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Ancora massacri di Cristiani in India PDF Stampa E-mail

Ancora massacri di Cristiani in India Il muro del silenzio l’ha rotto il cardinal Bagnasco, nella prolusione al Consiglio Permanente della Cei. Ma della situazione dei cristiani in India gli organi di stampa hanno dato notizie frammentarie. E la notizia è poi caduta nel muro del silenzio, sopravanzata da altri fatti. I massacri sono stati già documentati su questo sito in uno dei post precedenti. E la situazione per i cristiani d’India non è migliorata. E così l’India della tolleranza, della democrazia, degli insegnamenti del Mahatma Gandhi è scivolata nella vergogna. Il premier Manmohan Singh e il cardinal Oswald Gracias, arcivescovo di Mumbai, hanno definito le spedizioni punitive contro i cristiani appunto “una vergogna per la nostra patria”. Il bilancio, aggiornato a inizio settembre, e quindi probabilmente aggravatosi, è pesantissimo: decine di morti (alcune fonti dicono 100), almeno 52 chiese (tra cattoliche e protestanti) distrutte, centinaia di case danneggiate;

e poi, quattro conventi, cinque fra ostelli e alloggi per giovani, sei istituti cattolici dediti al volontariato e al sociale devastati, centinaia di auto ed altri effetti personale incendiati.

I cristiani si sono rifugiati nelle foreste vicine, e ancora oggi vivono nascosti lì, senza abiti né cibo. E purtroppo il bilancio, già grave, è destinato a salire.

Non è la prima volta che in Orissa (lo stato indiano dove sono cominciati gli attacchi ai cristiani) ci sono situazioni di questo genere. Lo scorso dicembre, alla vigilia di Natale, l’organizzazione fondamentalista indù (Vishwa Hindu Parishad, Vhp) ha ucciso 3 persone, attaccato e distrutto 13 chiese e cappelle, ferendo e lasciando senza tetto un gran numero di cristiani sempre nel distretto di Kadhamal. A spingere le folle indù contro i cristiani vi era Swami Laxmanananda Saraswati, uno dei capi del Vhp.

Swami è stato poi ucciso da un gruppo terrorista maoista la sera del 23 agosto. Ma alcuni capi del Vhp hanno dato la colpa ai cristiani, e durante le cerimonie funebri migliaia di radicali indù hanno dato inizio al pogrom. L’obiettivo? Uccidere i cristiani e distruggere le loro istituzioni. L’intenzione è quella di eliminare la missione dei cristiani, tutta in favore di tribali e dalit, gli emarginati delle caste, i quali vedono nel cristianesimo una strada per migliorare la loro situazione, vedere affermati i loro diritti, trovare finalmente una dignità al loro essere uomini. In un certo senso, la persecuzione è la misura dell’efficacia della missione cristiana.

Nell’opporsi all’impegno dei cristiani, i fondamentalisti indù si oppongono anche all’induismo di Gandhi, che voleva per l’India un Paese laico, aperto a tutte le religioni, l’eliminazione delle caste e la dignità dei Dalit, da lui definiti “figli di Dio” (harijian).

I massacri in Orissa non hanno però suscitato le reazioni della comunità internazionale: nessuna diplomazia si è mossa per la fine dei massacri, a parte qualche sparuta circostanza (come le parole del ministro degli Esteri Frattini), e nemmeno dalle associazioni sono arrivati segnali di solidarietà. Anzi, alcuni hanno pensato che dietro le accuse di proselitismo fatte dai radicali indù ci sia una qualche verità. Monsignor Mamberti, a capo della diplomazia vaticana, ha parlato a fine agosto di una sorta  di “cristianofobia” che cerca di scrollarsi di dosso, anche con la menzogna, l’eredità cristiana. E così restano nel silenzio mediatico le persecuzioni dei cristiani in Orissa.

Articolo del dott. Andrea Gagliarducci ( Indirizzo e-mail protetto dal bots spam , deve abilitare Javascript per vederlo )

 
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