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Benedetto XVI: la teologia del testo non scritto PDF Stampa E-mail

Benedetto XVI: la teologia del testo non scrittoBenedetto XVI ama parlare a braccio. Lo fa spesso, anche quando i testi sono stati redatti con cura. Alza gli occhi dal testo scritto, fa le sue aggiunte, commenta. A volte inserisce un parere personale, e se ne scusa. Una volta ha fatto addirittura sapere che l’infallibilità papale è limitata ad alcune questioni: segno di grande apertura, e allo stesso tempo di rottura della tradizione. Parlare a braccio è possibile solo se si ha una profonda conoscenza teologica, e Benedetto XVI ce l’ha. E, nel suo parlare al di fuori di qualunque costrizione data da un testo scritto, si può leggere la sua teologia molto più che nei suoi libri. Perché è nel momento in cui parla senza alcuna restrizione data dal testo che il suo pensiero viene fuori nella maniera più genuina. Così, nel duomo di Bressanone,  ha avuto luogo il cosiddetto “question time” del Papa. Vale a dire, l’incontro con i sacerdoti della diocesi di Bolzano, nel corso ...

... del quale si è sottoposto alle loro domande e ha risposto a tutte, senza alcuna reticenza. Non è un fatto nuovo. Già durante la sua prima vacanza da Papa in Valle d’Aosta, si sottopose alle domande dei sacerdoti della diocesi nella Chiesa parrocchiale di Introd. Poi ha ascoltato e risposto alle domande dei giovani di Loreto, nel 2007. Prima ancora, in un incontro con il clero romano, ha risposto alle domande dei sacerdoti: la cosa ha fatto notizia, perché ha risposto in particolare ad una questione sul ruolo delle donne nella Chiesa, posta da don Marco Valentini. Senza contare, poi, i discorsi in cui lui ama aggiungere degli ampi stralci a braccio, tirando su gli occhi dal testo scritto. Ne è un esempio il testo dell’incontro all’arcivescovado di Colonia, durante la Gmg del 2005 con i rappresentati delle altre Chiese.

Si può ripercorrere a ritroso il cammino dei “question time” papali: ci si accorge che c’è una linea di continuità, e una teologia molto ben definita e razionale. Ma allo stesso tempo, una teologia che non è chiusa, ma si apre anche ad istanze particolarmente problematiche.

Partiamo dal ruolo del sacerdote. A Bressanone, i sacerdoti hanno fatto domande riguardanti il celibato dei preti e i carismi delle donne della Chiesa. Il Papa si è soffermato a rispondere agli interrogativi di carattere pastorale. Una scelta dettata dalla pratica: le richieste che gli sono state presentate dal decano di Castelrotto, dove alloggia, erano troppe per poter rispondere a tutte. In particolare, Benedetto XVI ha voluto rispondere al quesito sulla mancanza dei sacerdoti, e ha spiegato che “bisogna saper delegare”, e non pretendere di svolgere tutti i compiti. “Bisogna saper accettare, con umiltà, che molte cose non le possiamo fare”, perché, insiste il Pontefice, la priorità è dar spazio a Dio. Implicitamente, in queste parole, c’è la contrarietà alle liturgie della Parola, che sono molto in voga nel Nord Europa, ma anche in diversi paesi sudamericani: quando manca un sacerdote, si celebra non l’Eucarestia, ma una liturgia della parola, presieduta da un laico scelto dalla comunità. Ratzinger chiarisce più avanti il suo pensiero, quando sottolinea che il sacerdote “è l’uomo scelto per il servizio di Dio, non per isolarlo, ma per metterlo al suo servizio”. E poi, Benedetto XVI si è soffermato sul senso del servizio rappresentato dal pontificato: “Il primato – spiega – non è una monarchia assoluta, ma un servizio per la Chiesa”. Non si deve leggere, in questa affermazione, un riferimento all’ecumenismo, e in particolare al rapporto con le Chiese ortodosse (il dialogo con le quali è ostacolato proprio dalla questione del primato petrino), ha sottolineato la Sala Stampa Vaticana.

Questo tema, Benedetto XVI l’ha toccato anche con i sacerdoti a Introd, in Valle d’Aosta, durante le vacanze del 2005. Parlando della “situazione dei sacerdoti che sono divenuti pochi, e devono lavorare fino a tre, quattro e a volte fino a cinque parrocchie e sono esausti”. Benedetto XVI demanda la decisione al Vescovo insieme con il suo presbiterio. E poi ricorda: “Quando io sono stato arcivescovo di Monaco, avevano creato questo modello di funzioni solo della Parola senza sacerdote per, diciamo, tenere la comunità presente nella propria chiesa. E hanno detto: ogni comunità rimane, e dove non c’è un sacerdote facciamo una liturgia della Parola. I francesi hanno trovato la parola adatta a queste assemblee domenicali “en absence du pretre”, e dopo un certo tempo hanno capito che questo può andare anche male, perché si perde il senso del Sacramento, c’è una protestantizzazione e, alla fine, se c’è solo la parola posso celebrarla anch’io a casa mia”. Allora, prosegue Benedetto XVI, i francesi “hanno un po’ trasformato questa formula Assemblée domenica en absence du pretre nella formula Assemblée domenical en attente du pretre. Cioè, deve essere una attesa del sacerdote e direi normalmente dovrebbe la Liturgia della Parola essere un’eccezione della domenica, perché il Signore vuole venire corporalmente. Questa perciò non deve essere una soluzione”.

Importante anche la questione del ruolo della donna. In questo, Benedetto XVI è stato chiaro nella risposta data nel 2006 a don Marco Valentini. “La Chiesa – disse – ha grande debito di gratitudine per le donne. In certe occasioni, il contributo delle donne talvolta si è fatto molto visibile, come quando Santa Ildegarda critica i vescovi, o come quando santa Brigida e santa Caterina da Siena ammoniscono e ottengono il ritorno dei Papi a Roma”. Ma la questione resta bloccata quando si parla di sacerdozio. “La Chiesa – affermò Benedetto XVI – non ha in alcun modo la facoltà di conferire l’ordinazione sacerdotale alle donne”.

Da considerare anche i continui richiami, nei suoi discorsi a braccio, al ruolo dei vescovi. È in un certo senso l’apertura ad una certa de-centralizzazione, anche se con le dovute cautele: da cardinale, Ratzinger è sempre stato scettico verso il ruolo delle Conferenze Episcopali: se fossero diventate vere e proprie assemblee elettive, è il suo ragionamento, c’è il rischio che minoranze di pressione possano cambiare le cose, e portare avanti istanze etero-dosse. Per questo, Benedetto XVI controlla personalmente i dossier delle terne di vescovi, che vuole di fidata e comprovata ortodossia. Ma, allo stesso tempo, i passi sono verso una certa libertà di scelta. Lo si intuiva già nelle aggiunte a braccio al discorso all’arcivescovado di Colonia. Sull’ecumenismo, spiegava che i passi andavano fatti “nella consapevolezza che è il Signore, che poi dona l’unità, che non siamo noi a crearla, che è lui a donarla, ma che dobbiamo andargli incontro”. E poi aggiungeva subito: “Non intendo sviluppare qui un programma per i temi immediati del dialogo. Questo è un compito dei teologi in collaborazione con i vescovi: i teologi sulla base della loro conoscenza del problema, i vescovi a partire dalla loro conoscenza della situazione concreta delle Chiese nel nostro Paese e nel mondo”.

Da notare anche l’apertura che il pontefice ha avuto, in questi colloqui a braccio, anche sui divorziati risposati. Con il suo pragmatismo, a Introd invita a considerare caso per caso, perché “nessuno di noi ha una ricetta fatta”. E spiega il caso di “quanti erano sposati in chiesa, ma non erano veramente credenti e lo hanno fatto per tradizione, e poi trovandosi in un nuovo matrimonio non valido si convertono, trovano la fede e si sentono esclusi dal sacramento. Questa è davvero una sofferenza grande, e quando sono stato Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede ho invitato diverse Conferenze Episcopali e specialisti a studiare questo problema: un sacramento celebrato senza fede. Se realmente si possa trovare qui un momento di invalidità perché al sacramento mancava una dimensione fondamentale, non oso dire. Io personalmente lo pensavo, ma dalle discussioni abbiamo capito che il problema è molto difficile e deve essere di nuovo approfondito”.

Sono solo alcuni stralci dei discorsi a braccio del Papa. Ma sono fondamentali per capire in che direzione va la Chiesa. L’impronta che Papa Benedetto vuole dare è chiara: meno “fai da te”, più comprensione teologica, senza però non considerare i casi particolari, mantenendo un certo rigore nelle questioni di fede.

Rubrica a cura del dott. Andrea Gagliarducci ( Indirizzo e-mail protetto dal bots spam , deve abilitare Javascript per vederlo )

 
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