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Conversi ad Dominum: provare a spiegare una conversione! PDF Stampa E-mail

Conversi ad Dominum: provare a spiegare una conversione! Provare a spiegare una conversione è un po’ mettersi a nudo, offrire agli altri con parole comprensibili un mistero ineffabile: la chiamata, la proposta e la risposta; si tratta di un’iniziativa divina, cui l’ uomo può aderire con fede o da cui può sottrarsi con la superbia e il libero arbitrio. Nella conversione c’è prima di tutto un cambiamento di prospettiva: ci si volge in una direzione che forse inconsciamente si rifiutava (è il caso di chi, dopo anni di apostasia, recupera la fede) o ci si imbatte per la prima volta in una realtà soprannaturale di cui si ignorava l’esistenza (è il caso delle conversioni vere e proprie). Tra i frutti di questa esperienza vi è prima di tutto il mutamento. Chi scopre Dio, chi lo ama diventa altro da sé, da ciò che era; vi è un mutamento radicale, un mutare e un ammutolire. L’incontro con Dio avviene nel silenzio, nella quiete, nell’affrancarsi da tutto ciò che è quotidiano, ordinario; Dio è straordinario.

San Tommaso, grande genio filosofico e teologico, ha parlato del male, che non ha consistenza ontologica, come “privazione di bene”; ci appare chiaro come chi non conosca Dio, chi non abbia una relazione di “amicizia” con Dio, sia una persona manchevole non di un bene qualsiasi, ma del Sommo Bene.

L’uomo convertito rinuncia al male morale e sceglie il bene, lo desidera “come un cervo anela ai corsi d’acqua”; non solo: riesce a dare un senso a ciò che prima sfuggiva alla sua comprensione, allo scandalo del male, permesso – non voluto! – da Dio in vista di un bene maggiore.

E riesce ad accettare con dignità le sofferenze fisiche e morali, figlie della superbia dei progenitori e di quel peccato che aprì le porte dell’ inferno e della morte, offrendole a Dio in comunione spirituale col sacrificio di Gesù Cristo, che ha vinto la morte e il peccato, infondendo a quanti lo amano e lo seguono la speranza di esserGli accanto dopo il transito di questa vita terrena. Non è semplice condividere con gli altri, soprattutto con chi non ha il dono della fede, un’esperienza trasformante come quella della conversione; ma raccontare e raccontarsi significa raccogliere la sfida di san Pietro ad essere “sempre pronti a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi” (1Pt 3,15).

Ho usato la parola chiamata perché ogni conversione è frutto di una vocazione, in cui Dio parla continuamente all’uomo, anche quando ci sembra di non sentire la Sua voce. C’è una chiamata iniziale, un annuncio, cui segue una libera adesione o un rifiuto dell’uomo; ma c’è anche un movimento interiore che agisce progressivamente in noi, chiamandoci quotidianamente a scegliere il bene e a realizzarci come uomini, secondo la volontà del Padre. Ciascuno ha la sua vocazione, un progetto di Dio per noi; essa infatti non riguarda solo i sacerdoti o i religiosi, ma tutto il popolo di Dio, cui Egli non manca di mostrare, nella sua infinita sapienza, i Suoi disegni. Nella preghiera chiediamo al Signore di mostrarci il Suo volto, che potremmo contemplare, qualora giudicati degni, solamente in Paradiso.

L’uomo convertito, tabernacolo del Paraclito, però, già vive una relazione d’amore con Dio, ne ha sentito la voce nel suo cuore e ad essa non può rinunciare: Lo strinsi fortemente e non lo lascerò (Cantico dei Cantici, 3, 4). Nello stesso libro si legge: “Tu mi hai rapito il cuore con un solo tuo sguardo”; noi sappiamo che non è possibile vedere Dio senza morire; per conseguenza, per vederLo, l’uomo convertito riceve il dono di occhi nuovi e con essi si volge al suo diletto. Non solo gli occhi ma tutta la persona è rinnovata. Preghiamo allora il Signore col salmista: "Doce me facere voluntatem tuam" (Ps 142,10), affinché si compia in noi, con l’ausilio della grazia divina, nella comunione dei Santi e con l’intercessione di Maria Santissima, la Volontà del Padre e il suo disegno di salvezza per noi. Sia lodato Gesù Cristo!

di Raimondo Mameli

 
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