la riforma liturgica postconciliare. Tolti i testi canonici, che tra l’altro sono in latino, davvero lei crede che tutto l’ecumene cattolico celebri una sola liturgia, come richiesto dagli stessi libri liturgici? Nella Santa Chiesa sono ormai in vigore diecine di liturgie diverse, molte delle quali continuano a mutare col mutare della “creatività” dei varii celebranti, i quali, diventati ormai dei “presidenti”, non fanno altro che affidarsi alle fantasie dei consigli parrocchiali.

Lei dice che bisogna farsi greci con i greci ed ebrei con gli ebrei. In un certo senso è vero, ed è anche per questo che il Signore concesse agli Apostoli il “dono delle lingue” (che è cosa ben piú complicata del semplice uso di un dato linguaggio per farsi capire dall’altro). Ma, vede, questo farsi greco col greco ha un senso e una profonda giustificazione, perfino una valenza soprannaturale, solo a condizione che il fine sia, non solo la “predicazione” (come dice Lei), ma soprattutto la conversione. Poiché, come dice il Signore, se in quella casa non vi accolgono, uscite da essa e scuotete la polvere dei vostri calzari, quelli saranno giudicati a loro tempo per aver rifiutato di accogliervi. Se, invece, farsi greco col greco significa che da fedeli seguaci di Cristo diventiamo “amorevoli” e “misericordiosi” fratelli di coloro che non ci accolgono o, peggio ancora, finiamo con l’uniformarci a coloro che rifiutano o criticano o trattano con indifferenza Gesú Cristo e i suoi insegnamenti… beh! allora, meglio chiudere la Chiesa!

Per non parlare della incredibile polemica sulla lingua liturgica. Per secoli, con un tasso di scolarità quasi pari a zero, la Chiesa ha allevato, per la gloria del Signore, centinaia di migliaia di santi e pii uomini, milioni di fedeli devoti a Dio e alle sue leggi, e nessuno di questi ha mai avuto dei problemi perché non conosceva il latino. La falsa questione della lingua è davvero cosa da asilo infantile. Gli stessi ultimi tre Papi si sono molto rammaricati per la perdita del latino, e sa perché? Semplicemente perché la perdita della lingua liturgica, che comportava che almeno i preti conoscessero “bene” il latino, si è inevitabilmente tradotta nella perdita dell’unità della Chiesa, nella perdita del significato di molte parti della dottrina, nella confusione babelica della lettura e della interpretazione perfino del Credo e del Padre Nostro.

Non solo presso i fedeli, ma financo presso i preti e i religiosi. La lingua liturgica ha sempre assolto il compito di rendere fissa la liturgia e la dottrina, non per non far capire nulla ai fedeli, ma per impedire che col mutare della lingua mutasse anche il credo e la fede; per corrispondere a quell’Una, Santa, Cattolica, Apostolica che recitiamo o cantiamo ogni Domenica. […]

Vede, egregio signore, noi abbiamo il grande torto di voler rimanere legati all’insegnamento che la S. Chiesa ha sempre offerto ai fedeli per duemila anni. Di voler rimanere legati alla S. Messa che la S. Chiesa ha celebrato per duemila anni. Di voler rimanere legati alla Tradizione degli Apostoli e dei Padri, cosí come ci è stata trasmessa dai Papi e dai Santi per duemila anni.

A noi non importano tutte le fesserie che si raccontano oggi, per cui la S. Chiesa avrebbe la colpa di non aver fatto e di non aver detto, in duemila anni, quello che piace oggi a certi liturgisti moderni, a certi pseudo-teologi moderni, a certi predicatori moderni.

Vede, noi siamo dei poveri uomini comuni, che confessiamo di non avere l’ardire di pensare che abbiamo capito tutto, tanto da poter giudicare duemila anni di vita della Chiesa. Noi, da semplici fedeli di Cristo, desideriamo solo essere lasciati in pace nelle nostre ristrette certezze: se per duemila anni la S. Chiesa ha fatto e ha detto cosí e cosí, vogliamo continuare sulla stessa strada.

D’altronde, e forse la cosa le è sfuggita, è lo stesso Santo Padre che ha riconosciuto la legittimità della nostra posizione, ed ha invitato e continua a invitare i Vescovi ad essere generosi, caritatevoli e comprensivi con i fedeli legati alla liturgia tradizionale.

Le nostre non sono idee fisse o mere opinioni, per noi si tratta di un convincimento profondo che condividiamo con tanti religiosi, tanti sacerdoti, tanti Vescovi, tanti Cardinali, con lo stesso Papa. Se questo per Lei non significa niente, non potrà certo dire che è colpa nostra!

A questo punto dobbiamo confessarLe, egregio signore, che abbiamo il sospetto che Lei sia un prete, uno di quei preti che si nasconde, si vergogna di dirlo. Uno di quelli che è orgoglioso di mostrarsi come un uomo qualsiasi, uno di quelli che non ha il coraggio di essere fedele alla sua ordinazione sacerdotale. Può darsi che ci sbagliamo! Dio lo voglia.

Se cosí non fosse e se Lei è un semplice fedele, prima di dire a se stesso e a noi che sbagliamo, vada dal suo parroco e chieda a lui che cosa significa dedicare tutta la propria vita al Signore. Se il suo parroco Le dirà che significa mettersi al servizio dei fratelli, dimenticando di dirgli che innanzi tutto significa mettersi al servizio di Dio anche dispiacendo a certi fratelli troppo preoccupati di capire tutto, anche l’incomprensibile: si faccia spiegare perché si è fatto prete e non si è semplicemente iscritto ad una società filantropica… e poi ne riparliamo! Non ce ne voglia per la nostra limitatezza e per i nostri errori: non tutti siamo delle cime! Cordiali e fraterni saluti in nomine Domini!

IMUV - Tratto da Unavox.it

 
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