Viene dall'Arabia Saudita la spinta per il dialogo interculturale |
Madrid. La stessa città dilaniata dall’attentato dell’11 marzo alle ferrovie di Atocha è protagonista di un passaggio del dialogo interculturale. Il tentativo è del sovrano saudita Abdallah Bi Abdulaziz al Saud, di aprire il confronto tra musulmani, cristiani ed ebrei. Madrid è stato il luogo prediletto per questo incontro, e il Vaticano, che al dialogo con il re saudita ha già dimostrato di credere, ha inviato per l’occasione il presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso cardinale Jean Louis Tauran. Un modo per dire che non è solo con i 138 promotori della lettera “Una parola comune tra noi e voi” che si basa il dialogo con l’Islam. Anzi, che il dialogo con l’Islam guarda a più fronti. Perché la lettera dei 138 parla di un profilo necessariamente pastorale (e la base è la regola d’oro, e il comandamento dell’amore, comune tra le religioni abramitiche), mentre Papa Ratzinger ha sempre pensato al dialogo con ... ... le altre religioni soprattutto in funzione di dialogo tra le culture. Ovvero, un dialogo che non si basi solo sulla fede, ma anche su pratiche di comune sentire all’interno della società. La grande conferenza di Madrid per il dialogo interreligioso e interculturale (inaugurata da re Abdallah insieme al re di Spagna Juan Carlos) è stata infatti convocata dalla Lega Musulmana mondiale sotto la spinta del monarca saudita, custode delle due moschee sante dell’Islam. Prima c’è stato l’incontro di La Mecca, dove gli ulema e i leader sunniti si sono riuniti con l’intento di stilare delle linee guida per il dialogo interreligioso da parte musulmana, come auspicato dal re saudita Abdullah. Le cui parole di dialogo, già nel mese di marzo, avevano trovato sull’Osservatore Romano ampia eco, a testimonianza dell’attenzione che la Santa Sede ha nei confronti dell’iniziativa del re saudita. Da La Mecca è partito un appello specifico al dialogo tra le tre grandi religioni monoteiste, e sembra proprio che questo segni una svolta nel mondo musulmano in merito al tema delle relazioni con le altre religioni all’epoca della globalizzazione. A Madrid si ritrovano circa 200 personalità tra leader religiosi ed esponenti del mondo della cultura. Oltre a Tauran, c’è anche Michael Schneider, segretario generale del congresso ebraico. L’aspetto generale che sembra emergere è quello di un confronto possibile tra Islam e modernità. Si spera, dal mondo cattolico, che arrivi anche per l’Islam un evento come il Concilio Vaticano II, cioè un evento che abbia la forza dirompente necessaria a riavviare su basi nuove il rapporto fra cultura islamica e mondo contemporaneo. Un rapporto che in realtà – basta leggere il libro di Fatema Mernissi “Islam e democrazia” – è già vivo, ed è una delle due facce della medaglia di un Islam che da una parte si protende al mondo esterno e dall’altra ne ha paura. Qualcosa si sta muovendo, e alla paura sembra prendere il sopravvento l’apertura. “Dobbiamo dire al mondo – ha detto re Abdallah a Madrid – che la differenza non deve portare al conflitto, perché i conflitti non hanno nulla a che vedere con le religioni, ma con gli estremismi”. Ha poi aggiunto: “Il terrorismo, la dissoluzione della famiglia, le droghe, lo sfruttamento dei più deboli, tutto ciò è conseguenza di un vuoto spirituale”. Parole che Benedetto XVI non esiterebbe a sottoscrivere. E, come Benedetto XVI, anche re Abdallah è convinto che un dialogo che affronti solo la teologia è destinato a infrangersi sulle reciproche tradizioni, mentre è necessario muovere dai contenuti. Certo è che anche a La Mecca, all’apertura è seguita una ricerca dell’identità da parte dell’Islam. Akbar Hashemi Rafsanjani, ex presidente dell’Iran e uno dei più prominenti sciiti alla conferenza di La Mecca, ha attaccato duramente U.S.A. e Israele durante l’incontro di inizio giugno. Sottolineando poi che “per avere un dialogo con le altre religioni, dobbiamo cominciare a parlare tra noi”. Una necessità, dato che l’Islam non ha vertice, e non ha punti di riferimento cui rivolgersi. Ci sarà, ad ottobre, un incontro in Vaticono con i 138 musulmani che hanno firmato un appello per il dialogo interreligioso. E alcuni musulmani italiani hanno salutato con favore il prossimo documento per il dialogo interreligioso promosso dal cardinale Tauran. A Madrid in rappresentanza del Papa, Tauran – mentre a La Mecca Abdallah riuniva gli esponenti dell’Islam – ha annunciato un documento del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso che definirà delle linee guida per il Dialogo Interreligioso. I lineamenti sono stati già definiti, e per il documento non ci sarà da aspettare molto. Alla base del documento, i Dieci Comandamenti, “una sorta – ha dichiarato Tauran – di grammatica universale che tutti i credenti nel loro rapporto con dio e il prossimo”. Si tratterà, a quanto si può comprendere, di un dialogo tra religioni, e non di un dialogo tra culture, come invece poteva essere inteso dopo la prima infornata di nomine ai dicasteri vaticani di Papa Benedetto XVI. Il quale aveva inserito la delega per il dialogo per il Consiglio Interreligioso all’interno del Pontificio Consiglio per la Cultura, salvo poi ripristinare il dicastero. Il Papa punta comunque anche sul dialogo culturale. Anche perché ritiene che, se si riconoscono i numerosi punti in comune nella visione dell’uomo nella difesa delle tradizioni spirituali dentro la modernità, anche il discorso in merito alle differenti teologie diventa praticabile. Su questa strada si incrociano realtà e nazioni differenti: la Turchia, sospesa tra Asia e Europa, fra tradizionalismo e democrazia, e l’Indonesia, la più grande realtà islamica del pianeta, incamminata da un decennio verso la democrazia, dove le spinte fondamentaliste non hanno avuto la meglio. E il Marocco, giovedì, ha inviato in Europa 176 predicatori per arginare l’estremismo. Rubrica a cura del dott. Andrea Gagliarducci ( Indirizzo e-mail protetto dal bots spam , deve abilitare Javascript per vederlo ) |
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