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La Messa non è finita! Il Vetus e il Novus Ordo nell’unica Messa sempre valida! PDF Print E-mail
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La Messa non è finita! Il Vetus e il Novus Ordo nell’unica Messa sempre valida!

Viviamo nell’epoca degli slogan e di grande confusione, agli slogan si attribuiscono niente meno che verità dottrinali che spesse volte, però, non sono affatto conosciute da chi li grida o li pronuncia! In ambiente fondamentalista cattolico, per esempio, per accusare il Novus Ordo Missae il dire “La Messa è finita” si intende proprio in senso dispregiativo come a voler dire appunto: è finita! Così come ci sono altri tipi di fondamentalisti (modernisti) i quali accusano ingiustamente il Rito san Pio V per dire che la Messa “ERA” finita… In verità la frase “La Messa è finita”, nella sua originale composizione, non ha mai voluto intendere il concetto di “fine” bensì è un segno di congedo, di dimissione per iniziare la propria testimonianza, avviare la missione. Il termine stesso "Messa",  deriva dalla locuzione finale "ite, missa est", ossia "andate, atto di congedare = dimissione",  che col tempo ha assunto il significato, non propriamente corretto, di "la messa è finita" per indicare la fine della celebrazione.

La parola "messa"  nasce, dunque, come atto di "dimettere" è vero, ma si usava per i catecumeni e i penitenti i quali, come suggerito dalla stessa Didachè, non essendo ancora Battezzati (e i penitenti dovevano scontare la loro penitenza) non prendevano parte all'Eucarestia e dunque venivano congedati, dimessi prima della celebrazione Eucaristica, dopo la lettura delle Scritture. Con il tempo, e siamo già circa al III sec. si perfeziona "ite missa est", ossia dal "rendimento di grazie (gr. eukaristein) che avete ricevuto, l'assemblea è sciolta, è dimessa, per portare Cristo nel mondo" .

Così la spiega Benedetto XVI nella Sacramentum Caritatis:

Il congedo: « Ite, missa est »

51. Infine, vorrei soffermarmi su quanto i Padri sinodali hanno detto circa il saluto di congedo al termine della Celebrazione eucaristica. Dopo la benedizione, il diacono o il sacerdote congeda il popolo con le parole: Ite, missa est. In questo saluto ci è dato di cogliere il rapporto tra la Messa celebrata e la missione cristiana nel mondo. Nell'antichità « missa » significava semplicemente « dimissione ». Tuttavia essa ha trovato nell'uso cristiano un significato sempre più profondo. L'espressione « dimissione », in realtà, si trasforma in « missione ». Questo saluto esprime sinteticamente la natura missionaria della Chiesa. Pertanto, è bene aiutare il Popolo di Dio ad approfondire questa dimensione costitutiva della vita ecclesiale, traendone spunto dalla liturgia. In questa prospettiva può essere utile disporre di testi, opportunamente approvati, per l'orazione sul popolo e la benedizione finale che esplicitino tale legame.(154)

***

Il termine "Eucaristia", tanto per restare in campo storico e culturale, designava quindi tre realtà:
la "conoscenza delle Scritture mediante l'ascolto della Parola";
la "condivisione delle offerte che i fedeli portavano o in danari o in vestiario o in cibo";
la "comunione" con  la preghiera eucaristica (altrimenti detta Canone).
La Messa, appunto, che si faceva la Domenica, ogni Domenica, mentre i presbiteri la facevano più volte durante la settimana,  insieme al vescovo a seconda delle necessità.
Presto la preghiera eucaristica, a partire all'incirca da Tertulliano (II sec.), verrà chiamata "sacrificiorum orationes", preghiere del/i sacrificio/i, ciò che poi venne chiamato “Canone”.

Vale la pena ora leggere come insegna la Chiesa attraverso il noto Catechismo:

IV. La celebrazione liturgica dell'Eucaristia
La Messa lungo i secoli

1345 Fin dal secondo secolo, abbiamo la testimonianza di san Giustino martire riguardo alle linee fondamentali dello svolgimento della celebrazione eucaristica. Esse sono rimaste invariate fino ai nostri giorni in tutte le grandi famiglie liturgiche.
Ecco ciò che egli scrive, verso il 155, per spiegare all'imperatore pagano Antonino Pio (138-161) ciò che fanno i cristiani:
« Nel giorno chiamato del sole ci si raduna tutti insieme, abitanti delle città o delle campagne.
Si leggono le memorie degli Apostoli o gli scritti dei profeti, finché il tempo consente.
Poi quando il lettore ha terminato, il preposto con un discorso ci ammonisce ed esorta ad imitare questi
buoni esempi.
Poi tutti insieme ci alziamo in piedi ed innalziamo preghiere » 173 « sia per noi stessi [...] sia per tutti gli altri, dovunque si trovino, affinché, appresa la verità, meritiamo di essere nei fatti buoni cittadini e fedeli custodi dei precetti, e di conseguire la salvezza eterna.
Finite le preghiere, ci salutiamo l'un l'altro con un bacio.
Poi al preposto dei fratelli vengono portati un pane e una coppa d'acqua e di vino temperato.
Egli li prende ed innalza lode e gloria al Padre dell'universo nel nome del Figlio e dello Spirito Santo, e fa un rendimento di grazie, per essere stati fatti degni da lui di questi doni.
Quando egli ha terminato le preghiere ed il rendimento di grazie, tutto il popolo presente acclama: Amen.
Dopo che il preposto ha fatto il rendimento di grazie e tutto il popolo ha acclamato, quelli che noi chiamiamo diaconi distribuiscono a ciascuno dei presenti il pane, il vino e l'acqua "eucaristizzati" e ne portano agli assenti ». 174

1346 La liturgia dell'Eucaristia si svolge secondo una struttura fondamentale che, attraverso i secoli, si è conservata fino a noi. Essa si articola in due grandi momenti, che formano un'unità originaria:
— la convocazione, la liturgia della Parola, con le letture, l'omelia e la preghiera universale;
— la liturgia eucaristica, con la presentazione del pane e del vino, l'azione di grazie consacratoria e la Comunione.
Liturgia della Parola e liturgia eucaristica costituiscono insieme « un solo atto di culto »; 175 la mensa preparata per noi nell'Eucaristia è infatti ad un tempo quella della Parola di Dio e quella del Corpo del Signore. 176

1347 Non si è forse svolta in questo modo la Cena pasquale di Gesù risorto con i suoi discepoli? Lungo il cammino spiegò loro le Scritture, poi, messosi a tavola con loro, « prese il pane, disse la benedizione, lo spezzò e lo diede loro » (Lc 24,30). 177

Lo svolgimento della celebrazione

1348 Tutti si riuniscono. I cristiani accorrono in uno stesso luogo per l'assemblea eucaristica. Li precede Cristo stesso, che è il protagonista principale dell'Eucaristia. È il Sommo Sacerdote della Nuova Alleanza. È lui stesso che presiede in modo invisibile ogni celebrazione eucaristica. Proprio in quanto lo rappresenta, il Vescovo o il presbitero (agendo in persona Christi Capitis – nella persona di Cristo Capo) presiede l'assemblea, prende la parola dopo le letture, riceve le offerte e proclama la preghiera eucaristica. Tutti hanno la loro parte attiva nella celebrazione, ciascuno a suo modo: i lettori, coloro che presentano le offerte, coloro che distribuiscono la Comunione, e il popolo intero che manifesta la propria partecipazione attraverso l'Amen.

1349 La liturgia della Parola comprende « gli scritti dei profeti », cioè l'Antico Testamento, e « le memorie degli Apostoli », ossia le loro lettere e i Vangeli; all'omelia, che esorta ad accogliere questa parola come è veramente, quale Parola di Dio 178 e a metterla in pratica, seguono le intercessioni per tutti gli uomini, secondo la parola dell'Apostolo: « Raccomando dunque, prima di tutto, che si facciano domande, suppliche, preghiere e ringraziamenti per tutti gli uomini, per i re e per tutti quelli che stanno al potere » (1 Tm 2,1-2).

1350 La presentazione dei doni (l'offertorio): vengono recati poi all'altare, talvolta in processione, il pane e il vino che saranno offerti dal sacerdote in nome di Cristo nel sacrificio eucaristico, nel quale diventeranno il suo Corpo e il suo Sangue. È il gesto stesso di Cristo nell'ultima Cena, « quando prese il pane e il calice ». « Soltanto la Chiesa può offrire al Creatore questa oblazione pura, offrendogli con rendimento di grazie ciò che proviene dalla sua creazione ». 179 La presentazione dei doni all'altare assume il gesto di Melchisedek e pone i doni del Creatore nelle mani di Cristo. È lui che, nel proprio sacrificio, porta alla perfezione tutti i tentativi umani di offrire sacrifici.

1351 Fin dai primi tempi, i cristiani, insieme con il pane e con il vino per l'Eucaristia, presentano i loro doni perché siano condivisi con coloro che si trovano in necessità. Questa consuetudine della colletta, 180 sempre attuale, trae ispirazione dall'esempio di Cristo che si è fatto povero per arricchire noi: 181
« I facoltosi e quelli che lo desiderano, danno liberamente ciascuno quello che vuole, e ciò che si raccoglie viene depositato presso il preposto. Questi soccorre gli orfani, le vedove, e chi è indigente per malattia o per qualche altra causa; e i carcerati e gli stranieri che si trovano presso di noi: insomma, si prende cura di chiunque sia nel bisogno ». 182
1352 L'anafora. Con la preghiera eucaristica, preghiera di rendimento di grazie e di consacrazione, arriviamo al cuore e al culmine della celebrazione:

Nel prefazio la Chiesa rende grazie al Padre, per mezzo di Cristo, nello Spirito Santo, per tutte le sue opere, per la creazione, la redenzione e la santificazione. In questo modo l'intera comunità si unisce alla lode incessante che la Chiesa celeste, gli angeli e tutti i santi cantano al Dio tre volte Santo.

1353 Nell'epiclesi essa prega il Padre di mandare il suo Santo Spirito (o la potenza della sua benedizione 183) sul pane e sul vino, affinché diventino, per la sua potenza, il Corpo e il Sangue di Gesù Cristo e perché coloro che partecipano all'Eucaristia siano un solo corpo e un solo spirito (alcune tradizioni liturgiche situano l'epiclesi dopo l'anamnesi).

Nel racconto dell'istituzione l'efficacia delle parole e dell'azione di Cristo, e la potenza dello Spirito Santo, rendono sacramentalmente presenti sotto le specie del pane e del vino il suo Corpo e il suo Sangue, il suo sacrificio offerto sulla croce una volta per tutte.

1354 Nell'anamnesi che segue, la Chiesa fa memoria della passione, della risurrezione e del ritorno glorioso di Gesù Cristo; essa presenta al Padre l'offerta di suo Figlio che ci riconcilia con lui.

Nelle intercessioni, la Chiesa manifesta che l'Eucaristia viene celebrata in comunione con tutta la Chiesa del cielo e della terra, dei vivi e dei defunti, e nella comunione con i Pastori della Chiesa, il Papa, il Vescovo della diocesi, il suo presbiterio e i suoi diaconi, e tutti i Vescovi del mondo con le loro Chiese.

1355 Nella Comunione, preceduta dalla preghiera del Signore e dalla frazione del pane, i fedeli ricevono « il pane del cielo » e « il calice della salvezza », il Corpo e il Sangue di Cristo che si è dato « per la vita del mondo » (Gv 6,51).
Poiché questo pane e questo vino sono stati « eucaristizzati », 184 come tradizionalmente si dice, « questo cibo è chiamato da noi Eucaristia, e a nessuno è lecito parteciparne, se non a chi crede che i nostri insegnamenti sono veri, si è purificato con il lavacro per la remissione dei peccati e la rigenerazione, e vive così come Cristo ha insegnato ». 185
 
***

La Messa dunque….non è mai finita, tanto meno può dirsi “finita” a causa  delle varie Riforme che si sono succedute nel tempo poiché sempre la Chiesa, che è Mater et Magistra e cammina con i tempi, è in continua riforma. Disse così Giovanni Paolo II:
La Liturgia e la vita sono realtà indissociabili. Una Liturgia che non avesse un riflesso nella vita diventerebbe vuota e certamente non gradita a Dio.
3. La celebrazione liturgica è un atto della virtù di religione che, coerentemente con la sua natura, deve caratterizzarsi per un profondo senso del sacro. In essa l’uomo e la comunità devono essere consapevoli di trovarsi in modo speciale dinanzi a Colui che è tre volte santo e trascendente. Di conseguenza l’atteggiamento richiesto non può che essere permeato dalla riverenza e dal senso dello stupore che scaturisce dal sapersi alla presenza della maestà di Dio. Non voleva forse esprimere questo Dio nel comandare a Mosè di togliersi i sandali dinanzi al roveto ardente? Non nasceva forse da questa consapevolezza l’atteggiamento di Mosè e di Elia, che non osarono guardare Iddio facie ad faciem?
Il Popolo di Dio  ha bisogno di vedere nei sacerdoti e nei diaconi un comportamento pieno di riverenza e di dignità, capace di aiutarlo a penetrare le cose invisibili, anche senza tante parole e spiegazioni. Nel Messale Romano, detto di San Pio V, come in diverse Liturgie orientali, vi sono bellissime preghiere con le quali il sacerdote esprime il più profondo senso di umiltà e di riverenza di fronte ai santi misteri: esse rivelano la sostanza stessa di qualsiasi Liturgia.
La celebrazione liturgica presieduta dal sacerdote è un’assemblea orante, radunata nella fede e attenta alla Parola di Dio. Essa ha come scopo primario quello di presentare alla divina Maestà il Sacrificio vivo, puro e santo, offerto sul Calvario una volta per sempre dal Signore Gesù, che si fa presente ogni volta che la Chiesa celebra la Santa Messa per esprimere il culto dovuto a Dio in spirito e verità.
«MESSAGGIO»  di Sua Santità Giovanni Paolo II all’Assemblea Plenaria della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti (21 settembre 2001)

Sant’Alfonso Maria de Liguori, il quale non potrà essere associato di certo ad una scelta tra il Vetus e il Novus Ordo, ebbe a scrivere ai sacerdoti sciatti quanto segue:

LA MESSA STRAPAZZATA

<< Non mai alcun sacerdote dirà la messa colla divozione dovuta, se non ha la stima che merita un tanto sacrificio. È certo che non può un uomo fare un'azione più sublime e più santa, che celebrare una messa: Nullum aliud opus, dice il concilio di Trento, adeo sanctum a Christi fidelibus tractari posse, quam hoc tremendum mysterium1. Dio stesso non può fare che vi sia nel mondo un'azione più grande, che del celebrarsi una messa.
 Tutti i sacrificj antichi, con cui fu tanto onorato Iddio, non furono che un'ombra e figura del nostro sacrificio dell'altare. Tutti gli onori che han dati giammai e daranno a Dio gli angeli co' loro ossequj, e gli uomini colle loro opere, penitenze e martiri, non han potuto né potranno giungere a dar tanta gloria al Signore, quanta glie ne dà una sola messa; mentre tutti gli onori delle creature sono onori finiti; ma l'onore che riceve Iddio nel sacrificio dell'altare, venendogli ivi offerta una vittima d'infinito valore, è un onore infinito. La messa dunque è un'azione che reca a Dio il maggior onore che può darsegli: è l'opera che più abbatte le forze dell'inferno; che apporta maggior suffragio all'anime del purgatorio; che maggiormente placa l'ira divina contro i peccatori, e che apporta maggior bene agli uomini in questa terra.>>

Non è mai finita la Messa, piuttosto sono venute meno certe “regole” (le famose NORME Ecclesiali) non perché “qualcuno” le abbia tolte, ma semplicemente perché “qualcuno” ha pensato bene (magari anche in buona fede, ma illudendosi) di usare la propria creatività per cercare di rendere SVELABILE IL MISTERO DELLA MESSA…. Si! La Messa contiene un MISTERO che NON è possibile svelare, non perché non lo si voglia  svelare, ma perché è impossibile essendo l’Eucarestia non solo il Mistero dei Misteri, ma anche il prodigio più grande, unico e soprattutto che si perpetua per mezzo delle parole e della promessa di Gesù nostro Signore! Se la Messa fosse spiegabile fin dentro il mistero che la compone, allora non sarebbe più un dono di Dio, ma bensì una CREAZIONE umana, infatti ciò che l’uomo crea ed inventa può e deve essere spiegabile, al contrario ciò che riguarda Dio è la ragione stessa che conduce ad ACCOGLIERE IL MISTERO stesso di questo rapporto fra il mondo materiale e quello soprannaturale….

Dice san Paolo nella 1Cor. 13

9 La nostra conoscenza è imperfetta e imperfetta la nostra profezia. 10 Ma quando verrà ciò che è perfetto, quello che è imperfetto scomparirà. 11 Quand'ero bambino, parlavo da bambino, pensavo da bambino, ragionavo da bambino. Ma, divenuto uomo, ciò che era da bambino l'ho abbandonato. 12 Ora vediamo come in uno specchio, in maniera confusa; ma allora vedremo a faccia a faccia. Ora conosco in modo imperfetto, ma allora conoscerò perfettamente, come anch'io sono conosciuto.
13 Queste dunque le tre cose che rimangono: la fede, la speranza e la carità; ma di tutte più grande è la carità!

E poco prima, al capitolo 4 della medesima Lettera, san Paolo dice:
1 Ognuno ci consideri come ministri di Cristo e amministratori dei misteri di Dio. 2 Ora, quanto si richiede negli amministratori è che ognuno risulti fedele.

Dunque vi è una richiesta indiscutibile: “ognuno risulti fede”  e di considerare gli Apostoli “Ministri di Cristo e amministratori dei MISTERI di Dio”….
La Messa è pertanto è quell’Ufficio Divino e Sacro nella quale sono contenuti i misteri e il Mistero per eccellenza, per questo la Messa NON, in tema dottrinale, può essere fatta oggetto di modifiche da nessuno, neppure dal Papa, diverso è parlare di Riforma per rendere la MEDESIMA DOTTRINA che si è ricevuta, più comprensibile.

Dice infatti la Sacrosanctum Concilium:
L'ordinamento liturgico compete alla gerarchia

22.
1. Regolare la sacra liturgia compete unicamente all'autorità della Chiesa, la quale risiede nella Sede apostolica e, a norma del diritto, nel vescovo.
2. In base ai poteri concessi dal diritto, regolare la liturgia spetta, entro limiti determinati, anche alle competenti assemblee episcopali territoriali di vario genere legittimamente costituite.
3. Di conseguenza assolutamente nessun altro, anche se sacerdote, osi, di sua iniziativa, aggiungere, togliere o mutare alcunché in materia liturgica.

Dice infatti ancora san Paolo:

"Ogni volta che mangiate di questo pane e bevete di questo calice, voi annunziate la morte del Signore finché egli venga. Ciascuno, pertanto - ammonisce Paolo - esamini se stesso e poi mangi di questo pane e beva di questo calice; perché chi mangia e beve senza riconoscere il corpo del Signore, mangia e beve la propria condanna" (1Cor 11,26. 28-29). Però chi riconosce il corpo del Signore, questo Corpo… sarà a sua volta riconosciuto dal Signore come suo amico, e come tale sarà presentato al Padre che saprà onorarlo come a Lui conviene. Così come se colui che riconoscendo questo Corpo lo prenderà in modo INDEGNO, ne subirà le conseguenze perché Dio se è vero che è misericordioso è anche vero che è giusto Giudice e per questo ci ha donato con l’Eucarestia il Sacramento della RICONCILIAZIONE…
 
Tito 1:5-6
5 Per questo ti ho lasciato a Creta perché regolassi ciò che rimane da fare e perché stabilissi presbiteri in ogni città, secondo le istruzioni che ti ho dato

…la Messa non è mai finita…. Né “era” finita come dicono coloro che hanno creduto, illudendosi, di di SVELARE LA MESSA per tentare di”comprenderla” meglio…. Non era questa l’intenzione del Concilio! Vaticano II quando si parlò di “Riforma”.
Il Concilio cercò solamente di rendere la Messa più “partecipativa”  ossia, aiutare i fedeli a ritrovarsi in quella offerta unitamente al Sacrificio di Cristo per mezzo del Presbitero, nulla di più.

Scrive così Benedetto XVI nel MP Summorum Pontificum nella Lettera ai Vescovi che lo accompagna:

<< Al riguardo bisogna innanzitutto dire che il Messale, pubblicato da Paolo VI e poi riedito in due ulteriori edizioni da Giovanni Paolo II, ovviamente è e rimane la forma normale – la forma ordinaria – della Liturgia Eucaristica. L’ultima stesura del Missale Romanum, anteriore al Concilio, che è stata pubblicata con l’autorità di Papa Giovanni XXIII nel 1962 e utilizzata durante il Concilio, potrà, invece, essere usata come forma extraordinaria della Celebrazione liturgica. Non è appropriato parlare di queste due stesure del Messale Romano come se fossero "due Riti". Si tratta, piuttosto, di un uso duplice dell’unico e medesimo Rito.

Quanto all’uso del Messale del 1962, come forma extraordinaria della Liturgia della Messa, vorrei attirare l’attenzione sul fatto che questo Messale non fu mai giuridicamente abrogato e, di conseguenza, in linea di principio, restò sempre permesso. Al momento dell’introduzione del nuovo Messale, non è sembrato necessario di emanare norme proprie per l’uso possibile del Messale anteriore. Probabilmente si è supposto che si sarebbe trattato di pochi casi singoli che si sarebbero risolti, caso per caso, sul posto. Dopo, però, si è presto dimostrato che non pochi rimanevano fortemente legati a questo uso del Rito romano che, fin dall’infanzia, era per loro diventato familiare. Ciò avvenne, innanzitutto, nei Paesi in cui il movimento liturgico aveva donato a molte persone una cospicua formazione liturgica e una profonda, intima familiarità con la forma anteriore della Celebrazione liturgica.
 
Tutti sappiamo che, nel movimento guidato dall’Arcivescovo Lefebvre, la fedeltà al Messale antico divenne un contrassegno esterno; le ragioni di questa spaccatura, che qui nasceva, si trovavano però più in profondità. Molte persone, che accettavano chiaramente il carattere vincolante del Concilio Vaticano II e che erano fedeli al Papa e ai Vescovi, desideravano tuttavia anche ritrovare la forma, a loro cara, della sacra Liturgia; questo avvenne anzitutto perché in molti luoghi non si celebrava in modo fedele alle prescrizioni del nuovo Messale, ma esso addirittura veniva inteso come un’autorizzazione o perfino come un obbligo alla creatività, la quale portò spesso a deformazioni della Liturgia al limite del sopportabile. Parlo per esperienza, perché ho vissuto anch’io quel periodo con tutte le sue attese e confusioni. E ho visto quanto profondamente siano state ferite, dalle deformazioni arbitrarie della Liturgia, persone che erano totalmente radicate nella fede della Chiesa.>>

Benedetto XVI dice: Parlo per esperienza, perché ho vissuto anch’io quel periodo … E ho visto quanto profondamente siano state ferite, dalle deformazioni arbitrarie della Liturgia, persone che erano totalmente radicate nella fede della Chiesa ….. molti di noi possono dire queste  frasi, usare la medesima espressione, molti l’hanno detto ma venivano “messi da parte” venivano guardati male, definiti con disprezzo “lefebvriani-tradizionalisti” … a questo stillicidio si associa appunto lo slogan “ma quella Messa ERA FINITA, era superata, era vecchia….” Oggi altri dicono, perché erroneamente si soffermano sulle deformazioni e creatività sottolineate dal Papa, “la Messa è finita” scuotendo il capo in senso di profondo dolore…
Nell’uno né l’altro, la Messa è più viva che mai e Benedetto XVI ce lo sta dimostrando!
Inoltre è in uscita  il libro di mons. Nicola Bux (di recente nominato dal Santo Padre nel gruppo che si occupa delle Cerimonie Liturgiche del Pontefice con a capo mons. Guido Marini) “La Riforma di Benedetto XVI” ,  - quello che papa Ratzinger vuol fare nella sua paziente opera di riforma è rinnovare la vita del cristiano – i gesti, le parole, il tempo del quotidiano – restaurando nella liturgia un sapiente equilibrio tra innovazione e tradizione. Facendo con ciò emergere l’immagine di una Chiesa sempre in cammino, capace di riflettere su se stessa e di valorizzare i tesori di cui è ricco il suo scrigno millenario - .

La Messa non è dunque finita, ma è un congedo da ciò che abbiamo appreso per mezzo della Parola udita e da ciò che abbiamo preso, attraverso la Santa Eucarestia, per portarlo nel mondo, per viverlo noi stessi e donarlo a nostra volta al nostro Prossimo.

 È tradizione che Beith-el , la casa di Dio, la pietra eretta da Giacobbe (cf Gen 28,17-19), sia divenuta Beith-lehem, la casa del pane, Betlemme. Per la nascita del Messia, la casa di pietra è trasformata in casa del pane (e del pane eucaristico), non di un pane materiale ma spirituale; e questo contro il tentatore di ogni tempo. Gesù non si rifiutò di moltiplicare il pane materiale, però respinse sempre, senza esitazione, ogni tentativo di trasformare la comunità dei credenti in una società di beneficenza, e non era questa la sua intenzione quando istituì l’Eucarestia ampiamente spiegata in Giovanni cap.6; Gesù spezzò il pane, perché egli per primo si lasciò spezzare dalla nostra miseria. Si legge (una citazione del Vangelo tra le molte possibili) che, "essendoci molta folla che non aveva da mangiare, Gesù chiamò a sé i discepoli e disse loro: "Sento compassione di questa folla, perché già da tre giorni mi sta dietro e non ha da mangiare. Se li rimando digiuni alle proprie case, verranno meno per via; e alcuni di loro vengono da lontano"" (Mc 8,1-3). È questa compassione, vera partecipazione alla nostra sofferenza, che gli fa moltiplicare il pane e diventa LUI stesso NUTRIMENTO nell’Eucarestia. Si direbbe che per spezzare il pane, secondo lo stile e lo spirito di Gesù, è necessario lasciarsi prima spezzare il cuore da chi è nell'indigenza, ossia, provare anche noi quella com-passione che spinse Gesù a diventare EUCARESTIA=GRAZIA per noi.

La Messa è perciò la PARTECIPAZIONE di questa folla per la quale Gesù prova com-passione.

La Riforma in sé, dunque, non ha modificato affatto l’assetto della Messa, è stata piuttosto la sua applicazione (come appunto denuncia spesso lo stesso Pontefice e Giovanni Paolo II prima di lui nella Ecclesia de Eucharestia) a spezzare con la Tradizione, lasciandosi andare alla creatività, all’abusivismo, alla disobbedienza delle Norme e peggio ancora, per tentare di SPIEGARE IL MISTERO CONTENUTO NELLA MESSA: Ciascuno, pertanto - ammonisce Paolo - esamini se stesso e poi mangi di questo pane e beva di questo calice; perché chi mangia e beve senza riconoscere il corpo del Signore, mangia e beve la propria condanna" (1Cor 11,26. 28-29).

Riconoscere questo “Corpo” non significa “svelarlo” o modificare l’essenza della Messa per renderla più “comprensibile”, San Tommaso d’Aquino, il cantore dell’Eucarestia parla di FEDE: l’Eucarestia può essere capita e “vista” solo attraverso l’umiltà e la fede anzi, dice il Dottore angelico, l’Eucarestia sviluppa il settimo senso, quello della FEDE, quello del soprannaturale e non a caso il Vetus Ordo Miassae che si è sempre celebrato, ha sempre generato Santi e Sante, Dottori, e Martiri, Beati ed ha sempre dato la spinta a molte persone di dare origine a fondazioni di opere di Carità, sostegno ai poveri, alle vedove e a gli orfani. Non a caso l’epoca in cui si perfezionò e si affermò il Rito detto san Pio V, fu una delle epoche più ricche e rigogliose di vita devota, sia religiosa quanto laica. Questo non vuol dire che il Novus Ordo non abbia portato o non porti frutti di santità, al contrario, anch’esso proprio perché non proviene da una invenzione umana ma semplicemente da una Riforma, tale Novus Ordo è indissolubile dal Vetus, sono entrambi inseparabili dalla Messa.
Dice giustamente Benedetto XVI nella Lettera che accompagna il Summorum Pontificum:
<< Non è appropriato parlare di queste due stesure del Messale Romano come se fossero "due Riti". Si tratta, piuttosto, di un uso duplice dell’unico e medesimo Rito.>>

Così ci ricorda sant’Ambrogio quando, nel commento al Padre nostro, applica all’Eucaristia la richiesta "Dacci oggi il nostro pane quotidiano": "Se il pane è quotidiano, perché lo riceveresti dopo un anno...? Ricevi ogni giorno ciò che ti deve giovare ogni giorno! Vivi in modo tale da meritare di riceverlo ogni giorno. Chi non merita di riceverlo ogni giorno, neppure merita di riceverlo dopo un anno... Dunque, tu senti dire che ogni volta che viene offerto il sacrificio, viene annunziata tramite segno la morte del Signore, la risurrezione del Signore, l’ascensione del Signore e la remissione dei peccati; e poi non ricevi ogni giorno questo pane di vita? Chi ha una ferita, cerca la medicina. La ferita è che siamo sotto il peccato; la medicina è il celeste e venerabile sacramento" (De sacramentis 5,25).

Riguardo dunque agli abusi  di coloro che strumentalizzando la Riforma modificando la Messa, dandogli significati interrotti dalla Tradizione ed inseriti in una nuova tradizione come ad esempio le catechesi sulla Messa del Cammino Neocatecumenale (un esempio fra i tanti perché è l’unico gruppo cattolico che abbia modificato la Messa a tal punto da  aver modificato anche l’assetto di alcune Chiese eliminando il Presbiterio e cambiando l’Altare… dando origine ad una nuova tradizione culturale della Messa apparecchiando l’altare in modo NUOVO E DIVERSO dalla Tradizione) nelle quali il fine e lo scopo della Messa non appartengono alla Tradizione che abbiamo ricevuto, risponde Benedetto XVI senza mezzi termini che dice nella Lettera ai Vescovi che accompagna la Summorum Pontificum:

<< La garanzia più sicura che il Messale di Paolo VI possa unire le comunità parrocchiali e venga da loro amato consiste nel celebrare con grande riverenza in conformità alle prescrizioni; ciò rende visibile la ricchezza spirituale e la profondità teologica di questo Messale.>>

…… in conformità alle prescrizioni … la Messa NON è finita, è venuta meno l’obbedienza a queste prescrizioni, si è arrivati fin anche a cambiarle abusivamente il termine con: LA CENA DEL SIGNORE per modificare la Tradizione che ci riporta invece AL SENSO DEL SACRIFICIO e non semplicemente al banchetto. Se è vero che l’uno NON esclude l’altro, anzi sono COMPLEMENTARI E INDIVISIBILI, INDISSOCIABILI, in molte catechesi non cattoliche si è data invece maggior enfasi al banchetto nascondendo il senso del Sacrificio…. si sono fatte liturgie omettendo queste prescrizioni ed inserendone di nuove, distaccandosi così (forse anche in buona fede) dalle vere intenzioni della Riforma, dando origine ad una nuova tradizione che “aiuti a spiegare meglio la Messa” … La sparizione degli inginocchiatoi ha fatto venire meno quella riverenza dovuta, tanto per fare un altro esempio….

La Messa non si “spiega” nel senso comune del termine, piuttosto per lei e in lei CI SI PIEGA …. Si può trasmettere quello che abbiamo ricevuto aiutando alla COM-PRENSIONE del Rito e dei segni, dice infatti Benedetto XVI nella Sacramentum Caritatis:

40. L'attenzione e l'obbedienza alla struttura propria del rito, mentre esprimono il riconoscimento del carattere di dono dell'Eucaristia, manifestano la volontà del ministro di accogliere con docile gratitudine tale ineffabile dono.

41. Il legame profondo tra la bellezza e la liturgia deve farci considerare con attenzione tutte le espressioni artistiche poste al servizio della celebrazione.(122) Una componente importante dell'arte sacra è certamente l'architettura delle chiese,(123) nelle quali deve risaltare l'unità tra gli elementi propri del presbiterio: altare, crocifisso, tabernacolo, ambone, sede.

Catechesi mistagogica

64. La grande tradizione liturgica della Chiesa ci insegna che, per una fruttuosa partecipazione, è necessario impegnarsi a corrispondere personalmente al mistero che viene celebrato, mediante l'offerta a Dio della propria vita, in unità con il sacrificio di Cristo per la salvezza del mondo intero. Per questo motivo, il Sinodo dei Vescovi ha raccomandato di curare nei fedeli l'intima concordanza delle disposizioni interiori con i gesti e le parole. Se questa mancasse, le nostre celebrazioni, per quanto animate, rischierebbero la deriva del ritualismo. Pertanto occorre promuovere un'educazione alla fede eucaristica che disponga i fedeli a vivere personalmente quanto viene celebrato. Di fronte all'importanza essenziale di questa participatio personale e consapevole, quali possono essere gli strumenti formativi adeguati? I Padri sinodali all'unanimità hanno indicato, al riguardo, la strada di una catechesi a carattere mistagogico, che porti i fedeli a addentrarsi sempre meglio nei misteri che vengono celebrati.(186) In particolare, per la relazione tra ars celebrandi e actuosa participatio si deve innanzitutto affermare che « la migliore catechesi sull'Eucaristia è la stessa Eucaristia ben celebrata ».(187) Per natura sua, infatti, la liturgia ha una sua efficacia pedagogica nell'introdurre i fedeli alla conoscenza del mistero celebrato. Proprio per questo, nella tradizione più antica della Chiesa il cammino formativo del cristiano, pur senza trascurare l'intelligenza sistematica dei contenuti della fede, assumeva sempre un carattere esperienziale in cui determinante era l'incontro vivo e persuasivo con Cristo annunciato da autentici testimoni. In questo senso, colui che introduce ai misteri è innanzitutto il testimone. Tale incontro certamente si approfondisce nella catechesi e trova la sua fonte e il suo culmine nella celebrazione dell'Eucaristia. Da questa struttura fondamentale dell'esperienza cristiana prende le mosse l'esigenza di un itinerario mistagogico, in cui devono sempre essere tenuti presenti tre elementi.
a) Si tratta innanzitutto della interpretazione dei riti alla luce degli eventi salvifici, in conformità con la tradizione viva della Chiesa. In effetti, la celebrazione dell'Eucaristia, nella sua infinita ricchezza, contiene continui riferimenti alla storia della salvezza. In Cristo crocifisso e risorto ci è dato di celebrare davvero il centro ricapitolatore di tutta la realtà (cfr Ef 1,10). Fin dall'inizio la comunità cristiana ha letto gli avvenimenti della vita di Gesù, ed in particolare del mistero pasquale, in relazione a tutto il percorso veterotestamentario.
b) La catechesi mistagogica si dovrà preoccupare, inoltre, di introdurre al senso dei segni contenuti nei riti. Questo compito è particolarmente urgente in un'epoca fortemente tecnicizzata come l'attuale, in cui c'è il rischio di perdere la capacità percettiva in relazione ai segni e ai simboli. Più che informare, la catechesi mistagogica dovrà risvegliare ed educare la sensibilità dei fedeli per il linguaggio dei segni e dei gesti che, uniti alla parola, costituiscono il rito.
c) Infine, la catechesi mistagogica deve preoccuparsi di mostrare il significato dei riti in relazione alla vita cristiana in tutte le sue dimensioni, di lavoro e di impegno, di pensieri e di affetti, di attività e di riposo. È parte dell'itinerario mistagogico porre in evidenza il nesso dei misteri celebrati nel rito con la responsabilità missionaria dei fedeli. In tal senso, l'esito maturo della mistagogia è la consapevolezza che la propria esistenza viene progressivamente trasformata dai santi Misteri celebrati. Scopo di tutta l'educazione cristiana, del resto, è di formare il fedele, come « uomo nuovo », ad una fede adulta, che lo renda capace di testimoniare nel proprio ambiente la speranza cristiana da cui è animato.
Per poter svolgere all'interno delle nostre comunità ecclesiali un tale compito educativo occorre avere formatori adeguatamente preparati. Certamente tutto il Popolo di Dio deve sentirsi impegnato in questa formazione. Ogni comunità cristiana è chiamata ad essere luogo di introduzione pedagogica ai misteri che si celebrano nella fede. A questo riguardo, i Padri durante il Sinodo hanno sottolineato l'opportunità di un maggior coinvolgimento delle Comunità di vita consacrata, dei movimenti e delle aggregazioni che, in forza dei loro propri carismi, possono arrecare nuovo slancio alla formazione cristiana.(188) Anche nel nostro tempo lo Spirito Santo non lesina certo l'effusione dei suoi doni per sostenere la missione apostolica della Chiesa, a cui spetta di diffondere la fede e di educarla fino alla sua maturità.(189)

Unirsi a Gesù Eucaristia
PREGHIERA DI OGNI GIORNO

O Gesù, io ti credo presente in tutte le chiese del mondo, dove t’immoli Vittima al Padre per noi, e vi rimani come nostro Cibo e nostro Ospite divino.

In questo tuo stato di offerta, Gesù, ti vedo corrisposto con tanta indifferenza e ingratitudine, che desidero risarcire con la mia riparazione di amore.

A tale scopo, Gesù, mi unisco alla tua Messa, ti ricevo nel mio cuore, e con te voglio trascorrere questo giorno inserendo le mie continue azioni nel tuo ininterrotto Sacrificio.

O Maria, con la tua ispirazione materna, previeni e accompagna tutte le mie azioni affinché, presentate sulle tue mani, siano pure e accette al momento del Sacrificio santo e immacolato del tuo Gesù.

Amen.

La Messa NON finirà dunque, fino quando resterà un Tabernacolo ed un Sacerdote legittimamente Ordinato!

Ma viene spontaneo chiederci: ci sono ancora Tabernacoli nelle nostre Chiese? E se ci sono, come vengono trattati?

Senza ripercorrere tutta la storia sul Tabernacolo che qui sarebbe lunga, concentriamoci sull’insegnamento della Chiesa che ci lega alla Tradizione.

L'Eucaristia non è solo l'Assemblea
L'Eucaristia non è solo la lettura della Parola
L'Eucaristia non è solo la Comunione
L'Eucaristia è il Sacrificio della Croce di Nostro Signore Gesù Cristo che viene reso presente e attuale sull'altare
( dal Catechismo della Chiesa Cattolica n.1362, 1364, 1366 ).

Dunque l’Eucarestia è anche ADORAZIONE, SILENZIO, MEDITAZIONE, CONTEMPLAZIONE è per tanto a nostra disposizione per essere Adorato, ascoltato, meditato, contemplato ….
E questo è possibile solo davanti al Tabernacolo o quando Gesù viene esposto in forma solenne nell’Ostensorio…. A tal proposito suggerisco di leggere le Omelie dei Pontefici (almeno recenti) durante la Processione del Corpus Domini!

Lasciamoci istruire dalle parole di Benedetto XVI tratte dalla Sacramentum Caritatis:

66. Uno dei momenti più intensi del Sinodo è stato quando ci siamo recati nella Basilica di San Pietro, insieme a tanti fedeli per l'adorazione eucaristica. Con tale gesto di preghiera, l'Assemblea dei Vescovi ha inteso richiamare l'attenzione, non solo con le parole, sull'importanza della relazione intrinseca tra Celebrazione eucaristica e adorazione. In questo significativo aspetto della fede della Chiesa si trova uno degli elementi decisivi del cammino ecclesiale, compiuto dopo il rinnovamento liturgico voluto dal Concilio Vaticano II. Mentre la riforma muoveva i primi passi, a volte l'intrinseco rapporto tra la santa Messa e l'adorazione del Ss.mo Sacramento non fu abbastanza chiaramente percepito. Un'obiezione allora diffusa prendeva spunto, ad esempio, dal rilievo secondo cui il Pane eucaristico non ci sarebbe stato dato per essere contemplato, ma per essere mangiato.
In realtà, alla luce dell'esperienza di preghiera della Chiesa, tale contrapposizione si rivelava priva di ogni fondamento. Già Agostino aveva detto: « nemo autem illam carnem manducat, nisi prius adoraverit; peccemus non adorando – Nessuno mangia questa carne senza prima adorarla; peccheremmo se non la adorassimo ».(191)
Nell'Eucaristia, infatti, il Figlio di Dio ci viene incontro e desidera unirsi a noi; l'adorazione eucaristica non è che l'ovvio sviluppo della Celebrazione eucaristica, la quale è in se stessa il più grande atto d'adorazione della Chiesa.(192) Ricevere l'Eucaristia significa porsi in atteggiamento di adorazione verso Colui che riceviamo. Proprio così e soltanto così diventiamo una cosa sola con Lui e pregustiamo in anticipo, in qualche modo, la bellezza della liturgia celeste. L'atto di adorazione al di fuori della santa Messa prolunga ed intensifica quanto s'è fatto nella Celebrazione liturgica stessa. Infatti, « soltanto nell'adorazione può maturare un'accoglienza profonda e vera. E proprio in questo atto personale di incontro col Signore matura poi anche la missione sociale che nell'Eucaristia è racchiusa e che vuole rompere le barriere non solo tra il Signore e noi, ma anche e soprattutto le barriere che ci separano gli uni dagli altri ».(193)

La pratica dell'adorazione eucaristica

67. Insieme all'Assemblea sinodale, pertanto, raccomando vivamente ai Pastori della Chiesa e al Popolo di Dio la pratica dell'adorazione eucaristica, sia personale che comunitaria.(194) A questo proposito, di grande giovamento sarà un'adeguata catechesi in cui si spieghi ai fedeli l'importanza di questo atto di culto che permette di vivere più profondamente e con maggiore frutto la stessa Celebrazione liturgica. Nel limite del possibile, poi, soprattutto nei centri più popolosi, converrà individuare chiese od oratori da riservare appositamente all'adorazione perpetua. Inoltre, raccomando che nella formazione catechistica, ed in particolare negli itinerari di preparazione alla Prima Comunione, si introducano i fanciulli al senso e alla bellezza di sostare in compagnia di Gesù, coltivando lo stupore per la sua presenza nell'Eucaristia.
Vorrei qui esprimere ammirazione e sostegno a tutti quegli Istituti di vita consacrata i cui membri dedicano una parte significativa del loro tempo all'adorazione eucaristica. In tal modo essi offrono a tutti l'esempio di persone che si lasciano plasmare dalla presenza reale del Signore. Desidero ugualmente incoraggiare quelle associazioni di fedeli, come anche le Confraternite, che assumono questa pratica come loro speciale impegno, diventando così fermento di contemplazione per tutta la Chiesa e richiamo alla centralità di Cristo per la vita dei singoli e delle comunità.

Forme di devozione eucaristica

68. Il rapporto personale che il singolo fedele instaura con Gesù, presente nell'Eucaristia, lo rimanda sempre all'insieme della comunione ecclesiale, alimentando in lui la consapevolezza della sua appartenenza al Corpo di Cristo. Per questo, oltre ad invitare i singoli fedeli a trovare personalmente del tempo da trascorrere in preghiera davanti al Sacramento dell'altare, ritengo doveroso sollecitare le stesse parrocchie e gli altri gruppi ecclesiali a promuovere momenti di adorazione comunitaria. Ovviamente, conservano tutto il loro valore le già esistenti forme di devozione eucaristica. Penso, ad esempio, alle processioni eucaristiche, soprattutto alla tradizionale processione nella solennità del Corpus Domini, alla pia pratica delle Quarant'ore, ai Congressi eucaristici locali, nazionali e internazionali, e alle altre iniziative analoghe. Opportunamente aggiornate e adattate alle circostanze diverse, tali forme di devozione meritano di essere anche oggi coltivate.(195)

Il luogo del tabernacolo nella chiesa

69. In relazione all'importanza della custodia eucaristica e dell'adorazione e riverenza nei confronti del sacramento del Sacrificio di Cristo, il Sinodo dei Vescovi si è interrogato riguardo all'adeguata collocazione del tabernacolo all'interno delle nostre chiese.(196) La sua corretta posizione, infatti, aiuta a riconoscere la presenza reale di Cristo nel Santissimo Sacramento. È necessario pertanto che il luogo in cui vengono conservate le specie eucaristiche sia facilmente individuabile, grazie anche alla lampada perenne, da chiunque entri in chiesa. A tale fine, occorre tenere conto della disposizione architettonica dell'edificio sacro: nelle chiese in cui non esiste la cappella del Santissimo Sacramento e permane l'altare maggiore con il tabernacolo, è opportuno continuare ad avvalersi di tale struttura per la conservazione ed adorazione dell'Eucaristia, evitando di collocarvi innanzi la sede del celebrante.

Nelle nuove chiese è bene predisporre la cappella del Santissimo in prossimità del presbiterio; ove ciò non sia possibile, è preferibile situare il tabernacolo nel presbiterio, in luogo sufficientemente elevato, al centro della zona absidale, oppure in altro punto ove sia ugualmente ben visibile. Tali accorgimenti concorrono a conferire dignità al tabernacolo, che deve sempre essere curato anche sotto il profilo artistico. Ovviamente è necessario tener conto di quanto afferma in proposito l'Ordinamento Generale del Messale Romano.(197) Il giudizio ultimo su questa materia spetta comunque al Vescovo diocesano.

***

Di proposito non ho voluto aggiungere, né aggiungerò nulla, alle parole del Santo Padre perché un altro danno che abbiamo fatto è stato quello di INTERPRETARE anche il Magistero Pontificio a seconda delle nostre necessità …  Come abbiamo letto, invece, le parole del Papa sono chiarissime e non necessitano di interpretazioni, tanto meno di “aggiustamenti” per giustificare magari dei personali dissensi o avvalorare personali interpretazioni liturgiche.
Una cosa va spiegata invece:
quando il Papa dice “spetta al Vescovo diocesano” è ovvio che anche il Vescovo deve attenersi all’obbedienza delle Norme stabilite dalla Chiesa, ossia, in queste decisioni che spetta Lui prendere, non sono contemplate iniziative che non sono in comunione con TUTTA la Chiesa.
Le stesse “concessioni” che un Vescovo diocesano può dare in determinati casi, devono tenere conto della Tradizione ed in comunione con la Sede Apostolica.

Infine diamo uno sguardo al PRECETTO DELLA DOMENICA…. Sempre attraverso la Sacramentum Caritatis

« Iuxta dominicam viventes » – Vivere secondo la domenica

72. Questa radicale novità che l'Eucaristia introduce nella vita dell'uomo si è rivelata alla coscienza cristiana fin dall'inizio. I fedeli hanno subito percepito il profondo influsso che la Celebrazione eucaristica esercitava sullo stile della loro vita. Sant'Ignazio di Antiochia esprimeva questa verità qualificando i cristiani come « coloro che sono giunti alla nuova speranza », e li presentava come coloro che vivono « secondo la domenica » (iuxta dominicam viventes).(204) Questa formula del grande martire antiocheno mette chiaramente in luce il nesso tra la realtà eucaristica e l'esistenza cristiana nella sua quotidianità. La consuetudine caratteristica dei cristiani di riunirsi nel primo giorno dopo il sabato per celebrare la risurrezione di Cristo – secondo il racconto di san Giustino martire(205) – è anche il dato che definisce la forma dell'esistenza rinnovata dall'incontro con Cristo. La formula di sant'Ignazio – « Vivere secondo la domenica » – sottolinea pure il valore paradigmatico che questo giorno santo possiede per ogni altro giorno della settimana. Esso, infatti, non si distingue in base alla semplice sospensione delle attività solite, come una sorta di parentesi all'interno del ritmo usuale dei giorni. I cristiani hanno sempre sentito questo giorno come il primo della settimana, perché in esso si fa memoria della radicale novità portata da Cristo. Pertanto, la domenica è il giorno in cui il cristiano ritrova quella forma eucaristica della sua esistenza secondo la quale è chiamato a vivere costantemente. « Vivere secondo la domenica » vuol dire vivere nella consapevolezza della liberazione portata da Cristo e svolgere la propria esistenza come offerta di se stessi a Dio, perché la sua vittoria si manifesti pienamente a tutti gli uomini attraverso una condotta intimamente rinnovata.

Vivere il precetto festivo

73. I Padri sinodali, consapevoli di questo principio nuovo di vita che l'Eucaristia pone nel cristiano, hanno ribadito l'importanza per tutti i fedeli del precetto domenicale come fonte di libertà autentica, per poter vivere ogni altro giorno secondo quanto hanno celebrato nel « giorno del Signore ». La vita di fede, infatti, è in pericolo quando non si avverte più il desiderio di partecipare alla Celebrazione eucaristica in cui si fa memoria della vittoria pasquale. Partecipare all'assemblea liturgica domenicale, insieme a tutti i fratelli e le sorelle con i quali si forma un solo corpo in Cristo Gesù, è richiesto dalla coscienza cristiana e al tempo stesso forma la coscienza cristiana. Smarrire il senso della domenica come giorno del Signore da santificare è sintomo di una perdita del senso autentico della libertà cristiana, la libertà dei figli di Dio (206). Rimangono preziose, a questo riguardo, le osservazioni fatte dal mio venerato predecessore, Giovanni Paolo II, nella Lettera apostolica Dies Domini (207), a proposito delle diverse dimensioni della domenica per i cristiani: essa è Dies Domini, in riferimento all'opera della creazione; Dies Christi in quanto giorno della nuova creazione e del dono che il Signore Risorto fa dello Spirito Santo; Dies Ecclesiae come giorno in cui la comunità cristiana si ritrova per la celebrazione; Dies hominis come giorno di gioia, riposo e carità fraterna.
Un tale giorno, pertanto, si manifesta come festa primordiale, nella quale ogni fedele, nell'ambiente in cui vive, può farsi annunziatore e custode del senso del tempo. Da questo giorno, in effetti, scaturisce il senso cristiano dell'esistenza ed un nuovo modo di vivere il tempo, le relazioni, il lavoro, la vita e la morte. È bene, dunque, che nel giorno del Signore le realtà ecclesiali organizzino, intorno alla Celebrazione eucaristica domenicale, manifestazioni proprie della comunità cristiana: incontri amichevoli, iniziative per la formazione nella fede di bambini, giovani e adulti, pellegrinaggi, opere di carità e momenti diversi di preghiera. A motivo di questi valori così importanti – per quanto giustamente il sabato sera sin dai Primi Vespri appartenga già alla Domenica e sia permesso adempiere in esso al precetto domenicale – è necessario rammentare che è la domenica in se stessa che merita di essere santificata, perché non finisca per risultare un giorno « vuoto di Dio ».(208)

***

Appare evidente così che le catechesi riguardanti la Domenica hanno la precedenza ASSOLUTA, la concessione che viene fatta della Messa al Sabato sera non può costituire la catechesi PRINCIPALE di nessun gruppo che voglia definirsi cattolico….

La Messa NON è finita! La Messa è più viva che mai e ci spinge ad impegnarci concretamente nelle Promesse Battesimali, nell’adempimento della Parola ASCOLTATA, nella missione resa forte dall’Eucarestia appena adorata e ricevuta, nell’obbedienza alla Professione di Fede pronunciata nel Credo, fino all’umile servizio nell’accogliere quanto abbiamo ricevuto dalla Tradizione e nel donarlo a nostra volta senza nulla aggiungere, né togliere, ma nella costante applicazione delle prescrizioni ricevute per donare a noi stessi e al prossimo la Verità!

Fraternamente CaterinaLD (12.10.2008 San Serafino da Montegranaro)

 
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