Massacro di Cristiani in India |
Non ci sono traduzioni - There are no translations - Nein Übersetzungen - No traducciones - Aucun traductions È quasi un’emergenza umanitaria in Orissa, nell’India. Un’ondata di violenze ha scosso la regione indiana dalla sera del 23 agosto, tra le 21 e le 22. A scatenare la violenza contro i cristiani, l’uccisione del leader fondamentalista Swami Laxananda Saraswati e di cinque sue adepti. Benedetto XVI, nell’Angelus di mercoledì, ha assunto una linea di equidistanza: da un lato ha condannato “con fermezza ogni attacco alla vita umana, la cui sacralità esige il rispetto di tutti”, e ha espresso solidarietà per i cristiani vittime delle violenze nell’Orissa e “profonda tristezza” per le notizie delle violenze contro le comunità cristiane; dall’altro, condanna il “deplorevole assassinio del leader indù Swami Lakshmananda Saraswati”. Un modo per far capire che la Chiesa non ha responsabilità con l’assassinio del carismatico leader fondamentalista. Già nei giorni scorsi, il cardinale Tauran, presidente del Pontificio Consiglio del Dialogo Interreligioso, aveva spiegato, rispondendo alle accuse ... ... di proselitismo avanzate dai fondamentalisti induisti in India: "Non si può negare - spiega il Cardinale all'Osservatore Romano - che i cattolici siano nel mirino dei fanatici. Questo accade perché costruiamo scuole, orfanotrofi. Ci accusano di proselitismo, perché ogni tanto qualcuno si converte. Ma noi chiediamo solamente la possibilità di compiere il nostro dovere di cristiani: aiutare chi è più povero, chi è in stato di grave necessità. I fanatici che ci attaccano sono quelli che vogliono un'India con una sola religione: l'induismo. Chiaramente noi non lo possiamo accettare. Risponderemo alla violenza; lo faremo con la carità, combattendo le discriminazioni, istruendo i bambini, dando loro un futuro". Intanto le violenze, che si protraggono dalla sera del 23 agosto, hanno portato a un giro di vite delle forze di polizia, che cominciano a intervenire con maggiore fermezza per riportare la calma nella regione. Il governo ha imposto il coprifuoco, e ha dato l’ordine di sparare a vista. È del 26 la notizia dei primi scontri tra fondamentalisti indù e forze dell’ordine, nei pressi del villaggio di Barkhama: muoiono 4 persone. A Khandmal il coprifuoco viene esteso da quattro a sette cittadine. Ma non è bastato per impedire la distruzione di centinaia di edifici e proprietà appartenenti ai cristiani, oltre al danneggiamento di numerose chiese. Ed è quasi emergenza umanitaria: dalla zona giunge notizia di una mancanza di cibo, vestiti e acqua potabile. Un’emergenza ancora più grande, considerando che le forti piogge non hanno agevolato la situazione di quanti hanno cercato rifugio nella foresta per sfuggire agli assalti. Fra i più colpiti, le donne e i bambini. Ma come si è sviluppata l’escalation di violenza nell’Orissa? È l’agenzia AsiaNews (www.asianews.it) a cercare di fare un primo bilancio della situazione, avvalendosi di informazioni proveninti da Commissione Giustizia e Pace della diocesi di Kuttack-Bhubaneswar, All India Christian Council, Global Council of Indian Christian (protestante). Seguiamo anche noi il riepilogo dell’agenzia. Il leader indù Swami Laxanananda Saraswati e cinque suoi adepti vengono uccisi nella sera del 23 agosto, tra le 21 e le 22. Poco dopo, c’è già il primo attacco: due suore della Congregazione del Preziosissimo Sangue di Gesù Cristo a Kothaguda sono fermate da un gruppo di assalitori. Questi le fanno scendere dal veicolo con il quale procedevano, e gli danno fuoco, picchiando selvaggiamente il conducente. Un’altra vettura che trasporta della religiose vicino a Ainthapally, nel Sambalpur, è fermata e data alle fiamme. È solo l’inizio: domenica 24 agosto cominciano gli assalti a diverse chiese, peraltro poco gremite a causa della paura di attacchi. È mattina. Verso le cinque e mezza del pomeriggio, i fondamentalisti assaltano il centro sociale Jan Vikas, dell’arcidiocesi di Cuttak Bhubaneswar: la folla incendia auto, moto e tutti i documenti. Passa mezzora, e la folla incendia il centro pastorale di Divya. Quindi attacca il presbiterio di Baliguda, nel cuore del distretto di Khandamal, che già tra il 24 e il 26 dicembre del 2007 è stato teatro di violenze. Verso le sei e mezza della sera, si registrano attacchi simili alla chiesa cattolica di Kanjamedi, e poi vengono attaccate altre tre chiese, sempre nella zona. Nella notte vengono dati alle fiamme 12 negozi appartenenti a dalit (una casta indiana) di fede cristiana. Si passa alle violenze sulle persone: una giovane suora cattolica che lavorava per i servizi sociali di Nuagaon, a Kandhamal, viene violentata, e poi i fondamentalisti indù bruciano completamente l’edificio. Siamo a lunedì 25 agosto: alle sette del mattino, alcuni seguaci del leader indù assassinato Saraswati assaltano la chiesa cattolica di Phulbani, e danneggiano gravemente l’edificio. Nella stessa mattina, vengono attaccate la casa vescovile e la curia di Bhubaneswar. Gli assalitori si allontanano solo a causa della presenza della polizia, ma prima lanciano pietre e oggetti contro le pareti dell’edificio, e distruggono numerose finestre. Verso le 13 viene assalito Jamai Pariccha, direttore del Grama Pragati, un ente cattolico impegnato nel sociale e nei servizi di assistenza. Pariccha ha la moglie di religione indù, che ha implorato pietà per il marito: la folla non le ha dato retta. I fondamentalisti hanno continuato a picchiarlo, urlando a pieni polmoni: “E’ un cristiano e lo uccideremo”. L’uomo ora è ricoverato in un ospedale, e le sue proprietà, inclusa l’auto, sono state distrutte. Poco più tardi (verso le 14) si verifica un episodio analogo: Puren Nayak, insegnante cristiano, ha la sua casa data alle fiamme. Si racconta di donne indù che indicano agli uomini le abitazioni dei cristiani e offrono il kerosene per dar fuoco agli edifici. Si passa agli assassini: nel pomeriggio viene uccisa la missionaria laica Rafani Majhi. Aveva 21 anni, e resta arsa viva mentre cerca di salvare gli ospiti di un orfanotrofio della missione di Bagarh. Nell’attacco alla missione è ferito un modo grave anche un prete, ora in ospedale con ustioni multiple in tutto il corpo. Viene ucciso anche un uomo, bruciato vivo a Kandhamal. I fondamentalisti assaltano poi il Centro Pastorale, che viene distrutto dalle fiamme. Restano feriti con gravi emorragie Padre Thomas Challan, direttore del centro per la pastorale diocesana a Kanjimendi, e suor Meena , una religiosa. La sera viene presa di mira anche la parrocchia di Sankrahol, saccheggiata e data alle fiamme. Il parroco, padre Alexander Chandi, si salva, perché riesce a nascondersi nella vicina foresta prima di essere catturato. Padre Bernard Digal, che in quel momento stava andando in visita dell’amico, si è trovato la folla inferocita davanti: la sua jeep è stata distrutta. Ma padre Digal è stato aggredito il giorno successivo, e ora è in gravissime condizioni. Anche le suore del convento di San Giuseppe si salvano facendo perdere le proprie tracce nella foresta. Alle 23.30 vengono saccheggiate 17 case di cristiani a Raikia, e tutti i loro averi sono distrutti. Ma la giornata del 25 agosto si registrano anche diversi assalti a chiese in varie zone del distretto. Una pattuglia di poliziotti è messa a guardia della Chiesa di Jeypore, sotto la minaccia di attacchi imminenti: sarebbero 200 i fondamentalisti pronti ad assalirla. Il parroco e un confratello hanno abbandonato la chiesa, e si sono rifugiati in casa di amici. Nel distretto di Bagarh, 2 mila fanatici assale e distrugge molte chiese, prendendo di mira preti e suore. A Padampur, padre Edward Sequir è picchiato in maniera barbara: è vivo, ma non ha ancora ripreso conoscenza, ed è in gravi condizioni. Mentre nella regione di Tiangia si conferma la morte di Vikram Nayak, un fedele cattolico, letteralmente fatto a pezzi da una folla inferocita. Altri due sono feriti nell’assalto, e muoiono nelle ore successive. Nello stesso villaggio, numerose case di famiglie cattoliche sono date alle fiamme, mentre gli abitanti si rifugiano nella foresta. Tre persone, nella zona di Raikia, muoiono per asfissia mentre le loro case vengono bruciate. Nella mattinata del 26 agosto, nel villaggio di Tingia, altre tre persone muoiono asfissiate. Mentre alle 11 e 30 una folla prende di mira il villaggio di Balimunda, nel distretto di Kandhamal: la chiesa locale e cinque case sono date alle fiamme. C’è anche una buona notizia: padre Simon Laksa e padre Xavier Tirkey (un verbita e un gesuita) sequestrati lunedì 25 riescono a sfuggire dalle mani dei loro rapitori. Ora si trovano al sicuro nelle loro comunità. Il bilancio provvisorio è di 11 mori, tra cui otto cristiani. Ma è solo dal 26 che la polizia ha applicato una linea di maggiore fermezza per attutire gli scontri. Rubrica a cura del dott. Andrea Gagliarducci ( Esta dirección de correo electrónico está protegida contra los robots de spam, necesita tener Javascript activado para poder verla ) |
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